Caccia al tesoro

Cosa si nasconde in questo comunicato della NASA?
Che bello, avremo di nuovo degli “umani” nello Spazio. E quant’è bella la lingua inglese, che con “humans” mette insieme uomini e donne senza prendersi la responsabilità della disambiguazione. A lungo ho desiderato che anche la mia lingua madre, l’italiano, fosse gender friendly come l’inglese, ma oggi faccio dietro-front perché l’altra faccia dell’assenza di desinenze è la possibilità di generalizzare il non generalizzabile.
Mi spiego. Tempo fa, sull’onda dell’epurazione linguistica trumpiana, anche alla NASA è stato ordinato di modificare il suo linguaggio inclusivo (la stessa parola inclusion è fra quelle bandite) e cancellare le notizie riguardanti la presenza di donne e neri/e nella prossima missione lunare. Sul momento si è sollevato un polverone, messo in parte a tacere dall’assicurazione che le donne avrebbero continuato sì, a far parte dei programmi, ma senza che la loro identità di genere fosse messa in evidenza nella comunicazione.
Anche in Italia se ne è parlato (soprattutto nei blog e sui social), a proposito della missione Artemis che doveva appunto “portare per la prima volta una donna e una persona di colore sulla Luna”.
Non ci credete? Andate nel sito della NASA, fate ricerche su donne astronaute e … buona caccia al tesoro!
Per iniziare, vi mostro questo recentissimo comunicato che ho ricevuto dalla newsletter della NASA:
- Comunicato della NASA sulla missione Axiom
HUMANS IN SPACE Axiom Mission 4 Launch Update
NASA, Axiom Space, and SpaceX are now targeting no earlier than Sunday, June 22, for the launch of Axiom Mission 4, the fourth private astronaut mission to the International Space Station. Peggy Whitson, former NASA astronaut and director of human spaceflight at Axiom Space, will command the commercial mission. Live launch coverage will stream on NASA+.
Come potete vedere, non c’è alcun accenno a donne, anche se Peggy Whitson (la terza da sinistra) è decisamente una donna, e credo – scusate: probabilmente è solo un’opinione tendenziosa ma mi piace credere che sia davvero così – che i tre maschietti dell’equipaggio mostrino (chi più chi meno visibilmente) i loro caratteri sessuali secondari (= barba, baffi, peluria sul viso) senza radersi, in modo da far trapelare con soddisfazione e stima la grandiosa novità – perché LO È – di essere comandati da una donna.
Le immagini possono comunque confondere… indossano tutti tute e caschi, e i lineamenti “femminili” spariscono facilmente. Ma ancor più facilmente spariscono nel linguaggio: Peggy Whitson, former NASA astronaut and director of human spaceflight at Axiom Space, will command the commercial mission. A parte il nome, che è certamente femminile (ma quanti nomi possono essere maschili e femminili? Pensiamo a Logan, per esempio, o anche ad Andrea), non c’è alcun indizio della sua appartenenza al genere femminile. La lingua inglese, spesso portata a modello per la sua inclusività, di fatto nasconde tale appartenenza in un momento in cui sarebbe rilevante, invece, esplicitarla.
Bravissimi i comunicatori della NASA, che devono cavarsela per non perdere il lavoro, barcamenandosi fra obbedienza e resistenza. Ma io personalmente voglio che sappiate la verità.
Peggy Whitson è a tutti gli effetti una donna. Ha un dottorato in Biochimica ed è stata la prima donna non militare a capo dell’Astronaut Office. Durante la sua lunga carriera nella NASA si è recata tre volte nella Stazione Spaziale Internazionale (ISS) raggiungendo un totale di 675 giorni nello Spazio, ed è stata la prima comandante donna della stessa ISS. Nel 2017 stabilì il record di 60 ore e 21 minuti di passeggiata nello Spazio, e le sue 10 passeggiate sono tuttora il massimo che una donna abbia mai fatto. Per dovere di cronaca: il suo record è stato battuto solo nel gennaio 2025… da un’altra donna, una militare, stavolta: Suni Williams (62 ore e 6 minuti).
Ora, questa cancellazione è gravissima e ci mostra come il linguaggio non sia mai neutrale. È vero che… maschi o femmine, che importa? … Che ci importa dello Spazio, quando ogni giorno muoiono in guerra decine, centinaia di innocenti, bambini e bambine, uomini, donne, asessuali, bisessuali, transgender? Vero. Ma se misuriamo la fatica con cui le donne si sono ribellate all’egemonia del patriarcato, la resistenza che hanno opposto alla discriminazione, e la cancellazione del loro contributo a livello storico – pensiamo alla storia di Katherine Johnson (1918-2020), la matematica della NASA a cui sono dedicati il romanzo e il film Il diritto di contare (2016) – credo che sia almeno legittimo, se non doveroso, esprimere tutto il nostro risentimento per questa ennesima delegittimazione di cui siamo vittime.
E chiudo con una preghiera. Non lasciamo che quello che sta accadendo accada. Rivendichiamo il diritto non solo di leggere (e di leggere tra le righe), ma di esaminare, analizzare e contestare. Rivendichiamo la nostra autorevolezza nel seminare il dubbio, rintracciare le falsità e farle venire alla luce. Ce lo chiedono le donne che hanno lottato per noi e per le generazioni che verranno.
Fonte immagini: l’icona è un particolare, virato in sepia da Girodivite: di Adam Cuerden - NASA, Pubblico dominio, Wikimedia;
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