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Baby gang

Aggressioni di minorenni, ad opera di altri minorenni. Bullismo e violenza gratuita. Un problema che non fa distinzione di età anagrafica.

di Piero Buscemi - martedì 16 gennaio 2018 - 5787 letture

Ma poi, alla fine, qualcuno ci darà la risposta. Li vedremo tutti, antropologi, scienziati, pedagoghi. Dotti, medici e sapienti. Li vedremo ad occupare altre comode poltrone dalle quali elargire nozioni di saggezza e conoscenza, in alternativa, in opposizione ed anche in rassegnazione. Perché quando un fenomeno sociale, violento, incontrollabile, sottovalutato occupa le pagine di cronaca di una città che, forse è meglio metterselo bene in testa, non è solo Napoli, ci coglie sempre impreparati.

Come se scoprissimo un nuovo mondo, che pensavamo appartenesse ad un altro continente o ad un’altra generazione. Magari quella che rese famosa una folta schiera di attori americani, tra gioventù bruciata o d’asfalto, in base alla fantasia dei registi del momento. Ma questa realtà ci è sempre appartenuta. Abbiamo provato a nasconderla dietro un’evoluzione della specie, passata alla storia come progressismo sociale post-industriale.

La verità è che siamo riusciti a smussare un po’ di omertà, che ha tenuta nascosta per anni una situazione che ha avuto il tempo di evolversi e degenerare. Adesso ne stiamo raccogliendo i frutti. Spesso, marci. Ci troviamo spesso ad affrontare questi argomenti, ancora più spesso con un atteggiamento di estraneità al problema, come se il nostro compito si limitasse a quello di interlocutore da strada o di commentatore passivo sulle tragedie di pezzi di società italiana, molto distanti da noi.

E’ quello che abbiamo fatto, e continuiamo a fare, quando commentiamo fatti legati alla mafia, collegandola con stupida sufficienza a fenomeni quasi folcloristici o di sceneggiature di fiction che, incredibilmente, raggiungono vette di share inimmaginabili. Accade così anche per le violenze domestiche, chiamiamole femminicidi o qualsiasi altro nomignolo vogliamo attribuire. Pagine di giornali a monopolizzare un argomento di moda del momento, mantenendo a debita distanza il nostro coinvolgimento emotivo e personale.

Come per tutti gli errori di valutazione, inevitabilmente, l’effetto boomerang è dietro l’angolo ed è sempre pronto a riportarci con i piedi per terra, davanti a quelle che dovrebbero essere le nostre responsabilità dirette nel provare a dare un volto nuovo a questa società che, nonostante le dotte dottrine di sociologia, ci è già sfuggita di mano. Sono errori di percezione del problema, forse anche banali. Le tante volte che abbiamo udito le urla provenienti dalla casa vicina. Gli atteggiamenti "strani", aggressivi dei nostri figli, che per una astrusa legge di tutela della specie, in modo più restrittivo della nostra famiglia, ci fa credere di appartenere ad una categoria elitaria, immune da certi fenomeni di cronaca.

Non è solo il figlio del malavitoso d’annata, che trasmette codici comportamentali da confermare con prove di fuoco, atte a rilasciare fantomatici nullaosta per l’ingresso ufficiale nei ruoli di rango di una gerarchia malavitosa. Quello che si tende ad ignorare e sottovalutare è il mondo parallelo che i nostri figli vivono quotidianamente, in pieno contrasto all’immagine che ci siamo creati di auspicata perfezione che, nella realtà, cozza contro situazioni che non conosciamo affatto.

Il bullismo, la violenza spicciola, l’arroganza e la prevaricazione di un qualsiasi diritto di stare in società, ad ogni età, dentro particelle di collettività di diversa estrazione, sono caratteristiche annidate nei rapporti interpersonali. Gli esempi degli adulti, quelli che una volta avevano la loro importanza nella crescita e nell’educazione dell’adolescente, sono finiti nel calderone dell’indifferenza e dell’ignoranza cognitiva che dovrebbe permetterci di renderci conto che, i prossimi protagonisti di certi fenomeni di violenza, potremmo essere noi stessi. E non per forza nel ruolo di vittima.

E’ questo ultimo particolare che ci fa glissare le reazioni, verbali ma anche d’azione, che solo nel momento che si verificano ci fanno alzare il livello di soglia del nostro equilibrio sociale, tra false sicurezze nelle quali con troppa sufficienza ci rifugiamo nelle nostre famiglie. Si, sociologicamente, sarà anche vero che l’imbarbarimento dei comportamenti e dei rapporti sociali dei nostri giorni ci stanno riportando ad uno stato primordiale che si scontra con un accelerato progressismo comunicativo, frutto di uno sviluppo tecnologico, che ha cambiato la società, forse per sempre.

Prendere coscienza di un vorticismo schizzato a velocità impensabile, nei nostri quotidiani rapporti umani, sta trasformandosi come contraltare in una sorta di narcotico alle nostre ambizioni di società civile, dove il rispetto di uno modo diverso di essere, di pensare, di sognare di un altro soggetto, era la base di una condivisione di spazio ed idee nel mondo.

C’è da chiedersi se, ogni qualvolta, un talk televisivo ci restituisce l’immagine votata al superuomo, o superdonna che sia, che sbraita, minaccia, inveisce, ogni qualvolta lo strombazzare impazzito di un collega autista in coda ad un semaforo o in corsia d’emergenza sull’autostrada ci terrorizza, ogni qualvolta il nostro assopito istinto ci porta ad una reazione violenta nei confronti di chi, mistico più di noi, definiva un tempo il "nostro prossimo", non rappresenti tutto questo in una strada già segnata ed irreversibile, per la quale appare addirittura contraddittorio stupirsi, marciare, accendere candele di solidarietà, davanti all’ennesimo ragazzo aggredito e picchiato selvaggiamente.

In qualcosa stiamo sicuramente sbagliando. Delegare agli altri le possibili risposte e soluzioni, è solo un altro modo per sviare il problema ed incrementarne le conseguenze. Se il termine "coeso", inflazionato dei nostri giorni, utilizzato ad ogni occasione per rafforzare un concetto, entra quotidianamente nelle nostre vite, ci permettiamo di sottolineare che la vera giustificazione all’utilizzo spasmodico di questo termine, la si ritrova abbinandolo ad una società intera che ci ospita. Perché il vero "coeso" dei nostri giorni, come del resto da sempre, è il nostro comune destino, con le sue note positive, sempre di meno, e le sue note degenerate, sempre più diffuse.


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