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Bhopal. Una strage dimenticata

Nella notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984, una fuoriuscita di gas tossico da una fabbrica americana situata a Bhopal, in India, provocò la morte di almeno 30.000 persone. Chi pagò per l’ennesima strage dell’occidentalizzazione selvaggia del Terzo mondo? Nessuno! Oggi, addirittura, pochi la ricordano.

di Piero Buscemi - mercoledì 14 gennaio 2004 - 12992 letture

Bhopal. Una strage dimenticata.

Sono passati diciannove anni da quella terribile notte. Tra il 2 e il 3 dicembre del 1984, una nube tossica fuoriuscì da una fabbrica americana di pesticidi, situata in una delle città più antiche e ricche di storia dell’India, Bhopal. In poche ore, la presunzione e la stupidità di uomini avidi e senza scrupoli, si manifestò all’apice della sua crudeltà, causando la morte di trentamila persone e provocò ingenti danni alla salute ad altre duecentomila.

I protagonisti di una catastrofe annunciata sono stati: da una parte la Union Carbide, mostro sacro della chimica americana per più di un trentennio, specializzata nella produzione di pesticidi; dall’altra, una popolazione che dopo anni di stenti e tradizioni, aveva visto nell’industria americana, il sogno di un’occidentalizzazione, pagata poi, ad un prezzo troppo alto.

La causa: una nube tossica di Mic, l’isocianato di metile, l’elemento base per la fabbricazione del Sevin, uno dei più potenti pesticidi creato in laboratorio nel 1957 da tre scienziati americani. Assoldati dalla Union Carbide nel 1954 con l’unico compito di sperimentare una sostanza che avrebbe sostituito l’ormai obsoleto diclorodifenil-tricloroetano, più conosciuto con la sigla Ddt, unica arma per gli agricoltori di tutto il mondo, per combattere le terribili invasioni di parassiti che si abbattevano sulle coltivazioni ogni anno, i tre scienziati unirono molecole di Mic con il fosgene, creando appunto il potentissimo pesticida. Caratteristica basilare del Mic, a parte l’odore di cavolo lesso, è la irritabilità della sua molecola, che a contatto con sostanze impure (ma anche più semplicemente con l’acqua), provoca una reazione chimica che in presenza di temperature al di sopra di pochi gradi oltre lo zero, sfocia in esplosione. Il fosgene, da parte sua, è un pericolosissimo gas incolore dal tipico odore di fieno, che nel caso di una breve esposizione, può causare gravi danni ai polmoni fino a provocare l’edema polmonare, se il tempo d’esposizione è più prolungato.

La Union Carbide si era lanciata in questa difficile crociata contro cavallette, ragni rossi e pidocchi di ogni specie, provenendo da un settore completamente diverso dalla chimica. Per anni si era limitata alla costruzione di pile elettriche, lampade per l’illuminazione stradale e fari per automobili. Il salto di qualità l’aveva spiccato durante la Grande Guerra, fornendo all’esercito americano le maschere antigas al cui interno le pastiglie a base di carbone attivo, avevano protetto i polmoni dei soldati impegnati in una delle prime "missioni di pace" che gli Stati Uniti hanno donato nel corso dei decenni, al resto del mondo. Solo venticinque anni dopo, la macchina bellica americana ricorse ancora ai servigi della Carbide per la realizzazione della prima bomba atomica, i cui risultati sono in quasi, tutti i libri di Storia. Dominatrice assoluta dell’industria americana e di conseguenza, di quella mondiale, invase le città con i suoi prodotti estratti dalla petrolchimica, mettendo a disposizione delle casalinghe americane e non solo, sacchetti di plastica per la spesa, bottiglie e qualsiasi altra forma di contenitore alimentare, senza trascurare i mariti fornendo loro, liquido antigelo per le auto, pneumatici e addirittura, il silicone utilizzato nella chirurgia estetica. Quando nel 1957, la macchina della propaganda pubblicitaria per il lancio del prodigioso prodotto fu messa nelle mani di Edoardo Munoz, giovane rampante argentino ed esperto di marketing, cresciuto nel vivaio della Carbide, uno dei tanti cartelli sparsi per le strade inneggiava alle prodigiose qualità del Sevin, tralasciando volontariamente le informazioni relative alla pericolosità del suo utilizzo.

Conquistati i mercati del Sud America, grazie all’opera di convincimento di Munoz, la direzione della Union Carbide pensò di invadere l’altra parte del Terzo mondo, della quale l’India rappresentava l’immagine con il suo mezzo miliardo di persone, la cui fonte primaria di sostentamento era la terra e i suoi prodotti agricoli, flagellati da sempre dai parassiti. Il progetto era di dimensioni colossali: le previsioni ottimistiche della presidenza dell’azienda, giustificate da un territorio così vasto e così popoloso, prevedevano che, contrariamente a quanto realizzato fino a quel momento con i paesi dei Sud America per i quali la fornitura di Sevin era garantita dall’esportazione diretta del prodotto con i propri mezzi, in India era necessario costruire una fabbrica della mistura miracolosa, direttamente sul posto. La scelta cadde su Bhopal. La motivazione: l’enorme sviluppo politico amministrativo che aveva raggiunto la città in quegli anni, grazie alla sua posizione geografica e alle buone infrastrutture, tra le quali eccelleva la rete ferroviaria. Il 4 maggio del 1969, il Ministero dell’agricoltura indiano informò Munoz che il governo aveva firmato la concessione alla Union Carbide per la fabbricazione di cinquemila tonnellate all’anno di pesticidi. La prima fabbrica di pesticidi in India era stata inaugurata tre anni prima, il 14 dicembre 1966. Furono necessari quasi quattordici anni, prima che nel maggio 1980 i reattori chimici di Bhopal producessero i primi litri di Mic. Durante questo arco di tempo, si era provveduto a farlo arrivare direttamente dagli Stati Uniti. Il primo incidente si verificò il 23 dicembre 1981, e saldò il destino della fabbrica all’ultimo mese dell’anno, che sarà apocalittico tre anni dopo. Il capo di una delle squadre del reparto dove si produceva il fosgene, durante un’operazione di manutenzione, pur rispettando le basilari norme di sicurezza che prevedono l’obbligo di indossare la maschera e la tuta protettiva, inalò qualche goccia di fosgene che era fuoriuscito da una tubatura, togliendosi con troppo anticipo la maschera protettiva. Saranno sufficienti un paio di ore per consentire al fosgene di annidarsi nei suoi polmoni e provocargli la morte. Un mese dopo, il 10 febbraio 1982, un’altra fuga di gas intossicò venticinque operai, senza grosse conseguenze, nonostante l’incuria dei responsabili che non avevano ordinato l’utilizzo della maschera di protezione. Il 5 ottobre del 1982, nel reparto della produzione del Mic, una nube di vapori tossici si propagò costringendo la temporanea evacuazione della fabbrica. Nel frattempo, le fantomatiche previsioni dell’ufficio marketing della Union Carbide, che pronosticavano un decennio prima, la realizzazione in India della più grande fabbrica di pesticidi del mondo, si frantumarono contro il muro culturale e l’ignoranza del popolo indiano, lasciato per millenni nella povertà e nell’idolatria, ad annaspare nell’incomunicabilità dei suoi 6.000 dialetti. Le utopistiche 5.000 tonnellate di prodotto da sfornare ogni anni dai reattori chimici di Bhopal, si ridussero a poco meno di un quinto della produzione prevista. A questo si aggiunse la relazione stilata da un ingegnere indiano, Ranjit Dutta, esperto di sicurezza che fu inviato dagli Stati Uniti per verificare le condizioni di lavoro degli operai nella fabbrica. Nella relazione si potevano leggere gli appunti mossi nei confronti del rispetto delle norme di sicurezza, che con la scusa di un ritmo di produzione ridotto, erano state ingenuamente trasgredite. Qualche mese dopo, un mercato sempre più chiuso, costrinse i responsabili di Bhopal a fermare completamente le macchine. La Carbide paventò la possibilità di smantellare gli impianti e di trasferirli in Brasile.

Nei pochi mesi restanti alla notte della tragedia, una sufficienza generale dei pochi tecnici ed operai rimasti negli stabilimenti, portò a sottovalutare il pericolo che un quantitativo ancora ingente di Mic, presente nelle vasche di stoccaggio, potesse rappresentare. La mancata manutenzione e pulizia degli impianti, dovuta alla sicurezza dei tecnici che non costituisse comunque un obbligo, visto che la fabbrica era da tempo ferma e destinata allo smantellamento, la notte del 2 dicembre 1984, consentì alla Storia di poter raccontare la più grande tragedia industriale, che portò morte e disperazione nell’adiacente quartiere di Orya basti. Lo stoccaggio dell’isocianato di metile era ad appannaggio di tre grandi vasche, alte due metri e lunghe tredici. Considerata la pericolosità del loro contenuto, le vasche erano avvolte da diversi tubi dentro i quali, scorreva il freon per il mantenimento della temperatura vicino alla zero, ideale per evitare le complicazioni delle quali abbiamo già trattato.

La sera del 2 dicembre, quasi sentori della catastrofe imminente, i tecnici decisero la pulizia di queste tubature. Operazione abbastanza semplice in condizioni di rispetto delle norme di sicurezza, si rivelò invece, l’innesco di una bomba dalle conseguenze imprevedibili. Il cattivo stato di efficienza di tutto l’impianto, consentì a quattrocento litri di acqua, utilizzati per eseguire la pulizia, di entrare a contatto con il Mic. La reazione chimica causata, sprigionò una nube larga quasi centro metri, la cui composizione principale era costituita dall’acido cianidrico e dal già menzionato fosgene. Spinta dal vento, la nube tossica si abbatté sulla città, impedendo alla popolazione alcuna via di scampo. Si conteranno, secondo una stima approssimativa del governo indiano, un numero di vittime compreso tra le sedicimila e le trentamila. Chi ha pagato per questa tragedia?

L’Union Carbide non ha mai subito processi, potendo appoggiarsi sul fatto di non ritenersi responsabile di una catastrofe accaduta fuori dagli Stati Uniti. I sopravvissuti sono stati indennizzati per la perdita dei familiari, di poco più di tremilioni delle vecchie lire, per ogni individuo deceduto. Nel 1999, una multinazionale francese acquistò il pacchetto azionario della Carbide, cancellandola definitivamente dall’industria mondiale.

Oggi la fabbrica a Bhopal è una massa di ferraglia arrugginita, abbandonata ai ricordi e alla rabbia da soffocare. Su di un vecchio cartello sopravvissuto al tempo, si può ancora leggere il monito a caratteri cubitali, sfoggiato per anni dai responsabili dell’Union Carbide: LA SICUREZZA. INNANZITUTTO!


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