Belfast che è dentro di noi

"Belfast" diretto da Kenneth Branagh (2021)
Dolores O’Riordan, frontwoman dei Cranberries, nel 1993 scrisse una canzone che divenne presto una bandiera contro la guerra, in Europa e non solo. Scritta in memoria di due ragazzi, Jonathan Ball e Tim Parry, uccisi in un attentato dell’IRA a Warrington in Inghilterra il 20 marzo 1993. La canzone fu poi pubblicata all’interno dell’album No Need to Argue, secondo album dei Cranberries in studio, pubblicato il 12 settembre 1994, e come singolo. La canzone si intitolava Zombie.
Una canzone che torna tristemente di moda in questi giorni di guerra, il conflitto riscoppiato in Ucraina. Carri armati, vite spezzate, bombe. La nostra apocalisse zombie.
L’Europa nella sua lunga "pace americana", tra il 1945 e il 2022, ha vissuto uno stato di guerra bianca. Non c’è stata regione che non sia stata attraversata dai conflitti e dalla morte. Odii per motivi religiosi, per contrapposizioni ideologiche o di classe, o tra chi parlava una lingua con un dato accento e chi usava un altro accento o un’altra lingua. Le guerre di Swift, tra quelli che prendono l’uovo rompendolo dalla cima più piccola e quelli che lo rompono dalla cima più grossa.
Il film di Branagh riattualizza il tema del conflitto irlandese. Un conflitto di lunga durata e mai sopito. Un film parzialmente autobiografico, un bianco e nero da regista che ha un lungo mestiere nelle mani. Il film apre con alcune immagini (a colori) della Belfast di oggi, maestose nella loro pulizia pubblicitaria; per poi immergersi rapidamente nel bianco & nero dell’infanzia. La vita di una piccola comunità di cattolici e protestanti che vivono nello stesso angolo di Belfast, una stradina in cui i ragazzini negli anni Sessanta giocano per strada. Il gioco presto interrotto dall’irruzione della violenza incomprensibile. Nell’infanzia del piccolo Buddy (interpretato da Jude Hill) sono le corde tese della "vita". Con tocco leggero, e a volte con humour, Branagh non gliene sconta una al piccolo Buddy: scontri tra cattolici e protestanti, morte del nonno, problemi economici e povertà, un assalto al supermercato (tra le scene più belle: il piccolo Buddy, istigato, l’unica cosa che riesce ad arraffare è una scatola di detersivo biologico) ecc_.
Un piccolo film, ma fatto bene. Sorretto oltre che da una buona sceneggiatura e da una ottima fotografia, da una buona colonna sonora - canzoni più da fine anni Cinquanta / primi anni Sessanta - e da alcuni attori in gran forma: a partire dal "monumento" che è Judi Dench che interpreta la nonna, geroglifico di rughe e di saggezza; ma davvero brava la madre, interpretata da Caitríona Balfe, e il nonno interpretato da Ciarán Hinds. Più una sfilza di personaggi minori, caratteristi, o impegnati in azioni sceniche di sottofondo (i soldati che aiutano nel trasporto di un divano...). Il film di Branagh è ambientato nel 1969. Sul filo delicato della rievocazione di una infanzia che non scade nel melenso (della serie: ma quant’era bello quando potevamo giocare per strada con sassi monopattini e secchi della spazzatura...) grazie all’humour e alla terribilità della realtà sociale e del conflitto in atto. E anche il bianco & nero non è quello della mancanza di bianco della pellicola, ma quello saturo del digitale, in cui anche il bianco è un colore.
- Belfast (2021) di Kenneth Branagh
Film che andrebbe accompagnato dalla lettura di testi sulla storia dell’Irlanda. Segnaliamo: Il piccolo di papà. Storia di un’infanzia nell’Irlanda del Bloody Sunday (Nutrimenti 2022, traduzione di Maria Antonietta Binetti, pagg. 160, 17 euro), di Tony Doherty - prima parte di una trilogia dedicata a Derry. Tony era figlio di Patrick “Paddy” Doherty, morto insieme altre 14 persone il 30 gennaio del 1972, quando il Reggimento Paracadutisti del gruppo speciale Red Devil sparò "contro una pacifica marcia civile indetta dalla NICRA (Movimenti per i diritti civili dell’Irlanda del Nord) per rivendicare il diritto all’uguaglianza e pari dignità sul lavoro, il diritto alla casa e la fine del voto per censo" [1].
Se vi capita, quello di Branagh è un buon film.
[1] Cfr.: LA STORIA DI UN’INFANZIA NELL’IRLANDA DI TONY DOHERTY / di Simone Bachechi, su: Minima & Moralia.
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