Cheap life | Una vita economica

Mostra collettiva d’arte contemporanea. Dal 22 Maggio a Tula. Focus su di un’altra “arte”, ovvero più popolare, del riuso, dell’accomodamento di beni di vestiario che il mutare rapido delle mode ammassa in periferici centri di raccolta...
Un titolo che pare di per sé un programma, riferito sia al ricorrere della messa in scena di un quotidiano spicciolo che ha caratterizzato l’arte anni ’90, che ad un’altra “arte”, ovvero più popolare, del riuso, dell’accomodamento di beni di vestiario che il mutare rapido delle mode ammassa in periferici centri di raccolta.
Un’abitudine, questa della riproposizione, che in diversi periodi si è in qualche modo opposta alla bandiera bianca di un ben più comune e distratto consumismo. Non si può certo parlare solo di seconda mano senza citare il cheap propriamente detto, che si fa più vicino al nostro campo di indagine quando all’oggetto povero corrisponde l’idea di oggetto funzionale, o addirittura di oggetto persuasivo, di feticcio, ed è utile in questo senso sottolineare come una certa stranezza demodè possa allontanare dal mercato cose che diverranno col tempo rare e ricercate.
Un cheap sofisticato che ben si lega anche all’idea di una pratica artistica propriamente domestica, dove il materiale grezzo su cui operare corrisponde con un certo compiaciuto pragmatismo ad un immaginario che va da quelli che si definivano un tempo “lavori donneschi” (tutte cioè quelle pratiche che facevano l’indispensabile educazione di una sposa), al bricolage con tutti i suoi materiali annessi, dal nastro isolante al legno non trattato. In questo senso, non si può guardare all’arte più recente senza cogliere un ritorno forse ostentato ai materiali economici: individuate nella quotidianità le forme più innocue e disponibili, queste sono poste in una condizione di tensione, in un rebus solitamente di difficile comprensione per il grande pubblico. E se la società ci invita ad un incessante accumulo, sembra ormai prassi comune tra gli artisti quella di edificare all’interno degli spazi espositivi delle architetture low cost, impiegando scarti di produzione, imballaggi, “cose” talvolta reperite all’interno degli spazi stessi.
Che dire, vedere una mostra che ha queste premesse, cioè quelle di un’indagine sul povero, il comune, il bizzarro a basso costo, etichettando tutte queste tendenze con unico termine - cheap - già assunto grazie alla moda a categoria formale, potrà essere l’occasione per riflettere su un’idea di estetica quotidiana come ricerca e come modo di porsi all’interno delle correnti della contemporaneità.
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