Caso Campisi: malasanità, mobbing o cos’altro?
Un giorno la tegola inaspettata: una grave malattia dell’intestino, il morbo di Crohn, lo costringe a lasciare l’attività operativa per quella burocratica.
Gaetano Campisi è un maresciallo dei carabinieri in pensione. Entra nell’arma all’età di diciassette anni e, dopo un normale periodo di addestramento, viene impiegato in prima linea: antidroga a Roma, Napoli e Milano; partecipa alle indagini per la strage di piazza della Loggia a Brescia; poi all’antimafia di Palermo; infine entra a fdar parte della scorta di un magistrato. Anni di servizio vissuti con dedizione e amore per quella che per Gaetano è una vera e propria missione. Un giorno la tegola inaspettata: una grave malattia dell’intestino, il morbo di Crohn, lo costringe a lasciare l’attività operativa per quella burocratica. E’ l’inizio di un calvario inaudito.
Nel 1991 gli viene diagnostica una “rigidità dell’io”. Diagnosi, tra l’altro, contestata da due cliniche universitarie, rispettivamente quella di Siena del prof. Saulo Sirigatti e di Pisa, del prof. Pietro Sarteschi e, in terza battuta, dal prof. Arnaldo Ballerini, come consulente esterno, chiamato in causa dalla amministrazione. Viene, quindi, ritenuto idoneo al lavoro e riammesso in servizio. Nel febbraio del 2003, nuova visita presso l’infermeria presidiaria del Comando Regione Carabinieri a Firenze. Giudicato “non idoneo” con una prognosi di trenta giorni. “Reazione ansiosa in situazione di conflittualità” è la diagnosi riscontrata.
Ma leggiamo cosa scrive lo stesso Campisi in un documento (che allego integralmente) inviatomi per via e-mail. Terminati i trenta giorni “fui inviato al Centro di Militare di Medicina Legale di Firenze dove la commissione medica (composta da pediatra, dermatologo, otorinolaringoiatra ecc...) mi ha trattenuto in malattia per ‘rigidità caratteriale’ per altri due anni. Sono stato, infine, posto in congedo per un altro lungo periodo di malattia”. E’ la stessa amministrazione che consiglia a Campisi di consultare, attraverso l’area intranet del portale dell’Arma, il sito dell’Ordine Nazionale degli Psicologi, “cui fare riferimento per l’individuazione di un professionista super partes”. Campisi contatta diversi esperti. Le diverse risposte non lasciano adito a fraintendimenti. “La rigidità caratteriale non è una diagnosi nè psicologico clinica né psichiatrica ma un’attribuzione che descrive alcune caratteristiche della personalità”.
E c’è chi ipotizza “ che si sia trattato di una situazione di conflitto esasperato e autoalimentato negli anni, in cui sono stati trasformati in diagnosi psichiatriche alcuni tratti di personalità non patologici di per sè, ma che sono apparsi tali nel contesto di rivendicazione che si è creato”. Ad ogni modo “non ci sono trattamenti terapeutici da attivare neppure di tipo psicoterapeutico”. Lo scorso 12 maggio l’Azienda sanitaria n. 10, ambulatorio di psichiatria, pone la parola fine sulla vicenda. “Anche a nostro giudizio, il termine ‘persistente rigidità caratteriale’ , attribuito al Campisi dall’Infermeria Presidiaria della Regione dei Carabinieri della Toscana, non corrisponde nè ad una definizione psicologico - clinico, né ad una diagnosi psichiatrica. Anche a nostro parere il signor Campisi non necessita né di cure psichiatriche, né di trattamento psicologico”. Resta una profonda e giustificata insoddisfazione in Campisi.“La ‘rigidità caratteriale’ diagnosticata dagli organi sanitari militari, spesso consulenti presso i Tribunali Italiani” è o non è una patologia?; In caso affermativo a chi spetta mettere in atto tutte le cure necessarie? “A seguito di questa diagnosi, perché ho perso il mio posto di lavoro?”; per la “malattia o per quale altro motivo?”; infine, “è stata violata la legge 13 maggio 1978, n. 180, meglio conosciuta come legge Basaglia?”. Sono tutte domande alle quali nessuno, finora, ha dato una risposta. Nonostante l’impegno di alcuni parlamentari (Elettra Deiana, Giovanni Russo Spena e Luigi Malabarba) che, negli anni, hanno presentato diverse interrogazioni sul caso.
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