Com’è che perdemmo la coda
Quando si svegliava la mattina non ricordava se il pianeta in cui si trovava aveva la gravità maggiore o più leggera rispetto al proprio pianeta d’origine. Era solo quando si alzava dal letto e poggiava i piedi a terra, tenendosi seduto con la schiena fuori da coperte e lenzuola ormai lasciate da parte, che cominciava a ricordare.
Un tempo, da quelle parti, c’erano gli Uni, che avevano una sola gamba e un solo braccio. Anche la loro bocca era una bocca a metà, e il loro pensiero era mezzo e così le loro idee. Non parlavano giacché la parola è dialogo, nasce dal confronto delle voci, ma avevano comunque la coda che indicava loro la direzione in cui andare. E quando avevano un dubbio la coda si avvolgeva a forma di punto interrogativo. Quando volevano qualcosa la coda si irrigidiva come un punto esclamativo. Con la coda non si rischiava mai di rimanere soli, quando ci si incontrava era tutto un incrocio e carezza di coda, con la coda ci si giocava, si facevano scherzi, si ballava e si saltava la fune. Gli Uni erano il popolo della coda. Ma mangiavano poco e solo alcuni cibi, perché il loro stomaco era la metà. E avevano un cuore che era la metà. E un solo polmone, una sola narice, un solo occhio.
Quando vennero, naufragati dall’infinito mare di stelle, gli Altri - i due popoli si trovarono a vivere vicini. Gli Altri erano un popolo di mare, gli Uni un popolo di foresta. Si incontravano al limitare della radura, lì dove le colline diventano pianura. Tra gli Uni e gli Altri avvennero degli incontri, e delle contaminazioni. Da cui nacquero gli uomini - che avevano due polmoni e due braccia, due gambe, due di tutto. Avevano anche due cervelli, che cominciarono a dialogare e a formulare idee e ipotesi. Dalle gole e dalle faringi i suoni prodotti si intrecciarono, divennero modulabili e loro cominciarono a dare a quei suoni un significato. Con due orecchie era più facile individuare l’origine dei suoni, e anche la vista con due occhi si adattò a un nuovo modo di vedere le cose anche se, appiccicate in quel nuovo modo - ai lati opposti o frontali, non era esattamente il massimo dell’efficienza.
I figli degli uomini mantennero gli indizi delle due diverse origini. Erano divisi infatti in maschi e in femmine - due specie completamente diverse che però in qualche modo riuscivano a stare accanto, ma come tutte le cose derivate i diversi elementi originari si riversavano in ognuno in quantità e percentuali diverse. E tra i due poli - maschio e femmina - c’erano le gradazioni e combinazioni più varie. Del resto c’erano quelli che parlavano un sacco e quelli che restavano quasi sempre silenziosi; quelli che amavano lanciarsi sulle pozzanghere e quelli che le evitavano a tutti i costi; quelli che cantavano sotto la doccia e quelli che si distraevano facilmente alla guida dell’auto; quelli che scrivevano a matita e quelli che amavano annusare i libri. E ognuno era tante cose diverse e tutte assieme, perché quando si mischiano le cose - come erano stati mischiati Uni e Altri - poi non è più possibile incasellare le persone, neppure tra maschi e femmine, tra nero e bianco, tra buono e cattivo.
I nuovi uomini si adattarono e si sparsero per le terre. Degli Uni e degli Altri originari si persero le tracce ma in qualche modo continuarono a vivere dentro di loro. Introiettati dentro di loro. Una cosa sola persero gli uomini rispetto agli Uni e agli Altri da cui avevano avuto origine e di sui erano sintesi. Avevano perso la coda. E da allora, ricacciati nella solitudine di una bivalenza senza coda, non ebbero mai più nessuno che potesse indicare loro la strada.
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