Censura per Riccardo Orioles
Chiesto sequestro preventivo per Fanpage – Precari con telecamere ‒ I siti Web inquinano più degli aerei e non solo – La Trattativa c’è stata, anzi no
CENSURATO RICCARDO ORIOLES ‒ Complice il periodo ferragostano, mi era sfuggita una notizia sulla censura nei confronti di Riccardo Orioles da parte di Facebook. Orioles, uno dei giornalisti italiani meno compromessi con il Potere gestito da destra o sinistra, uno dei “carusi” di Pippo Fava e oggi presidente onorario di Wikimafia e direttore dei I Siciliani Giovani, il 24 novembre 2003, aveva scritto un articolo sulla guerra in Afghanistan, Bin Laden e l’Arabia Saudita. Ora, dopo 18 anni, Facebook ha pensato (male) di bloccargli post e profilo per sette giorni perché violerebbe le condizioni di utilizzo di Facebook. Era accaduto anche all’associazione che Orioles presiede e cioè Wikimafia. Nel 2017 l’associazione aveva postato una protesta contro la possibile scarcerazione di Totò Riina e subito era intervenuti la mannaia di Facebook. La libertà di stampa, in Italia, continua a perseverare.
SEQUESTRO PREVENTIVO ‒ Ancora un colpo al diritto costituzionale d’informazione. La Procura di Roma ha chiesto e ottenuto il sequestro preventivo dell’inchiesta pubblicata da Fanpage “Follow the money”, sull’ex sottosegretario Claudio Durigon e i fondi della Lega. Il tutto è partito da una querela del comandante generale della Guardia di Finanza Giuseppe Zafarana, tirato in ballo dal dirigente della Lega durante una conversazione registrata. «Si tratta di un provvedimento che rimanda a pratiche mai utilizzate in Italia – protestano i giornalisti di Fanpage – che limita la libertà di stampa e che ci riguarda tutti. Per questo non possiamo stare in silenzio. Come giornalisti, come lettori e come cittadini». Dura anche la posizione di Ordine dei Giornalisti e del sindacato che ritengono il sequestro preventivo non in linea da quanto stabilito dalla Cassazione che nel 2015 ribadì che «il giornale online, al pari di quello cartaceo, non può essere oggetto di sequestro preventivo, eccettuati i casi tassativamente previsti dalla legge...». Una perla: il decreto è firmato da un Gip che nel 2013 era candidato per la Regione Lazio e alle Politiche del 2013 con il Movimento sociale-Fiamma Tricolore. Naturalmente un caso.
TELECAMERINE UNITE ‒ Li vediamo spesso nelle manifestazioni, nei convegni, quando succede un fatto di cronaca. Sono armati di telecamera e intervistano, riprendono, fanno servizi per Tv e giornali on-line. Sono giornalisti professionisti e pubblicisti. I più, però, sono giovani senza contratti né tutele. Ogni tanto li vediamo seduti sui marciapiedi con computer, modem, telecamera intenti a trasmettere, in diretta, quello che è avvenuto. Per questo stanno cercando di organizzarsi e hanno creato un’associazione che si chiama GVpress, Associazione italiana dei giornalisti-videomaker. Spesso sono insultati, minacciati, picchiati. «Le violenze contro i giornalisti – spiega Cristina Pantaleoni, 37 anni, presidente dell’associazione – sono sempre più frequenti. I videomaker, poi, sono particolarmente esposti perché mentre i giornalisti della carta stampata possono passare inosservati, noi con la nostra telecamera in mano siamo facilmente identificabili. Siamo preda di insulti e anche di aggressioni fisiche». Gli aderenti all’associazione sono, per ora, 76 e la maggior parte di loro ha contratti di lavoro precari. Le retribuzioni? Molto ballerine. Se hai la fortuna che una grande Tv ti acquista il video, puoi anche ricavarci 400 euro, ma la stragrande maggioranza delle volte i video sono pagati poco, anche 20 euro. Se durante tafferugli la tua attrezzatura subisce dei danni, te la devi riparare tu e sei coinvolto in procedimenti penali, ti devi cercare l’avvocato e pagarlo.
I SITI WEB INQUINANO ‒ In un anno un sito web di grande popolarità e ricco di contenuti produce tanta Co2 quanto un aereo che percorre 6,3 milioni di chilometri. Praticamente quanto 913 voli di sola andata Roma-New York. Oppure tanto quanto un’automobile che percorre 13,5 milioni di chilometri. Un sito molto visitato arriva infatti a produrre 1.800 tonnellate di anidride carbonica all’anno. E a inquinare non sono solo i siti. Come scrivono Alice Scialoja e Federico Finocchi su LaPresse, alla produzione di emissioni contribuiscono anche le app, le email, i selfie, i post sui social, i video in streaming, il backup dei dati e tutte le attività automatiche del web. E inquinano anche le criptovalute con le emissioni digitali pari a un miliardo e 850 milioni di tonnellate all’anno nel mondo. Con queste cifre, le criptovalute diventano il quarto Paese che inquina maggiormente dopo Cina, Stati Uniti e India.
UNA TRATTATIVA È PER SEMPRE ‒ Si continua a dire che in Italia non c’è libertà di stampa e, invece, c’è, eccome. Ognuno, infatti, può raccontare tutte le cazzate che vuole e i giornali (e Tv) lo fanno, soprattutto, in questi giorni dopo la sentenza sulla Trattativa Stato-Mafia. I giornali hanno scritto che la trattativa non c’è stata ma, subito dopo, che per fortuna che la trattativa fra CC e mafiosi c’è stata così da fermare le stragi e Mori (proposto senatore a vita per meriti speciali) ha fatto bene a farla. In Tv si fanno paragoni arditi mettendo a confronto la trattativa con Riina e Provenzano e la trattativa dei poliziotti che trattano coi rapinatori di una banca per liberare gli ostaggi. Insomma, una grande melassa. Perché allora siamo finiti al 41° posto nella classifica sulla libertà di stampa, dietro a Namibia e Burkina Faso? Boh!
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