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Ciao, Enzino

C’era una volta un giornalista di nome Enzo Biagi.

di Sergej - sabato 10 novembre 2007 - 3956 letture

C’era una volta un bambino. Piccolo e gracilino, non gli avresti dato due soldi. Il sù paesello non era neppure un paese, ma una frazione - Pianaccio si chiamava. Il paese più vicino, Lizzano, non aveva allora che 5 mila abitanti e, nell’Appennino tra l’Emilia e la Toscana, sembrava persino una città. Dopo la guerra si sarebbe progressivamente spopolato perdendo metà dei suoi abitanti. La terra lì non è ricca. Enzino giocava con i compagni per strada, con i giochi che si facevano allora: non c’erano i palloni di plastica che, dopo la guerra, quando cadevano nelle mani dell’antipatico di turno potevano essere facilmente bucati. C’erano giochi semplici, di latta, di carta, di legno. Lui era come il bambino pinocchietto del film di Comencini. Crescendo mantenne quell’aria gracile, gli occhialetti da prete o da spia dell’Ovra. Intanto attorno a lui l’aria cambiava. A Bologna leggeva Martin Eden, frequentava preti e la redazione locale del Resto del Carlino. Conobbe una ragazza, Lucia Ghetti. L’Italia entrava in guerra e veniva bombardata. Lui si sposò con Lucia pochi mesi dopo l’8 settembre, era il 18 dicembre del 1943, e sfollò in montagna. Gli capitò di entrare in Giustizia e Libertà: il bambino ora aveva 23 anni. Furono mesi duri, in cui si rischiava la vita giorno per giorno e notte per notte - e la montagna sù al Nord è dura. Lui entrò a Bologna con le truppe alleate e fu lui a dare l’annuncio per radio che la città era stata finalmente liberata.

Questa è la storia di un bambino divenuto giornalista. Che al giornalismo ha dedicato tutta una vita. E attraverso il giornalismo ha visto un Paese cambiare, nel bene e nel male. Ma sempre mantenendo gli occhi puliti, chiari, di un bambino curioso, che delle cose e dei fatti riferisce la semplicità delle cose. Enzo, cresciuto nel clima roboante della retorica dell’Impero, ha rivendicato un tono sobrio, colloquiale, sommesso ma fermo. Di chi sa che esistono le persone e i fatti. Quel bambino divenuto ragazzo che leggeva Martin Eden, s’è ritrovano in un Paese che Martin Eden non lo legge più. Cercava la favola altrove. Una volta, scrivendo sull’arrivo di Lady Diana in Italia, scrisse:

"Se il passato è tutt’altro che esaltante, il presente è confuso e incerto; trovo, nella biografia di Missiroli tracciata da Gaetano Afeltra, un’affermazione di Adriano Tilgher che mi sembra ancora attuale: "Uno Stato simile non poteva avere una vita interiore e profonda: poteva fare amministrazione, non politica". Forse anche per questo c’è chi si rifugia nella fiaba ed è grato a chi gli offre il pretesto per un breve sogno. Anche se è prefabbricato."

Poco dopo sarebbero venuti le ingordigie televisive. E lui si sarebbe ritrovato nel mondo per l’ennesima volta cambiato, a rivendicare la dignità delle persone perbene anche attraverso il piccolo schermo. Non mi interessa qui ricordare gli "editti bulgari" dei piccoli ometti, mentre ancora attendiamo Maurizio Costanzo che aveva promesso di incatenarsi per protesta se Biagi Santoro e Luttazzi fossero stati estromessi dall’agorà. Voglio ricordare quello che un bambino, divenuto giornalista e poi nonno, disse - sommessamente ma sempre con fermezza: "Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Ma, anche: fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te".

La fiaba del bambino diventato giornalista Enzo Biagi è nelle cose che ha scritto sui giornali, nei programmi televisivi, nei libri. E che ci rimangono. E che, spero, qualcuno di noi custodirà. Grazie, nonno Enzino.


Documenti: Quando sul video va in onda la censura

Questo pezzo di Biagi è stato da lui scritto a conclusione della raccolta "Il Fatto", pubblicato da Rizzoli nel 2003. Ancora una volta, dopo una censura di Stato.

Durante la guerra del Vietnam, le reti televisive americane andarono ad Hanoi a intervistare Ho Chi Minh. Qualche settimana fa, nel momento più acuto della crisi con la Libia, Ted Koppel, uno dei più prestigiosi giornalisti dalla «Abc», si è collegato con Tripoli, e ha dato la parola al colonnello. Nel mio piccolo, ho fatto altrettanto: convinto, come sono, che «la completezza dell’informazione» non deve essere soltanto una formula demagogica ma, nei limiti del possibile, un impegno costante dell’onesto cronista.

Gheddafi mi ha ricevuto con cortesia, e ha accettato le mie domande e le mie obiezioni, che io ho registrato lealmente, senza apportare tagli, o aggiustamenti.

Alle due del pomeriggio, molto prima che accadessero i fatti di Lampedusa, il direttore del Tg1, Albino Longhi, mi ha informato che, per disposizione del dottor Biagio Agnes, sommo dirigente di viale Mazzini, il programma «Spot» non sarebbe andato in onda; era previsto un prolungamento del Telegiornale: nel quale, caso strano, non poteva entrare il mio colloquio con il capo della Jamahirya.

Se ne poteva riparlare, magari più avanti, o in altre circostanze. Nessun chiarimento: e intanto la Rai presentava la trasmissione, nelle sedi di Roma e di Milano, ai corrispondenti stranieri e ai redattori dei nostri quotidiani. Il testo veniva diffuso integralmente dall’Ansa, i grandi «networks» degli USA chiedevano il nastro per trasmetterlo. Non so se sono stati accontentati.

Questa storia non è importante perché mi ci trovo dentro, ma suscita qualche considerazione di carattere generale. Penso di aver fatto con correttezza il mio lavoro, e sono convinto che tutti i miei colleghi dei paesi considerati democratici si sarebbero comportati nella stessa maniera. Mi chiedo chi poteva avere interesse a impedire la diffusione di quelle riprese, senza averle viste, senza neppure sapere che cosa raccontavano. Palazzo Chigi ha smentito qualunque intervento; dicono che c’era invece un ministro preoccupato: delle sue azioni, o delle mie parole, o di quelle del leader arabo? L’ordine pubblico era forse minacciato? Ma chi deve decidere ciò che gli italiani possono leggere, ascoltare, o vedere? Il dottor Agnes, e chi guida la polizia, faccio una ipotesi, e quelli del tavolone, erano tutti daccordo? Ma non è più saggio preoccuparsi dei terroristi che dei fotogrammi?

Si dice che il più «prudente» degli intervenuti sia stato il socialdemocratico onorevole Nicolazzi: è nel suo carattere. Sono anni che è indeciso su come sistemare il problema dell’edilizia.

Uno che è d’accordo col vertice della Tv pubblica è l’onorevole Bodrato, che parla senza sapere quello che dice: il divieto è stato messo in atto prima che fossero sparati i due colpi fatali. O è un profeta oppure scegliete voi.

Milioni di spettatori hanno atteso - mi regolo su indici di ascolto ufficiali - «Spot», senza che qualcuno si prendesse il disturbo di avvertirli che era saltato. Io sono un vecchio del mestiere, e ritengo di meritare il rispetto che si deve alle persone che, come minimo, agiscono in buona fede. E uno che una vicenda come questa ha corso forse anche questo rischio, e mi era dovuta una spíegazione.

Ma come fa Cossiga a proclamare che «è preferibile un eccesso di libertà piuttosto che un difetto quando in questa Repubblica fondata sul lavoro sulla lottizzazione, le «veline» stanno diventando una regola, e quello che più conta non è la presumibile verità, ma la superiore disposizione? E chi ha detto che la censura è stata abolita? qui non si controlla neppure: si comanda, e con arroganza. Io invidio Piero Angela, perché è tanto bravo e perché si occupa di castori, di maree, di atomi, bacarozzi, della natura e della scienza, che sono protagonisti splendidi e crudeli, meravigliosi e meschini, ma non rientrano nella logica dei partitici potenti. Mi sono illuso che si potesse far qualcosa, sui teleschermi, anche con le trame degli uomini, buoni cattivi, generosi e miseri, e delle loro avventure non mi sento giudice, ma testimone, e qualche volta complice. Errore: nella Tv di Stato non si esce, questo mi suggeriscono le ultime esperienze, dalla strategia della tavola rotonda: due battute a testa, moderatore, ed ecco il consueto minuetto, con primi piani dei soliti nomi, convocati, come sempre, per l’emergenza.

Di questo mediocre dramma, tutto ciò che più mi ha colpito, e vorrei si credesse alla mia sincerità, è il disprezzo per la gente. Alla quale si nega un servizio, cioè il diritto di sapere cosa dicono anche quelli che non la pensano come noi, ricorrendo a giustificazioni offensive: è un eccesso di presunzione considerare tutti gli altri dei cretini. Non è generoso, soprattutto per dei cristiani a denominazione controllata: non dovrebbero dimenticare che, in ogni modo, siamo tutti fratelli.


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Ciao, Enzino
11 novembre 2007, di : Piero Buscemi

Non sarà facile ereditare il fardello di voglia di giustizia ed umanità, che ci ha lasciato Enzo Biagi. No, non lo sarà, neanche per gli ipocriti che, solo oggi, ricordano di averlo conosciuto e condiviso.

Qualcosa ci fa sentire un po’ più ottimisti: la passione che ci spinge a continuare a scrivere, anche per un giornale online, come il nostro. Ogni giorno, senza nulla a pretendere e gratuitamente. Facendo tesoro di un passato indelebile, custodito nei libri.

Questo tuo articolo, me ne da la conferma. Grazie, Sergio. Grazie davvero, a nome di tutta la redazione di Girodivite.

Piero

    Ciao, Enzino
    15 gennaio 2009

    Enzo Biagi, il mio giornalista preferito,però l’Italia non si è mossa quando lo cacciarono dalla RAIcome un delinquente:in questo paese si organizzano tante manifestazioni, ma per Biagi niente.Quando è morto tutti ad osannarlo e a parlarne bene tolto Berlusconi visibilmente in imbarazzo(mah...non più di tanto a ben pensarci). emilia