Che cosa è stato il 12 dicembre

Ricordando le stragi di Stato, e Saverio Saltarelli

di Letizia Tassinari - giovedì 20 dicembre 2007 - 1964 letture

Che cosa è stato il 12 dicembre

"Strage di Stato, terrorismo fascista, ipocrisia democratica.

Il 12 dicembre è diventato una ricorrenza della democrazia nazionale borghese. Gli studenti che percorrono le strade delle grandi città nell’annuale corteo, celebrano una tradizione di cui spesso non conoscono le origini. Noi, che quel giorno ricordiamo Saverio Saltarelli, denunciamo le responsabilità e corresponsabilità dello Stato democratico nelle stragi e negli assassinii degli anni ’60,’70 e ’80 del secolo scorso.

Questa breve nota è rivolta ai giovani, studenti e proletari, interessati a conoscere quelle responsabilità per combattere questo Stato, ormai diventato uno Stato reazionario, militarista, terrorizzante del capitale parassitario.

Il nostro compagno Saverio Saltarelli, studente universitario di 23 anni e membro del Comitato Studentesco di Azione Rivoluzionaria della nostra Sede di Milano, è stato ucciso dalla polizia dell’allora governo di centro-sinistra mentre manifestava per la liberazione degli anarchici ingiustamente incarcerati con l’infamante accusa di aver organizzato la strage di Piazza Fontana, il 12 dicembre 1969. Noi ricordiamo Saverio come militante rivoluzionario, che si è battuto per la rivoluzione proletaria, contro la borghesia italiana ed il suo Stato, e come esempio per i giovani proletari e studenti.

Commemorando Saverio, ci pare opportuno ricordare ai giovani studenti e proletari, che sono oggi in movimento sulla scena politica e intendono combattere il potere militarista e reazionario della borghesia italiana, gli avvenimenti del 1969-70, per meglio capire la realtà d’oggi e il che fare pratico.

Il 12 dicembre 1969 - Quel giorno vengono compiuti quattro attentati: una bomba esplode nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano, facendo 16 morti e oltre 100 feriti; un’altra rimane inesplosa nella sede della vicina Banca Commerciale; due altri ordigni esplodono a Roma, sotto l’altare della patria (4 feriti) e nella sede della BNL (14 feriti). Questi attentati sono il culmine della campagna terroristica attuata durante tutto il 1969 da un gruppo neofascista di Padova, guidato da Franco Freda, cui partecipano uomini collegati ai servizi segreti.

La montatura poliziesca - Governo di centro -sinistra DC- PSI, partiti parlamentari e magistratura, prendendo a pretesto la strage di Piazza Fontana, scatenano la macchina repressiva dello Stato contro i raggruppamenti anarchici e di estrema sinistra. Centinaia di militanti vengono arrestati. Numerose sedi vengono perquisite, I gruppi di estrema sinistra vengono trattati come se fossero, di fatto, fuori legge. Il 15 dicembre 1969 vengono imputati degli attentati gli anarchici del Circolo XXII Marzo di Roma: Pietro Valpreda, Emilio Borghese, Roberto Mander e Roberto Gargamelli. Con loro viene imputato anche Mario Merlino, fascista amico dello squadrista Delle Chiaie, infiltrato nel gruppo anarchico. Intanto la polizia infierisce contro gli anarchici.

Cade la prima testa-: nella notte fra il 15 e il 16 dicembre del 1969 viene ucciso durante un interrogatorio nella questura di Milano il ferroviere anarchico Pino Pinelli. L’atmosfera politica si fa più drammatica.

Mentre la paura e lo sbandamento s’impadroniscono dell’ambiente studentesco e dei gruppi politici, la nostra organizzazione di Milano lancia un appello di solidarietà a favore dei compagni colpiti. In un volantino del 17/12/69 dice. “ In questo momento in cui gli anarchici sono sottoposti al linciaggio fisico e morale da parte degli sfruttatori capitalisti, noi Internazionalisti eleviamo il nostro grido di sdegno ed esortiamo tutti i compagni, tutti i veri proletari, a manifestare la loro solidarietà politica.” L’appello trova i gruppi studenteschi milanesi indifferenti e sostanzialmente, ostili.

Il 20/12/69 hanno luogo i funerali di Pinelli. La nostra sede milanese partecipa coi propri simboli di gruppo Internazionalista (RIVOLUZIONE COMUNISTA), per manifestare pubblicamente contro il terrorismo borghese. A portare la loro solidarietà sono centinaia e centinaia di operai e proletari. Vi è pure, con i propri simboli il PCd’I (m-l); qualche studente a titolo individuale. Il Movimento Studentesco della Statale insieme al P.C.I. sono invece affaccendati a gettar fango sugli anarchici e a organizzare manifestazioni in difesa della democrazia.

Lotta Continua, pur non partecipando al funerale, denuncia ugualmente nel proprio giornale l’ “assassinio” di Pinelli e la persecuzione dei rivoluzionari. L’incalzare degli avvenimenti accelera, in modo vertiginoso, il processo di delimitazione politica in seno agli studenti.

Perché la strage? - Per rispondere a questa domanda bisogna ricordare che nel 1968-69 si chiude l’epoca della grande espansione economica post-bellica, in Italia e nel mondo; e inizia l’epoca della crisi del sistema mondiale dell’imperialismo, che - aggravata - dura tuttora.

In quegli anni, il proletariato italiano entra sulla scena politica con le sue grandi lotte per l’aumento del salario e per la riduzione dell’orario. Il conflitto tra la borghesia e il proletariato si acutizza.

Al contempo inizia la crisi di regime della borghesia italiana, che si divide sulle soluzioni politiche da dare alla necessità di riorganizzare il suo sistema industriale e finanziario e aumentare lo sfruttamento del proletariato.

Lo squadrismo e lo stragismo fascisti vengono sostenuti da una parte dei gruppi economico-finanziari più legati ai grandi monopoli americani (armatori, petrolieri) o basati sulla rendita, da strati della media e piccola borghesia imprenditrice e commerciale, da una parte della burocrazia statale e militare, che puntano a risolvere con metodi autoritari ed extraparlamentari la crisi di regime (i conflitti con i gruppi monopolistici allora predominanti in Italia: IRI, ENI, Fiat, Pirelli, Montedison) e più in generale il conflitto con la classe operaia.

Le stragi del 1969, e tra queste Piazza Fontana, dovevano servire a imporre una svolta a destra della politica di governo e sostenere lo sviluppo elettorale del partito fascista (il MSI, oggi AN).In seguito, fallito questo tentativo, la strage di Brescia (28 maggio 1974) ha segnato il passaggio dell’ala fascista della borghesia alla politica del “colpo di Stato”, perseguita per tutti gli anni ’70 e parte degli anni ‘80 del 1900.

Perché la montatura contro gli anarchici? - L’incarcerazione di Valpreda e compagni e la caccia al rosso sono servite immediatamente a tutta la borghesia per cercare, senza peraltro riuscirci, di mettere in ginocchio la classe operaia di fronte al padronato, durante gli scioperi per i rinnovi dei contratti nazionali. Queste montature sono servite anche per tentare di stroncare i raggruppamenti di estrema sinistra, che avevano una presa crescente tra i giovani operai e studenti. Ma il vero scopo della montatura e della campagna terroristica di Stato era quello di nascondere che il fascismo stava nei vertici della Repubblica costituzionale: nella polizia, magistratura, servizi segreti, alti comandi militari. Nulla di strano in questo: la Repubblica democratica prese di peso l’intero apparato amministrativo, giudiziario, militare del fascismo. Il personale dirigente di questo apparato fu per giunta rivalorizzato nel dopoguerra dalla politica controrivoluzionaria della NATO, sotto l’egemonia dell’ imperialismo americano in Europa (vedi le strutture di Gladio e la Loggia P2). Poliziotti, magistrati e uomini di governo conoscevano perfettamente da chi e perché era stata organizzata la strage di PiazzaFontana e quali fossero i rapporti tra il gruppo di Freda-Ventura, cellula padovana del gruppo neofascista Ordine Nuovo, gli uomini dei servizi segreti e gli alti gradi militari, sia italiani sia americani.Ma essi non potevano colpire i fascisti inseriti nei vertici dello Stato, con i quali collaboravano da 25 anni per opprimere le masse sfruttate, né potevano impedire a quei compari di sviare, insabbiare le inchieste sulla strage di Piazza Fontana e sulle altre che sono seguite (difatti queste indagini continuano tuttora e non avranno mai fine).

12 dicembre 1970: la polizia del centro-sinistra uccide il nostro compagno Saverio Saltarelli - In questo clima di ipocrisia democratica e livore antiproletario, la polizia vieta la manifestazione organizzata a Milano il 12 dicembre 1970 dagli anarchici per la liberazione di Valpreda. Il nostro raggruppamento partecipa al corteo per solidarietà con i prigionieri e contro il divieto deciso dal ministro dell’interno, che invece ha autorizzato: un corteo antifranchista promosso da PCI- PSI-DC-Sindacati e un presidio antifascista davanti all’università da parte del Movimento Studentesco della Statale (MSS). Il corteo anarchico viene caricato duramente dalla polizia nei pressi dell’università, ma il servizio dell’ordine del MSS impedisce ai manifestanti di rifugiarsi nell’ateneo. Durante una carica i celerini sparano lacrimogeni ad altezza d’uomo: Saverio Saltarelli, 23enne studente-lavoratore militante del nostro Comitato studentesco di agitazione rivoluzionaria viene colpito al cuore e muore. Questo assassinio dimostra che ad un anno dalla strage il governo di centro- sinistra prosegue la politica di repressione statale e che la sinistra parlamentare ( PCI-Psiup-Sindacati, con la ruota di scorta dell’MSS diventato una polizia civica) è parte integrante dello schieramento ordinista.

“La strage è di Stato” –Il repressivismo poliziesco non ha piegato le centinaia di migliaia di giovani che il 12 dicembre del 1971 e del 1972 sono nuovamente scesi in piazza, fino ad ottenere la scarcerazione dell’ anarchico Valpreda e dei suoi compagni. ” La strage è di Stato - Pinelli è stato assassinato”: queste verità, gridate nelle piazze dimostravano la consapevolezza non solo delle responsabilità dei fascisti ma anche della complicità dei vertici statali e del livore antiproletario degli uomini di governo.

La “storia infinita” dei processi su Piazza Fontana - dal 1969 al 2005 lo stato italiano ha celebrato 7 processi su Piazza Fontana. Il primo processo, a Milano e Roma, fu costruito per imputare gli anarchici e terrorizzare il movimento operaio e studentesco. Dal 1971, prima a Treviso e poi a Milano, vennero indagati i fascisti padovani di Ordine Nuovo, Freda e Ventura; protetti dai servizi segreti. Le “finezze processuali” della Cassazione riuscirono a far confluire entrambi i procedimenti nel mostruoso processo di Catanzaro, ove erano imputati insieme Valpreda e Merlino, Freda, Ventura, per tenere in piedi la tesi degli “opposti estremismi contro lo Stato”. Dopo varie vicende, il 27/1/1987 la Cassazione chiudeva definitivamente questo processo, confermando la sentenza della Corte d’Appello di Bari, che aveva assolto per “insufficienza di prove” sia Valpreda sia i fascisti Freda, Ventura, Merlino.

Negli anni ’90, iniziava a Milano una nuova indagine contro la cellula veneta di Ordine Nuovo. Venivano imputati per la strage i componenti del gruppo di Mestre –Venezia, collegati al gruppo di Padova (ma Freda e Ventura non potevano essere nuovamente processati): Carlo Digilio, “pentito” accusatore; Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi più Giancarlo Rognoni; noto fascista milanese. La Corte d’Assise di Milano, con sentenza del 30/6-30/9/2001, condannava all’ergastolo Zorzi, Maggi e Rognoni, ed assolveva Digilio, riconoscendogli le attenuanti per la “collaborazione” e dichiarando prescritto il suo reato. Il 12/3/2004, però, la Corte d’Assise d’appello di Milano ribaltava la sentenza, mandando assolti Rognoni (con formula piena) e Zorzi più Maggi (per insufficienza di prove). Nella sentenza d’appello, la Corte ha scritto che della strage sono responsabili Freda e Ventura, la cui precedente assoluzione sarebbe stata un “errore giudiziario”, ma che non vi sono prove sufficienti per collegare la cellula padovana di Ordine Nuovo con quella veneziana, nell’esecuzione dell’attentato.

L’ipocrisia giudiziaria ha dunque raggiunto il massimo, poiché lo Stato ha trovato il modo di non punire i suoi complici neofascisti, che sono tutti in libertà. La Corte di Cassazione, il 30/5/2005 Ha confermato definitivamente questa sentenza, aggiungendo alla beffa il danno: i parenti delle vittime della strage, che si erano costituiti parte civile, sono stati condannati alle spese.

Non “celebrare” il 12 dicembre ma lottare per la rivoluzione e il comunismo –I giovani di oggi non devono perdere tempo dietro alle ricorrenze ipocrite, che servono solo a nascondere la natura profondamente reazionaria della borghesia reazionaria, che unisce contro il proletariato sia i fascisti che gli antifascisti,clericali e massoni,golpisti e antigolpisti. I giovani proletari e studenti che vogliono ricordare con la lotta i morti nelle stragi fasciste e sotto il piombo poliziesco si portino sulla linea della rivoluzione comunista, dando il loro appoggio e il loro entusiasmo al partito proletario, per combattere lo Stato reazionario e costruire una società comunista,di liberi e uguali."

L’Esecutivo della Sezione di Milano

di RIVOLUZIONE COMUNISTA 12 dicembre 2007.

Edizione a cura di

RIVOLUZIONE COMUNISTA

SEDE CENTRALE: P.za Morselli 3 - 20154 Milano

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rivoluzionaria della crisi italiana

LUNEDÌ, 11 DICEMBRE 2006

"Saverio Saltarelli (1947 – 1970)

12 dicembre 1969 - 12 dicembre 1970: due date da non dimenticare

Saverio Saltarelli nacque il 25 maggio 1947 a Pescasseroli (L’Aquila)

da una famiglia di pastori. Trasferitosi a Milano, frequentò il liceo

e

poi l’università, alternando studio e lavoro. Al paese aveva

organizzato delle lotte contro la devastazione del Parco Nazionale

degli Abruzzi ad opera della speculazione edilizia e per alleviare la

grave condizione dei lavoratori stagionali e degli edili. Nell’estate

del 1969, mentre lavorava come falegname in un cantiere di

Pescasseroli, organizzò un gruppo di studenti-lavoratori per

denunciare

il supersfruttamento degli stagionali costretti a lavorare fino a 14

ore al giorno e senza contributi. Appena articolò la prima protesta

venne licenziato. Ma egli non smise di lottare e denunciò con un

volantino la politica del sindaco che favoriva la speculazione

edilizia

ed il saccheggio del Parco.

Alla fine di novembre Saverio si avvicina al Partito comunista

internazionalista (Rivoluzione Comunista), cominciando ad appoggiare

i

compagni che operano nell’ambiente studentesco mediante il Comitato

di

Agitazione Rivoluzionaria (Csar). Il 23 dicembre egli è in piazza col

partito per manifestare contro il terrorismo borghese. Il 21 gennaio

col gruppo di autodifesa reagisce alle cariche della polizia che

blocca

il corteo alla partenza e, impegnandola con azioni diversive,

permette

che il corteo si effettui muovendosi in un’altra direzione. In questa

come in altre occasioni egli rivela una notevole capacità di azione

nonché i tratti più caratteristici della sua personalità: la fermezza

e

l’abnegazione.

È stato ucciso dalla polizia a 23 anni, nel tardo pomeriggio del 12

dicembre 1970 nei pressi della Statale di Milano, durante la

manifestazione indetta dagli anarchici per la liberazione di Valpreda-

Borghese-Gargamelli appoggiata da Rivoluzione Comunista, con una

bomba

lacrimogena sparata da pochi metri di distanza che gli ha spaccato il

cuore.

* * * (Dall’Agitatore comunista n.11 – Dicembre 1970)

Profilo politico di Saverio Saltarelli

Il compagno Saverio è una creatura tipica del più recente periodo

storico. Vissuto in mezzo alle ristrettezze egli, è, fin da

giovanetto,

un comunista istintivo: uno che prende a cuore la sorte dei

lavoratori

e odia lo sfruttamento. Il suo sviluppo politico è particolarmente

intenso nell’ultimo triennio. In questo lasso di tempo egli raggiunge

la sua piena maturità politica. Nella sua breve esistenza egli

riflette

il travaglio di un’intera generazione: quella che, entrata sulla

scena

[politico-sociale] nel 1968, si trova ora o impegnata nella lotta o

alla ricerca della via per la rivoluzione.

Lasciato il padre che seguiva da bambino sulle montagne abruzzesi per

pascolare il gregge non ancora quindicenne Saverio è introdotto in un

seminario; ove, non potendo pagare la retta, si disobbliga facendo il

legatore e l’elettricista. Pieno di spirito critico egli ingaggia qui

le sue prime discussioni sulle condizioni sociali. Discutendo sulle

differenze sociali egli prende la difesa dei poveri contro i ricchi

e,

nel far ciò, si appella all’esempio di Gesù Cristo.

Passato a Milano con alcune delle sorelle si iscrive al ginnasio

Berchet. Questo passo ha una grande importanza nello sviluppo della

sua

personalità politica. A contatto con l’ambiente evoluto del Berchet

egli deve fare i conti dapprima con le proprie convinzioni religiose,

in secondo luogo con l’ostilità sociale degli elementi borghesi del

Berchet. Questa seconda prova è la più ardua anche perché Saverio,

tra

le altre difficoltà, deve vincere quella di esprimersi in lingua

italiana. Ma è su questo terreno che egli dimostra le sue qualità di

fondo. A differenza di alcuni suoi compagni di scuola che si

vergognano

delle sue umili origini Saverio se ne dimostra fiero e rintuzza in

modo

risoluto i tentativi di sopruso messi in atto dagli elementi

razzisti.

Così un giorno fa a pugni col figlio di un chirurgo che voleva

prenderlo in giro per essere figlio di un pastore.

Acceso sostenitore dell’uguaglianza sociale Saverio rimane durante i

primi anni di frequenza al Berchet un comunista sentimentale. Egli

crede sia possibile una conciliazione su basi umane. Ma questo

comunismo ingenuo viene scosso ben presto dall’ondata impetuosa delle

agitazioni operaie e studentesche, con cui si inaugura il 1968. Il

Berchet è al centro delle agitazioni studentesche. Qui gli studenti

liceali cacciano un professore giudicato da loro incapace di

insegnare.

A febbraio, mentre gli universitari torinesi occupano Palazzo

Campana,

i liceali occupano il Berchet (il primo liceo del paese ad essere

occupato). Durante le prime ore di occupazione, avviene uno scontro

tra

studenti e i carabinieri intervenuti per bloccare l’entrata a un

migliaio di studenti dell’Einstein. Saverio è a fianco degli

occupanti

e protesta contro l’intervento dei carabinieri.

La vita al Berchet in questo periodo è infuocata. Le assemblee si

susseguono in modo tempestoso, mentre tra i gruppi studenteschi di

tendenza opposta cominciano a verificarsi i primi urti violenti.

Tutto

ciò accelera, straordinariamente, la sua maturazione politica.

Saverio

evolve dal comunismo ingenuo al comunismo proletario. Egli si rende

conto che le masse sfruttate non possono eliminare gli sfruttatori

senza una lotta radicale. Tuttavia egli non ha ancora chiari né il

ruolo necessario dell’organizzazione d’avanguardia né i rapporti tra

partito e classe; perciò egli non entra a far parte di nessuno dei

raggruppamenti di estrema sinistra.

Nell’autunno del 1968 fa il suo ingresso nell’università statale. Il

contatto con nuovi elementi di sinistra e la più vasta vita

intellettuale della Statale allargano il suo quadro politico. Egli

prende parte attiva alle agitazioni, partecipa ai seminari, ma non

accetta le posizioni del Movimento Studentesco (MS): lo giudica

confusionario e pieno di “figli di papà” (benestanti). In questo

momento alla Statale primeggiano i gruppi filo-cinesi. Saverio

dibatte

ogni questione con molto interesse. Legge Mao e polemizza coi filo-

cinesi che ostentavano di possedere la vera ideologia rivoluzionaria

e

di essere la vera guida delle masse. Contrario ad ogni dottrinarismo

osteggia la boria intellettuale sostenendo che l’organizzazione ci

vuole ma che questa non deve distaccarsi dalle masse bensì

immedesimarsi con esse.

Le disagiate condizioni economiche non gli permettono uno studio a

tempo pieno. Deve pensare anche a lavorare per vivere. Così giovedì e

sabato fa il fattorino ai supermercati; per un certo tempo lavora

alla

Rizzoli al turno di notte intruppato in una carovana di facchinaggio;

qualche volta va a scaricare sacchi di patate ai mercati generali.

Pieno di entusiasmo e di vitalità egli si sforza di conciliare l’

impegno politico con lo studio universitario e il lavoro.

Naturalmente

tutto questo non avviene che a prezzo di duri sacrifici e in

condizioni

di particolare asprezza. Una notte, alla Rizzoli un suo compagno di

lavoro scrive una frase anti-padronale abbastanza colorita. La

direzione licenzia per rappresaglia tutti gli avventizi. Saverio, pur

criticando nella forma l’autore della scritta, ne condivide la sorte

senza rammarico.

Il trasferimento a Milano non lo staccò mai completamente dal paese

di

nascita al quale ritornava spesso. Due problemi gli stavano

particolarmente a cuore e lo tormentavano fin dalla prima giovinezza:

la grave condizione della manodopera locale e la distruzione del

parco

nazionale degli Abruzzi ad opera della speculazione edilizia. Nell’

estate del 1969 mentre lavora come falegname in un cantiere organizza

un gruppo di studenti lavoratori col proposito di denunciare il

supersfruttamento dei lavoratori stagionali costretti a lavorare

tutto

il giorno senza assicurazioni sociali. La denuncia è appena

articolata

che egli viene licenziato sui due piedi. Qualche giorno dopo anche il

fratello subisce la stessa [sorte]. Saverio non disarma. Sa che la

lotta politica va fatta, prima di tutto, nel proprio ambiente. Così,

appreso che il sindaco favorisce la speculazione edilizia, non esita

a

denunciare il fatto con un volantino. Per questa azione egli viene

minacciato, pesantemente, dal[lo stesso] sindaco.

Al suo rientro a Milano iniziano le lotte operaie per il rinnovo dei

contratti. Nell’ambiente studentesco non si fa che parlare di ciò:

dell’

atteggiamento verso i sindacati, degli obiettivi e dei metodi di

lotta,

della forma di partecipazione. Saverio comprende che per ogni

raggruppamento, che si qualifica rivoluzionario, diventa decisiva la

propria posizione concreta rispetto a queste lotte. Perciò discute

approfonditamente nella cerchia ristretta dei suoi amici tale

questione. Passa al vaglio l’atteggiamento dei vari gruppi: formula

le

proprie critiche; partecipa alle manifestazioni di piazza. L’

esperienza

accumulata gli consente di distinguere le differenze politiche

esistenti tra i diversi raggruppamenti. In tal modo egli è in grado

di

rompere quella sua naturale diffidenza, che lo portava a ripensare

più

volte una questione prima di decidersi e di compiere una scelta. Alla

fine di novembre, nel pieno sviluppo delle lotte operaie, Saverio si

avvicina alla nostra organizzazione [P.C.Int., Rivoluzione

Comunista].,

cominciando ad appoggiare i compagni che operano nell’ambiente

studentesco mediante il Comitato Studentesco di Agitazione

Rivoluzionaria (Csar). Il 23 dicembre [1969] egli è al nostro fianco

per manifestare contro il terrorismo borghese.

Con l’inizio dell’anno il suo appoggio diventa stabile. Non manca a

nessuna importante azione pubblica di partito. E’ attivo e

coraggioso.

Il 21 gennaio [1970] col “gruppo di autodifesa” reagisce alle cariche

della polizia che blocca il corteo alla partenza e, impegnandosi con

azioni diversiva, permette che il corteo si effettui muovendosi in un’

altra direzione. In questa come in altre circostanze egli rivela una

capacità notevole di adattamento da una situazione all’altra. Ma già

fin dai primi contatti con la nostra organizzazione egli rivela i

tratti più caratteristici della sua personalità: la fermezza e l’

abnegazione. Per lui si può dire, veramente, , che la lotta politica

era una cosa seria, un impegno passionale, che egli sentiva fino in

fondo.

Fino alla primavera i rapporti tra Saverio e il nostro raggruppamento

si basano essenzialmente sull’attività pratica. Egli appoggia il Csar

nella sua attività di agitazione. E’ dopo il 1° maggio che la sua

partecipazione all’attività complessiva di partito diviene completa,

continua e sistematica. Entrato a far parte del Csar egli partecipa

stabilmente al suo lavoro, sia pratico sia teorico. Qui egli mette in

luce, accanto alle sue doti pratiche, il suo talento intellettuale.

Perspicace e intelligente, egli impara in pochi mesi ciò che richiede

anni interi. La sua preparazione teorica migliora così a vista d’

occhio, stimolando le discussioni tra compagni e i dibattiti nelle

riunioni. Ma il suo miglior talento è lo spirito critico.

Trasportando

nel Csar il suo spirito critico egli ne anima le riunioni, ne ravviva

le analisi, fornendo a tutto il partito un contributo inestimabile.

Nel

Csar è rimasto fino all’attimo della sua uccisione, cioè fino a quel

momento in cui una bomba lacrimogena sparata da pochi metri di

distanza

colpendolo in pieno petto non gli ha spaccato il cuore.

Per la sua schiettezza, semplicità, era simpatico a migliaia di

studenti; mentre pochi sono gli operai che nelle grandi

concentrazioni

industriali del Nord non ricordino il suo viso. La sua militanza è

una

fonte di azioni esemplari. Molti giovani della sua età vi troveranno

numerosi esempi preziosi da seguire. Egli ha potuto dare solo questo

contributo, ma crediamo che ciò sia sufficiente a farlo entrare nella

storia del movimento operaio e comunista."

(L’Agitatore Comunista, organo dei gruppi studenteschi

internazionalisti, La Rivoluzione Comunista)


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