Azione urgente per fermare l’esecuzione di Ahmadreza Djalali!
Dopo oltre 2180 giorni di detenzione le autorità iraniane hanno annunciato che intendono eseguire entro il 21 maggio la condanna a morte di Ahmadreza Djalali.
In questi anni è stato detenuto in condizioni terribili che hanno aggravato le sue condizioni di salute. Djalali è stato condannato a morte in via definitiva nel 2017, a seguito di una falsa accusa di “spionaggio” in favore di Israele. L’esecuzione è stata più volte annunciata e poi sospesa a seguito delle pressioni internazionali. Da novembre 2020,non può comunicare con la moglie e i due loro figli, che vivono in Svezia. Le uniche informazioni sul suo conto, provenienti dai suoi legali, parlano di un grave stato di salute.
In suo favore si sono pronunciati oltre 120 premi Nobel in discipline scientifiche. L’avvocata ha appreso che l’ordine di esecuzione di Djalali è stato emesso e che l’impiccagione potrebbe aver luogo in tempi molto brevi. Non ci fermeremo finché Ahmadreza non sarà liberato. Per questo, oggi 10 maggio, alle 17:30 saremo di fronte al comune di Novara per manifestare e lanciare un nuovo appello affinché la condanna a morte sia annullata.
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Ahmadreza Djalali, scienziato di origini iraniane ma residente in Svezia, è stato condannato a morte e a pagare 200.000 euro di multa per “corruzione sulla terra” (efsad-e fel-arz) dopo un processo gravemente iniquo davanti alla sezione 15 della Corte Rivoluzionaria di Teheran. Il verdetto della corte ha affermato che Ahmedreza Djalali ha lavorato come spia per Israele nel 2000. Secondo uno dei suoi avvocati, il tribunale non ha fornito alcuna prova per giustificare tali accuse.
Il giudice non ha fornito una copia del verdetto e ha invece convocato uno degli avvocati il 21 ottobre 2017 per leggere il verdetto in tribunale.
Ahmadreza Djalali, che ha insegnato all’università in Belgio, Italia e Svezia, era in viaggio d’affari in Iran quando è stato arrestato dai funzionari del Ministero dell’Intelligence nell’aprile del 2016.
La sua famiglia non ha avuto informazioni sul luogo di detenzione per dieci giorni dopo il suo arresto. È stato tenuto in una località sconosciuta per una settimana prima di essere trasferito alla sezione 209 della prigione Evin di Teheran, dove è stato detenuto per sette mesi, tre in isolamento. Successivamente è stato spostato nella sezione 7 del carcere di Evin.
Ha affermato che, mentre in isolamento, gli è stato negato l’accesso ad un avvocato ed è stato costretto a fare “confessioni” davanti a una videocamera leggendo dichiarazioni pre-scritte dai suoi interrogatori. Ha detto che è stato sottoposto a pressioni intense con tortura e altri maltrattamenti, incluse minacce di morte, anche verso i figli che vivono in Svezia e la sua anziana madre che vive in Iran, al fine di fargli “confessare” di essere una spia.
Ahmadreza Djalali nega le accuse contro di lui e sostiene che siano state fabbricate dalle autorità. In una lettera dell’agosto del 2017 scritta dall’interno della prigione di Evin, afferma che sono state le autorità iraniane nel 2014 a chiedergli di “collaborare con loro per identificare e raccogliere informazioni provenienti dagli Stati dell’Ue. La mia risposta è stata “no” e ho detto loro che sono solo uno scienziato, non una spia”.
Il 24 ottobre 2017, durante la sua conferenza stampa settimanale con i giornalisti, il procuratore generale di Teheran, Abbas Ja’fari Dolat Abadi, ha detto senza specificare il nome di Ahmadreza Djalali, che “l’imputato” aveva tenuto diversi incontri con l’agenzia di intelligence israeliana Mossad e che forniva loro informazioni sensibili su siti militari e nucleari iraniani in cambio di soldi e della residenza in Svezia.
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