Come diventare “Muzungu”, ovvero alla ricerca della diversità
Non molti anni fa, mi trovavo alla periferia di York, un’antica cittadina dell’omonima contea, che nel medioevo aveva una grande estensione e che oggi arriva fino al Mare del Nord, nella mitica località di Scarborough...
Non molti anni fa, mi trovavo alla periferia di York, un’antica cittadina dell’omonima contea, che nel medioevo aveva una grande estensione e che oggi arriva fino al Mare del Nord, nella mitica località di Scarborough e che confina a sud con l’altrettanto mitica contea di Nottingham nella cui foresta, Sherwood, si celavano i segreti di Robin Hood. Mi trovavo lì per un corso d’inglese ed ero ospitato presso un’austera famiglia. Prima del ritorno in patria, intavolai una discussione sugli avvenimenti internazionali che stavano assalendo la vecchia Europa: era un’estate funestata da attacchi terroristici soprattutto in Francia e Germania. Non avrei mai sospettato la veemente reazione del capo famiglia. Le frasi più tranquille che mi rivolse furono: “In Europa sono tutti corrotti”; “Solo la Gran Bretagna può vantare una certa impermeabilità alla corruzione”; “La Brexit [ancora in fase di attuazione] è la sacrosanta rivincita di una grande nazione nei confronti di un’Europa rassegnata al declino”. Infine proclamò con soddisfazione (sic!): “La civiltà occidentale è patrimonio degli inglesi che l’hanno esportata nel resto del mondo, rendendolo più civile”.
Quante volte anch’io ho avuto la tentazione di rivedere il passato con nostalgia.
«Isidora è dunque la città dei suoi sogni: con una differenza. La città sognata conteneva lui giovane; a Isidora arriva in tarda età. Nella piazza c’è il muretto dei vecchi che guardano passare la gioventù; lui è seduto in fila con loro. I desideri sono già ricordi» [1].
A quattordici anni (per la precisione correva l’estate del 1972, solo un anno prima della guerra dello Yom Kippur) mi accompagnarono in un pellegrinaggio in Terra Santa. Notai anche carri armati puntati inutilmente verso la Giordania che non avrebbe più partecipato a guerre contro Israele. Soprattutto fui sconvolto dalla città vecchia di Gerusalemme, non solo per i luoghi sacri, ma per gli afrori che circondavano i vicoli della Città Santa, per la convivenza di differenti civiltà, per la convivenza delle religioni, in apparenza una convivenza pacifica: andai anche a visitare la Moschea di Omar la cui soglia, oggi, non può più essere varcata da un cristiano. L’atmosfera di quella città mi lasciò un ricordo indelebile. Purtroppo sono tornato a Gerusalemme solo nel 2019 ma ci sono armi dappertutto, c’è il muro della vergogna che impedisce ai Palestinesi di passare indisturbati da una parte all’altra della città.
A sedici anni andai a Londra e la cosa che mi colpì, come un violento schiaffo in faccia, fu la scoperta degli homeless, dei barboni, dei diseredati che costellavano la città del famoso Strano caso del Dr. Jekill And Mr. Hide. Nella mia grassa e tranquilla Bologna non li avevo ancora notati. Avrei dovuto capire fin d’allora che il vecchio continente stava diventando decrepito.
In tarda adolescenza, poco prima di svolgere il servizio militare, esplorai gli Stati Uniti attraverso un viaggio iniziatico che mi portò da una costa all’altra per ammirare le bellezza e le speranze del nuovo continente. Non mi accorsi dei segni di fragilità che quella società già cominciava ad accusare: fui travolto dalla maestà dei grattacieli e dalla sontuosità della natura che regnava ancora incontrastata nei larghi spazi lasciati dall’uomo. Non avrei mai potuto immaginare che gli yankee stavano distruggendo sistematicamente l’ambiente, altrove.
«La memoria è ridondante: ripete i segni perché la città cominci a esistere. […] L’altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo molto che non ha avuto e che non avrà. […] Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra» [2].
Il problema è proprio questo: vedere qualcosa, pensare di capire il suo significato e scoprire che, al suo interno, se ne cela un altro. Ma sono sempre rimasto affascinato dalla conoscenza che ti dona ogni esperienza: ogni viaggio che ho intrapreso mi ha arricchito e quante altre mete vorrei raggiungere prima di arrivare al termine del mio.
Sono una persona di educazione storica e questo mi ha fatto notare i tanti errori di comprensione compiuti nelle mie visite in Italia e in terre straniere.
La mistificazione compiuta nei confronti della diversità ha assunto spunti paradossali e, al tempo stesso, truculenti ed inumani che sono assurti a filosofie, a schemi sociali e antropologici a interpretazioni storico-materialistiche-liberali che hanno spinto il capitalismo a diventare l’unica forma globale economica e sociale praticabile. Alex Zanotelli ha ragione a protestare:
«Una lurida storia di violenza, oppressione, depredazioni, stermini e genocidi per milioni di esseri umani. Non è forse questo il più spaventoso Olocausto della storia umana? […e qui di seguito una lugubre citazione da Georg Wilhelm Friedrich Hegel]
“Tra i neri è caratteristico il fatto che la loro coscienza non sia arrivata ancora all’intuizione di nessuna oggettività, come per esempio Dio, la legge… Si tratta dell’uomo bruto. L’Africa non ha propriamente una storia. Per questo abbandoniamo l’Africa, senza nominarla mai più, non è una parte del mondo storico, non presenta un movimento, né uno sviluppo storico… Ciò che intendiamo per Africa è qualcosa di isolato e senza storia, sottomesso ancora completamente a uno spirito naturale, e che si può citare solo qui all’ombra della storia universale”.
È una delle pagine più ributtanti e vergognose della filosofia, ma che esprime meglio di ogni altro testo il razzismo europeo che ha portato alla schiavitù e al colonialismo» [3]
Anche noi italiani abbiamo compiuto nefandezze inaudite durante la nostra breve avventura coloniale ma ci siamo sempre sciacquati la coscienza con le nostre convinzioni suprematiste, rimaste salde fin dall’epoca dell’impero romano, quando i conquistatori venivano considerati barbari:
«[In questo caso gli invasori erano i piemontesi, arrivati in Sicilia] Vengono per insegnarci le buone creanze ma non lo potranno fare, perché noi siamo dèi» [4].
Oggi assistiamo alla mistificazione delle diversità, e qui il plurale è d’obbligo. Se nei due secoli passati la diversità era legata all’identificare intere popolazioni come inferiori e non degne di ottenere i benefici del capitalismo ma solo di essere assoggettate, oggi invece la diversità dilaga dovunque e comunque. La politica non sa come affrontare questo dilagare viscido di ogni forma di aberrazione e delinquenza e non le rimane altro che imprecare contro le emergenze dei nostri tempi. Ecco che sbocciano le discriminazioni: di genere, economiche, sessuali (qui la lista sarebbe lunghissima); di razza (uso volutamente il termine contenuto nella nostra Costituzione); di chi emigra perché scappa dalla guerra anche se ci sono popolazioni privilegiate (ucraini) e altre meno (per lo più chi scappa dall’Africa centrale o dal Medioriente); di chi emigra alla ricerca di una vita migliore; di chi viene discriminato per la sua religione, le sue idee politiche. Per arrivare quella che si potrebbe definire discriminazione per età: sia i bambini maltrattati, stuprati e/o costretti a imbracciare le armi, sia coloro che, per raggiunto limite di età, vengono emarginati ed esclusi dalla società. Nelle nostre democrazie occidentali vengono rinchiusi in luoghi dove, a volte, vengono maltrattati anche se gli stessi luoghi erano stati concepiti come un rifugio.
In modo scherzoso, ma poi non tanto, Fabrizio De André si appellava allo Stato:
«Prima pagina venti notizie ventuno ingiustizie e lo Stato che fa? Si costerna, s’indigna s’impegna poi getta la spugna con gran dignità» [5]
Ogni essere vivente che subisce una discriminazione è escluso, soppresso, emarginato. Viene considerato diverso. Ma cosa significa essere diversi?
È sufficiente aggirarsi per una qualunque città italiana e guardarsi attorno e immediatamente possiamo comprendere cosa significhi essere diversi. Enzo Jannacci li definisce timidi:
«Non toccare, non guardare, non pulire, non tergiversare, non svuotare, non riempire, non mangiare, non digerire, ma va a casa tua, qui è tutto mio. Senza domani, come dei cani, andata in un fiato, ritorno obbligato, ritorno obbligato. Un clandestino in città. Nuota ma non ce la fa. Forse perché è troppo timido, l’acqua non basterà. Ditemi come si fa, non ce la faccio a star qua. Divento sempre più timido. devo tornare di là» [6]
Recentemente ho avuto la fortuna di recarmi a visitare una missione nel nord dell’Uganda e ho compreso fino in fondo, sulla mia pelle, cosa significhi essere diversi, sentirsi diversi eppure capire che gli altri, pur avendo un diverso colore, hanno sempre il sangue colorato di rosso, come il tuo. Ancora oggi, a volte, la timidezza mi inganna ma la sensazione di essere una mosca bianca in un paese africano, in fondo, era rassicurante perché ero europeo e là Muzungu, l’uomo bianco in lingua Kiswahili, parlata in vari paesi dell’Africa dell’est, è visto con rispetto dalla gente comune perché considerato ricco e potente:
«Gente che viene e che va, pari le opportunità, siccome sono un po’ timido, qualcuno mi aiuterà» [7]
Quando poi provi a conoscere la gente, a mischiarti fra di loro, senza pregiudizi, senza preconcetti ma solo con la consapevolezza di non essere diverso, allora spicchi il volo e le paure svaniscono. Rimane solo la consapevolezza che la diversità non esiste. Ma chi ci può aiutare a comprendere? Il Santo che proviene dal continente senza storia ci indica che possiamo affidarci solo a chi conosce la nostra anima:
«Angusta è la casa dell’anima perché tu venga da lei: falla più ampia. È in rovina: rimettila tu in piedi. Ha di che offendere i tuoi occhi, lo so e lo confesso. Ma chi la ripulirà, a chi, se non a te potrò gridare: liberami, Signore, dalle cose nascoste anche a me stesso» [8].
[1] Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori, 1993
[2] ibid.
[3] Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli 2022
[4] Giuseppe Tomasi Di Lampedusa, Il Gattopardo, Feltrinelli, postumo, 1958
[5] Fabrizio De André, Don Raffaè, 1990
[6] Enzo Jannacci, Sono timido, 2000
[7] ibid.
[8] Sant’Agostino, Confessioni
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