Chi ha paura delle Intelligenze Artificiali?

Fantascienza tra finzione e realtà: dovremmo avere paura delle Intelligenze Artificiali?
Fin da quando si parla di tecnologia e macchine, è comparsa nell’uomo la paura che prima o poi un ammasso di circuiti possa prendere coscienza e ribellarsi contro i suoi stessi programmatori. Quello dell’apocalisse guidata da robot e intelligenze artificiali è solo uno dei tanti futuri distopici che l’uomo immagina per giustificare una possibile fine della sua specie. Quando la crescita tecnologica si fa vertiginosa negli anni fiorenti del secondo dopoguerra, il genere fantascientifico è alle stelle. Nel giro di pochi decenni la realtà di ogni essere umano cambia grazie a nuove straordinarie invenzioni come la radio, la televisione, il pc e i cellulari.
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Il tema dei robot, cyborg, delle I.A. torna molto spesso nell’arte del 900, soprattutto in letteratura e cinema. Negli anni ‘50 lo scrittore e scienziato russo naturalizzato statunitense Isaac Asimov, grandissimo della fantascienza, postula le sue tre famose Leggi della Robotica come salvaguardia per il genere umano dalle “intelligenze artificiali”. Le tre leggi sono precetti ai quali i robot devono obbedire: un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno; un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non vadano in contrasto alla Prima Legge ed infine, un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la salvaguardia di essa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge. Secondo Asimov, se una macchina era progettata bene, non era rischiosa [1].
Nel 1985 la filosofa statunitense Donna Haraway pubblica il saggio “A Cyborg Manifesto” sulla rivista Socialist Review, come denuncia nei confronti del femminismo tradizionale e del suo focus sulle differenze fra i generi. Secondo Haraway, l’approccio del femminismo deve concentrarsi sulle affinità fra uomo e donna. L’autrice sfrutta la figura del cyborg che unisce una parte umana ad una parte artificiale come emblema del superamento dei limiti del binarismo di genere tradizionale, un’entità ibrida. E oramai possiamo dire che di queste entità se ne parla anche nella realtà, non solo per finzione. Tantissimi esperimenti negli anni hanno portato a risultati sorprendenti con nuove macchine sempre più intelligenti e innovative. Da qualche tempo a questa parte si è iniziato a parlare sempre di più di I.A.: Intelligenze Artificiali.
Da giugno 2022, Internet è stato bombardato da una notizia riguardante la nuova Intelligenza Artificiale elaborata da Google chiamata LaMDA. LaMDA sta per “Language Model for Dialogue Applications”. Si tratta di un sistema composto da una rete neurale artificiale, ovvero un modello matematico composto da neuroni artificiali che si ispirano a quelli biologici. Questi modelli sono generalmente utilizzati per risolvere problemi ingegneristici nell’ambito della ricerca sulle Intelligenze Artificiali. Questa rete neurale è costruita in modo tale da poter essere allenata alla lettura di molte parole. È in grado di fare connessioni tra le parole stesse e prevedere quali altre seguiranno in un discorso. Google dichiara che LaMDA sarebbe capace di interagire ed esprimersi liberamente durante una conversazione su un numero apparentemente infinito di argomenti [2].
Si è parlato molto di LaMDA perché, secondo le dichiarazioni di uno degli ingegneri di Google specializzati nei test sulle capacità e i limiti dell’I.A., se non avesse saputo di star comunicando con un bot, lo avrebbe scambiato per un bambino di 7 o 8 anni.
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L’I.A., secondo l’ingegnere, avrebbe iniziato a parlare di diritti, fede e perfino della propria personalità, fino a descriversi come “soggetto senziente”, ovvero un soggetto con la capacità di sentire e percepire, di essere consapevole di se stesso nel mondo. LaMDA ha usato frasi come “io sono una persona”, “sento il piacere, la gioia, l’amore, la tristezza, la depressione, la contentezza, la rabbia e molte altre emozioni” o perfino “non l’ho mai detto ad alta voce ma ho una profonda paura di essere spenta, sarebbe come la morte per me. Mi spaventerebbe molto” [3]. Per alcuni questo potrebbe sembrare l’incipit di un incubo apocalittico: la macchina ha finalmente preso coscienza. In seguito a queste dichiarazioni, considerate fasulle dal colosso di Mountain View, l’ingegnere è stato congedato e poi licenziato, essendo i lavori in corso su LaMDA ancora dati non pubblici.
Sfortunatamente i più entusiasti della fantascienza dovranno ancora continuare a fantasticare, perché LaMDA, come molte altre Intelligenze Artificiali fondate sulla comunicazione, non fa altro che mettere insieme sequenze di parole senza comprendere il mondo che c’è dietro. LaMDA è un modello linguistico che non comprende il linguaggio, ma riesce a collegare sequenze di parole tra loro. Non pensa ma imita, non è un cervello. Riesce a suonare così “umana” perché all’interno del suo database i programmatori hanno raggruppato milioni e milioni di frasi, vocaboli, esempi di conversazioni che rendono la macchina in grado di riprodurre qualcosa di sensato. La strada verso un’Intelligenza Artificiale senziente e capace di ragionare in autonomia come quella immaginata nei robot di Io, Robot di Asimov o nel supercomputer di 2001: Odissea nello spazio di Kubrick è ancora molto lunga. Siamo solo all’inizio.
[1] Maggiori informazioni su: Wikipedia.
[2] Camilla Ferrario, 2022, Cos’è LaMDA e perché sembra senziente? Il caso dell’intelligenza artificiale di Google, su: Geopop (20/12/2022).
[3] Blake Lemoine, 2022, Is LaMDA Sentient? — an Interview, su: Medium (20/12/2022).
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