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Binomi di parole (6): Disoccupazione e Preoccupazione

La nostra è una società della preoccupazione negata. E non avremo post-occupazione perché ci saremo distrutti molto prima di avere il tempo di inventare nuovi concetti per nuove parole.

di Alessandra Calanchi - mercoledì 1 novembre 2023 - 518 letture

Stavolta parliamo di prefissi: DIS e PRE, entrambi premessi alla stessa parola, ne modificano il significato in modi diversi. DIS in generale significa che qualcosa non va proprio come dovrebbe (dispepsia, disarmonico, disfunzionale, disonesto; cadere in disuso; disaffezionarsi), mentre PRE allude semplicemente a un “prima” (previsione, presagio, predisposizione, preambolo). Quanto a “occupazione”, significa molte cose: impiego (ingl. employment), attività del tempo libero (hobby), e l’aggettivo “occupato” oltre alle due definizioni di cui sopra può riferirsi a una linea telefonica che non è libera o a una persona indaffarata (busy), a una persona fidanzata (engaged). È dunque una parola con molti significati, oltre che con diversi prefissi. Quindi, una parola importante.

Ma se “pre” significa “prima”, verrebbe da pensare che preoccupazione si riferisca a un tipo di stage, di tirocinio, di corso di formazione per chi dovrà iniziare un lavoro. Niente di tutto ciò. In questo caso la parola occupazione, preceduta da “pre”, non ha nulla a che vedere col lavoro, bensì con un’attività mentale, un inutile e finanche dannoso lavorìo del nostro cervello, che precede i fatti che devono ancora accadere. Cioè: per paura, timidezza, ansia, ci sottoponiamo a uno stress emotivo prima che il fatto che temiamo accada: troppo presto, anzi, perché c’è una sorta di negatività implicita nella parola – perché preoccuparsi? Che cambia? Nulla. Perché pre-occuparsi che scoppi una guerra? Per il futuro dei figli? Per il cambiamento climatico? Viviamo nel presente, questo è il mantra che dai latini in poi (Carpe diem) passando per il Rinascimento (chi vuol esser lieto sia, del doman non v’è certezza) ha de-responsabilizzato chi voleva seriamente pre-occuparsi, cioè agire in modo responsabile rispetto a un problema che non tutti percepivano come tale. È la sindrome di Cassandra.

La nostra è una società della preoccupazione negata. E non avremo post-occupazione (un termine che in verità mi piacerebbe sostituire a “pensione”) perché ci saremo distrutti molto prima di avere il tempo di inventare nuovi concetti per nuove parole.

Quanto alla dis-occupazione, invece, quella prospera. La nostra è un Repubblica fondata sul lavoro, cioè sull’occupazione, ma sarebbe meglio aggiornare la Costituzione. Quale lavoro? Gli indici di inoccupati, disoccupati, lavoratori precari (diversamente occupati?) fanno venire i brividi, e chi è occupato spesso ha stipendi più bassi di tutta Europa. (C’è anche, pare, chi ce l’ha così alto, ma così alto che potrebbe comprar casa ogni mese, ma non voglio crederci). Il termine è comunque poetico: lo usò, trasformandolo poeticamente in ingiunzione politica, il compianto Claudio Lolli nell’album Disoccupate le strade dei sogni. Ma quello era il 1977, una vita fa. Allora, nonostante le bombe e la polizia, c’erano anche zingari felici. Oggi non sono felici nemmeno i professionisti. E più o meno negli stessi anni a Napoli nasceva l’organizzazione dei Disoccupati organizzati. Altri tempi, appunto.

Esiste poi un caso speciale: il dis-occupato pre-occupato, un personaggio ibrido, ossimorico, che è in realtà doppiamente occupato: sia a cercare un lavoro, sia a pensare al suo tragico futuro qualora non dovesse trovarlo. E sono molti più di quanti possiamo immaginare, credetemi.


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