Camorravirus?

Napoli tuona contro i provvedimenti restrittivi ordinati dal governatore campano.
Venerdì 23 ottobre, in concomitanza con la chiusura delle attività alle 23 e in risposta all’annuncio di De Luca di un prossimo lockdown per mitigare il crescente numero di contagi e limitare la pressione sugli ospedali, nei pressi di via Santa Lucia, dinanzi la sede della Regione, sono scoppiati scontri tra una parte dei manifestanti e le forze dell’ordine. Il corteo era stato organizzato sui social, si era mosso lungo le vie del centro, accogliendo al suo interno commercianti, imprenditori e altre categorie sociali, cittadini colpiti e, in qualche caso, stremati da un’annata travagliata e non destinata a concludersi, anzi. La protesta è diventata, come si è detto, violenza urbana, guerriglia: sassaiole, bottiglie incendiarie, cassonetti in fiamme, attacchi alle camionette della polizia, auto in sosta distrutte. Ed è su questo aspetto che si sono incentrate le analisi e le condanne, le assoluzioni e le spiegazioni di un fenomeno drammatico, da qualsiasi parte lo si voglia vedere e collocare. Perché Napoli è parte integrante di un Sud che era stato sostanzialmente risparmiato dalla prima ondata di Covid-19, che aveva conosciuto la strozzatura economica senza raggiungere, però, i livelli di urgenza sanitaria che, in primavera, avevano graffiato alcune regioni centro-settentrionali del Paese. La seconda ondata del contagio ha colpito con forza la Campania, l’ha scossa seriamente, provocando la reazione dura del governatore della Regione, aprendo la strada a una protesta che appare estrema, ma non incomprensibile.
Nei giorni successivi agli scontri, è partita la ridda di opinioni sulla reale natura di quelle violenze. Protesta sociale, esasperazione o rabbia manovrata da forze politiche di estrema destra e/o criminali, pronte a soffiare sul fuoco del disagio cittadino per finalità eversive o di altra natura? Il presidente della Commissione antimafia, Nicola Morra, non ha dubbi, la guerriglia è figlia, tra le altre cose, della regia occulta della criminalità organizzata, come attestano, secondo le sue dichiarazioni su Facebook, le presenze di uomini dei clan della Pignasecca, del Pallonetto e dei Quartieri Spagnoli. In realtà, Morra sfuma e allarga la responsabilità degli scontri, facendo riferimento anche alla presenza immateriale, non fisica, dei negazionisti “non ce n’è Coviddi”, che così tanto spazio hanno ricavato nei social, e del loro sprezzo per l’evidenza drammatica del contagio. Nella stessa direzione di Morra vanno altri esponenti politici e larga parte della carta stampata, a partire dal presidente dell’Ordine dei giornalisti campani, Ottavio Lucarelli, che sottolinea come gli scontri abbiano messo in luce il “volto della Napoli dei clan”. In questa stessa direzione si muove “Il Mattino”. Alla base delle proteste divenute scontri urbani ci sarebbero, secondo il quotidiano napoletano, negazionisti di estrema destra, teppisti da stadio, uomini dei clan, per i quali ultimi gli scontri hanno una ragione ben precisa: “questione di consenso e di controllo del territorio, specie quando in città si abbatte il coprifuoco, si spegne la movida, che chiude i canali principali per la vendita di droga e per il riciclaggio del denaro sporco. Specie quando il malessere sociale diventa il terreno ideale per rigurgiti di stampo eversivo”. Con toni accorati circa i rischi per la democrazia, si muove, inoltre, un editoriale del giornale online “Basilicata24.it”: attenzione a non cadere nella trappola di credere a una rivolta sociale, dietro la quale si muovono invece neofascisti e camorristi, pronti a strumentalizzare il disagio cittadino per ricavarne vantaggi illeciti e indebolire il tessuto democratico.
Non tutta la stampa né tutti i commentatori accolgono, però, l’orchestrazione camorristica o neofascista della protesta violenta. Il commento di Roberto Saviano, in un’intervista online su “Open”, è netto: la camorra non c’entra, come non c’entrano, a suo giudizio, gli ultrà o i militanti fascisti; componenti, queste, che definisce “scorie che si sono agganciate alla disperazione”. E nel corso del suo dialogo non manca di trovare responsabilità politiche precise (quelle di De Luca, fra gli altri) che hanno innescato una miccia drammatica di natura socio-economica, così come non si esime dal sottolineare che dal lockdown, in realtà, la camorra avrebbe più da guadagnare che da perdere. Su una strada consimile si muovono le dichiarazioni, via Facebook, di un centro sociale napoletano, Insurgencia: un certo fastidio per la “canea di analisi sociologiche delle piazze”, su chi c’era e chi non c’era, e una sottolineatura ferma del profondo disagio socio-economico della Campania a fronte di scelte politiche regionali sbagliate, la critica all’approccio al problema, ossia “non si governa la povertà con la paura”.
Ecco, dietro la protesta violenta napoletana c’è tutto e il contrario di tutto, stando ai commenti più o meno autorevoli e informati. È difficile fare ordine in questa situazione e in un avvenimento che trova un parziale corrispettivo negli scontri romani di sabato sera. Parziale perché, in questo caso, più evidente e netta pare l’organizzazione di Forza nuova, in una città, la Capitale, certo tutt’altro che esente da forme di criminalità organizzata legate a doppio filo all’anima nera, nerissima che grava attorno e, in parte, dentro al Palazzo. Bisognerà aspettare per capire se le proteste napoletane più radicali abbiano o meno ricevuto sostegno e guida da parte della camorra, per comprendere quali vantaggi possano ricavare dal soffiare sul fuoco del disagio sociale quelle frastagliate galassie gangsteristiche in cui è frammentata, oggi, l’Onorata società partenopea. Ha ragione Saviano quando osserva che la camorra trae vantaggi economici dal lockdown, facendo prestiti, acquistando ristoranti e locali che falliscono, supportandone altri con soldi riciclati (e questo non solo in Campania). Come spiega un interessante articolo online di “voxeurop”, pubblicato il 24 agosto scorso, il grande traffico di droga, ad esempio, sembra aver risentito poco della pandemia, registrando, anzi, in alcuni Paesi un’espansione dei commerci. Altri opinionisti e altri commentatori hanno rimarcato quanto le mafie, non solo quelle nostrane, abbiano tratto profitto dal Covid19: Chiara Caraboni, su “Urbanpost” (25 agosto), rileva come l’usura sia aumentata del 10% circa durante la pandemia, come la dark economy frutti sempre più nei consueti servizi offerti dalla criminalità organizzata alla cittadinanza: pompe funebri, trasporti, comparto alimentare, sanità. Del resto, non ricordava proprio Saviano come questo settore avesse conosciuto l’infiltrazione silenziosa delle mafie, portando quale esempio il caso di Carlo Chiriaco, direttore dell’ASL di Pavia e, al contempo, referente della ‘ndrangheta nella sanità lombarda? (“la Repubblica”, 22 marzo 2020).
Il provento economico – “caccia’ l’oro de’ piducchie”, come sostenevano i membri della camorra già a ridosso dell’Unità d’Italia – è il faro illuminante per un’organizzazione che la politica l’ha usata e la usa come mezzo e non come fine. È nella storia della criminalità organizzata questo mantra, questo approccio duttile al contesto in cui si afferma. Proprio negli anni di trapasso dal regno di Franceschiello alla piemontesizzazione del Sud, i camorristi furono, di volta in volta, alleati dei Borboni contro i patrioti e alleati di questi ultimi contro i Borboni; e fu in funzione di questa seconda saldatura che poterono consolidare una presenza solida nel Paese all’indomani dell’Unità. Gioverebbe, dunque, ai clan una protesta eversiva? Sarebbe economicamente vantaggioso? Contribuirebbe ad accrescere il loro controllo del territorio, già piuttosto incisivo al Sud? Personalmente, ho qualche dubbio, soprattutto se quella napoletana resterà una protesta isolata, priva di ulteriori agganci con altre realtà del Paese. Quando le mafie hanno avuto bisogno di nuovi referenti politici o quando hanno sentito l’esigenza pressante di liberarsi dal soffocamento operato da un attacco deciso dello Stato nei loro confronti, lo hanno fatto colpendo obiettivi diversificati e lo hanno fatto con grande forza d’urto. È quanto ci ha raccontato l’inquietante verdetto, in primo grado, della trattativa Stato-mafia.
Certo, la camorra potrebbe trarre vantaggi in termini di consenso accogliendo, da buon padre di famiglia, le grida di dolore dei cittadini più a disagio e strozzati dalle conseguenze della pandemia, presentando il volto benevolo di chi, davanti a uno Stato sordo, ha orecchie per ascoltare e voce per protestare. E braccia per lanciare bombe carta. Ma lo stesso volto benevolo, almeno inizialmente, può presentarlo sovvenendo, e poi avvelenando, persone, famiglie, esercizi commerciali e imprese in crisi. Ora che la politica pare congelata in un silenzio sospetto dinanzi al problema delle mafie, ora che altri drammi campeggiano sulle pagine dei giornali e nella mente dell’opinione pubblica, perché fare scarmazzo, come direbbe il buon Camilleri? Perché scuotere le acque? Cui prodest? A chi giova davvero? Non dico che non si possa rispondere sensatamente a queste domande, dico che appare troppo automatica l’associazione protesta a Napoli – regia camorristica, dico che sarebbe il caso di aspettare prima di esprimere opinioni sicure.
La pandemia ha turbato gli equilibri, fragili, del Paese, quelli su cui riposavano i compromessi fra politica ed economia illegale (il lavoro nero, tanto per fare un esempio), su cui galleggiavano i divari socio-economici in termini di istruzione all’interno di una scuola palesemente oltraggiata negli anni da tagli e disaffezione politica, su cui dormiva una sanità svilita da decenni di miopi politiche di adeguamento ai mutamenti strutturali della società, oltraggiata dalla cecità dinanzi al potenziamento delle forme di intervento preventivo e non esclusivamente ospedaliero; penso, in tal senso, alla gracile rete della medicina di base. Quelle scelte, a dir poco inadatte, ora sono più evidenti, escono allo scoperto, diventano insopportabili. A Napoli è andato in scena il primo atto del Re nudo, un breve compendio della nostra storia repubblicana. È probabile che seguiranno altri atti, che ci consentiranno, forse, di attribuire con maggior precisione e sicurezza le responsabilità. Ed è importante non sbagliare in questa attribuzione. Già molto tempo fa, un evidente errore (?) di prospettiva analitica portò i ceti dirigenti a trattare il disagio meridionale, confluito nel brigantaggio tra il 1861 e il 1865, come un fenomeno criminale. In parte, era anche così. Ma solo in parte. La durissima legge Pica curò la febbre, il brigantaggio, senza curare i sintomi, ossia il malessere economico e sociale del Sud della penisola. Quanto quei sintomi siano ancora presenti, è sotto gli occhi di tutti. La Covid-19 ha soltanto, con discutibile senso dello spettacolo, alzato il tappeto dove nascondevamo la polvere.
Fonti: https://www.ilmattino.it/napoli/cronaca/scontri_a_napoli_coprifuoco_coronavirus-5544087.html
https://www.open.online/2020/10/25/scontri-napoli-coronavirus-roberto-saviano-intervista/
https://voxeurop.eu/it/come-narcotraffic-adattato-pandemia-coronavirus/
https://www.basilicata24.it/2020/10/covid-19-a-napoli-la-protesta-guidata-da-neo-fascisti-e-camorristi-86100/
https://www.repubblica.it/cronaca/2020/03/23/news/la_mafia_del_virus_dalla_droga_alla_sanita_la_pandemia_aiuta_l_economia_criminale-252023708/
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