Bud Spencer, in arte Carlo Pedersoli
Un altro monumento di Napoli ci ha lasciati orfani di una cultura alla quale, molti di noi, hanno affidato la propria infanzia.
Il cinema era al di là del torrente, che divide ancora oggi i tanti paesini della riviera jonica messinese. Era l’unico che potevi trovare lungo tutta la costa che da Messina porta a Catania. Certo, c’era Taormina e il suo festival, ma negli anni ’70, era ancora un palcoscenico elitario, difficilmente accessibile.
Il torrente lo attraversavamo a piedi. Quasi sempre in secca, si partiva da Nizza di Sicilia e si giungeva alle prime case di Alì Terme. Molti di noi, per anni, hanno sconosciuto il resto del paese, come se quel cinema rappresentasse le colonne d’Ercole per le nostre fughe adolescenziali.
Il cinema Vittoria, ancora in fervida attività, proponeva film non sempre recentissimi, Sergio Leone la faceva da padrone, e i primi filmetti osé con la Fenech a conturbare le raffreddate fantasie degli inverni troppo "coperti", dopo le estati di turisti e anatomie da far scaldare dal sole, completavano lo striminzito cartellone stagionale.
Noi, all’epoca ragazzini delle scuole medie, andavamo al cinema attirati da altro. Troppo ingenui ed ancora poco smaliziati per apprezzare le rotondità della Edwige nazionale, lasciavamo i nostri abbecedari a casa e ci accodavamo al botteghino per acquistare il biglietto ed entrare (rubiamo i versi di una nota canzone di Edoardo Bennato), a vedere i film del nostro personale Mangiafuoco.
La stazza esuberante, ma atletica, da contraltare agli occhi azzurri del compare di avventure. Nomi americanizzati che ci hanno ingannato per anni sulla loro reale origine. Sono stati gli emblemi delle nostre reazioni alle prepotenze gratuite, le scazzottate ricostruite seguendo un copione da spettacolo da circo. Bud Spencer e Terence Hill hanno saputo ridicolizzare la violenza, i guappi di cartone, a volte trasformati in guerrieri della notte.
Ci hanno fatto conoscere le strade americane che non riuscimmo a vedere nei censurati episodi della sagra de Il Padrino. Anche le colonne sonore, filastrocche cantate in inglese dai fratelli De Angelis, quasi a volere rappresentare una linea di continuità della maschera americana recitata da Alberto Sordi.
Ci hanno fatto vestire i panni dei poliziotti, dei difensori dei deboli nel selvaggio west, dei pezzenti sagliuti a miliardari a scardinare bande di malavitosi. Anche quando il grosso dei due, come più semplicemente riuscivamo a distinguerli, vestì il ruolo del commissario napoletano, in lotta con le sole mani, contro la camorra delle droghe all’uscita delle scuole, capimmo che si poteva lanciare messaggi educativi con la metafora del pugno, una battuta in dialetto e l’indimenticabile Enzo Cannavale a fare da spalla.
Quello che non è riuscito a dividere il cinema, in cerca di nuovi stimoli, spesso deleteri e rasenti l’idiozia, anche quando Bud e Terence presero strade diverse nella loro carriera, ci è riuscita la vita. Quella che ha spento l’ultimo ciak del sorriso barbuto che, già oggi, cominciamo a rimpiangere.
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