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Beni comuni

di Sergej - domenica 8 dicembre 2024 - 235 letture

Esistono delle “cose” chiamate beni comuni. Sono “cose” che vengono definite inalienabili, che vanno protetti e curati, che non sono minacciabili. Insomma, come si diceva in epoca pre-industriale, “sacre”. Sono cose come la vita e la dignità delle persone, l’acqua, l’aria; i diritti: alla giustizia, alla conoscenza e all’informazione; il cibo connesso al fatto che i singoli individui ne hanno bisogno per vivere…

(Nel nostro piccolo anche Girodivite è un “bene comune”, difeso e curato dal piccolo gruppo collettivo che ci sta attorno e lo fa conoscere agli amici e vi collabora mettendo in comune pensieri conoscenze e informazioni ritenendo che le informazioni e le conoscenze sono appunto “beni comuni”).

C’è stato un momento della storia umana in cui i beni comuni hanno avuto bisogno di essere concretizzati in figure ben precise. Sacralizzati sotto forma di dee e déi. Più o meno in concomitanza alla nascita della scrittura, in cui la parola e la memoria a un certo punto cominciò a essere concretizzata in forma visibile, sotto forma di segno grafico. Il fiato divenne scrittura, la parola divenne dio. Era il modo semplificato con cui si trasmettevano le conoscenze alle giovani generazioni: ogni cosa “bene comune” diventava un dio o una dea, e si imbastivano narrazioni (si facevano film nell’epoca in cui ancora non esisteva il cinematografo) che in questo modo rimanevano meglio nella memoria. Poi quando si cresceva si capiva - per chi voleva - che non si trattava di cose reali ma di concetti (diremmo oggi, che non crediamo più nel sacro né negli déi) e si diventava adulti e vaccinati. Sennò si rimaneva bambini e si viveva in un mondo popolato da esseri immaginari spiriti o presenze che fossero, ma non era importante. L’importante era l’insieme di questi “valori”. Che erano i veri valori collettivi. Quelli individuali erano cose evanescenti, legate alle personalità e alle vanità dei singoli: accadeva che uno si conquistava o si forgiava una bella spada, oppure un bel bastone con cui si panoveggiava per tutta la vita? Beh, quando moriva la spada o il bastone finivano accanto a lui o a lei. Non erano un “bene” né un “valore” che dunque qualcun altro della famiglia o del gruppo sociale ambiva a possedere. Ci sono state nel passato collettività che hanno elaborato un sistema di valori basati sui beni comuni; e naturalmente ce ne sono state altre che hanno elaborati altri tipi di credenze riti idee valori ecc_. Poi a un certo punto vennero gli allevatori di bestiame, scesero dalle colline, e radunarono gli abitanti delle pianure e dissero che da ora in poi erano tutti bestie da allevamento, che dovevano stare in recinti chiamate città e obbedire ai cani che li “proteggevano”. Per farli stare buoni trovarono che scolpire nella pietra le facce degli déi serviva a tenere buoni tutti. I beni comuni divennero beni dei nuovi padroni delle città. Il resto è solo storia e recente.

Oggi tra i beni comuni si sono aggiunti altri beni. Su cui dovremmo cominciare a ragionare. Beni connessi ai mezzi di comunicazione informatici ad esempio. L’identità personale di ciascuno di noi, il diritto alla privacy, il diritto di pensarla come si vuole, il diritto e la possibilità di parola e di comunicazione. Diritti, beni comuni di ciascuno che - come le libertà pensate dai filosofi illuministi - debbono fare i conti non solo con il potere, ma anche con i limiti che trovano rispetto alle libertà altrui. Insomma, una cosa complicata anche perché in mezzo ci sta sempre qualcuno che non gioca allo stesso livello degli altri - il potere, chi ha più soldi, chi mette violenza nelle cose che fa o che dice -. E che sarebbe bene venisse collettivamente, dal basso, rintuzzato.

PS: Questa cosa dei beni comuni riguarda l’acqua, il suolo, l’energia. Tutte cose su cui l’Italia come comunità prima che come Stato si è mossa in maniera svogliata e approssimativa tanto a muoversi in maniera oculata ci pensano le lobby e le corporation. Riguarda le cose "nuove" come le identità digitali. L’articolo che abbiamo messo in link, e che ha fatto sorgere la riflessione contenuta in questo articolo è decisamente inquietante. Non solo nei social i tuoi contenuti non ti appartengono (ma diventano di proprietà dei Social, tu lavori gratis per loro), ma neppure il tuo account la tua identità ti appartiene. Mentre per quanto riguarda l’Italia, stiamo bellamente sperimentando, senza alcuna riflessione di sorta: abbiamo lo SPID che discrimina tutta la popolazione anziana, o quella non informatizzata (e ricordiamo che un quarto del Paese non sarà mai raggiungibile dalle connessioni DSL o Fibra perché in aree commercialmente non appetibili). Mentre ad una azienda privata viene ora demandata l’identità digitale: gli utenti dovranno caricare i propri documenti sulla app, come se lo Stato non disponesse già di questi dati; con questi dati il controllo su dove ti trovi e cosa stai facendo diverrà sempre più capillare. Se prima potevi usare il passaporto o la carta d’identità per andare all’estero, ora dovrai avere il telefonino. Con cui basta una qualsiasi alterazione elettromagnetica per farti diventare un non-cittadino, e sparire letteralmente dalla comunità. Con buona pace di Orwell e dei suoi fratelli.


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