Cambio poltrona a Repubblica mentre Elly Schlein canta
Dopo aver diretto, per 4 anni e mezzo, la Repubblica, il direttore Maurizio Molinari lascia e, al suo posto, arriva Mario Orfeo.
IL FATTO – L’addio di Molinari e l’arrivo di Orfeo. Parlano di tutto, ma non di guerra e degli scioperi di Repubblica. Meglio stare coperti e allineati mentre Elly Schlein si fa una cantatina.
IL COMMENTO – Dopo aver diretto, per 4 anni e mezzo, la Repubblica, il direttore Maurizio Molinari lascia e, al suo posto, arriva Mario Orfeo. Già la scorsa settimana ne avevamo parlato. Oggi voglio ”avvicinarmi” ai due editoriali del “vecchio" direttore e di quello "nuovo". Gli editoriali di chi lascia e di chi subentra, sono un po’ come i buoni propositi che, da ragazzini, facevamo ai genitori dopo un brutto voto preso a scuola o le promesse al prete dell’oratorio fatte pur di continuare a giocare a pallone. E leggendo questi editoriali riusciamo a capire che linea sposerà quel determinato giornale. Il caso ha voluto che l’addio di Molinari avvenisse il 7 ottobre, data nefasta per Palestina e Israele. E il lettore si aspetta che il direttore citi, anche solo di sfuggita, questo terribile avvenimento. Invece Molinari, nell’editoriale di addio, non nomina mai né la Palestina e neppure Israele. E neppure Russia e Ucraina. Eppure il quotidiano Gedi proprio per le sue posizioni su questo massacro permanente, ha perso firme importanti come Bernardo Valli, Gad Lerner e Raffaele Oriani. A detta di Molinari «i più temibili nemici al momento in circolazione» sono «populismo e autocrazie». Vabbè l’ex direttore di Repubblica può permettersi questo e altro. E gli scioperi fatti negli ultimi tempi nel giornale che dirigeva? Qualche cenno? Poche righe per chiarire al lettore perché si è scioperato? Nulla di tutto questo. E questo grave episodio non viene citato neppure dal “nuovo” Mario Orfeo. Perché alla fine del settembre scorso ci sono stati due giorni di sciopero a la Repubblica? I lettori dell’ex giornale scalfariano non lo debbono sapere dal proprio giornale. Eppure la vicenda è semplice: la Gedi (l’editore John Elkann) si era intromessa a seguito di un convegno a Torino - (Italian Tech Week) - sulle nuove tecnologie. Nella pratica, c’erano articoli pagati dalle aziende e presentati sotto forma giornalistica. E così il CdR di Repubblica, proprio per rispetto nei confronti del lettore che ha il diritto di sapere se un articolo è pubblicità o cronaca, aveva bloccato il giornale. Viene in mente cosa affermava, sulla commistione informazione-pubblicità Piero Ottone, uno che di giornali se ne intendeva. Ottone fa il caso di quando nacque Amica. Il settimanale (nato nel 1962 e oggi mensile), iniziò a vendere spazi redazionali ai pubblicitari. Questa cosa Ottone la giudica «inammissibile, un inganno». Perché? Perché il lettore «ha il diritto, quando legge il testo d’un giornalista, di pensare che questi scrive in buona fede ciò che ritiene giusto, e non che scrive per fare un favore a qualcuno in cambio di pubblicità». Il fondo di Mario Orfeo è come bere una camomilla: non fa male e non si sa se farà bene. Il titolo è tutto un programma. Sentite l’enfasi: «Noi, i lettori e un’idea di Paese senza rancore». Confrontatelo con questo titolo, scritto da Eugenio Scalfari per il primo numero di la Repubblica mercoledì 14 gennaio 1976: «Un giornale indipendente ma non neutrale». Su quel primo numero, fra gli altri, Giorgio Bocca scriveva un articolo dal titolo «Innocenti: come si uccide una fabbrica». Altri tempi, certo. In compenso Orfeo ringrazia tutti o quasi. Ringrazia la Gedi che gli «ha dato fiducia e libertà di mandato». Cita un sacco di ex colleghi ma dimentica gli ex direttori Calabresi e Verdelli. Quest’ultimo “cacciato” da Repubblica perché bravo e autonomo. E sulle guerre in corso? Mario Orfeo parla chiaro: «… solo chi è in malafede può confondere aggressori e aggrediti o regimi e democrazie» e che «allo stesso modo non deve essere consentito a nessuno di chiudere gli occhi davanti alle stragi quotidiane di civili innocenti, madri e bambini». Capito? A proposito. Mi sono dimenticato di sottolineare il titolo dell’editoriale di Molinari. Sentite un po’: «Informazione di qualità e coraggio di innovare». Forse è stato il troppo coraggio e la qualità dell’informazione a far diminuire le copie vendute di Repubblica. Intanto apprendiamo che la scorsa settimana la segretaria del Pd, Elly Schlein, è salita sul palco del Forum di Assago in quel di Milano e ha cantato e ballato assieme agli Articolo 31 per esibirsi con J-Ax. Vivendo al tempo dei social, era naturale che avesse successo. I giornali hanno parlato di rottura degli schemi tradizionali, di un’idea politica più vicina alla vita quotidiana delle persone, di nuovo linguaggio politico. Non ho molta affinità con questo mondo fatto di memi e cose del genere. Ho voluto però occuparmi delle parole cantate da Elly Schlein. Una strofa così recitava: «Si dice che c’è il nuovo che avanza, invece è solo il vecchio che ritenta che ci canta Dadaumpa, che non sente che la gente certamente ne ha abbastanza, si gonfia fra gli elogi della stampa. Che non sarei arrivato a niente scrisse un giornalista, ora i miei dischi vendono 50 volte la sua rivista e la sua parola è passata e basta invece questa resta e bussa in testa a te». Sarò tardo e lasagnone e, naturalmente, vecchio. Probabilmente non ho capito il nuovo linguaggio politico, non ho notato un’idea politica più vicina alla vita quotidiana delle persone. Sì, sono vecchio e Dapaumba e le chilometriche gambe delle Kessler mi piacevano. Ma cara Elly, invece di Dadaumpa, non potevi farci capire sulle guerre in corso da che parte stai?
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