Arturo Giovannitti: la libertà delle parole
Il 1 Maggio ad Oratino (cb) si é tenuta la cerimonia di consegna del premio nazionale di Poesia dedicato ad Arturo Giovannitti, poeta e politico, sindacalista e filosofo.
Il 1 Maggio ad Oratino (cb) si é tenuta la cerimonia di consegna del premio nazionale di Poesia dedicato ad Arturo Giovannitti, poeta e politico, sindacalista e filosofo.
L’Associazione Culturale "Arturo Giovannitti", di Luca Fatica, insieme al Quaderno di Segni coontemporanei "Altroverso" di Valentino Campo e Fabio Mastropietro hanno ideato anche la IV Edizione del Premio dedicato al poeta, scrittore, sindacalista italo-americano.
Sindacalista, rivoluzionario, un idealista fra la gente povera, la gente che lavora e subisce i soprusi di chi il lavoro lo compra e lo vende. In cerca di draghi e di mulini a vento da catturare con la dialettica della politica, da afferrare con i lacci della Giustizia, Giovannitti dette un senso alle sue letture filosofiche ed al suo studio febbrile, in mezzo agli operai americani dei primi anni del ’900. Uomini e donne stritolati dal ferro delle fabbriche, scantinati delle sale da ballo luccicanti del sogno americano. Un matto, partito dal Molise perché considerato pericoloso persino dai suoi genitori, che erano persone per bene e lo avevano fatto studiare all’Istituto Mario Pagano di Campobasso.
Arturo Pericle Tommaso Giuseppe Giovannitti aveva tanti nomi quanti gli spiragli che la sua anima divinamente colta scavava nel tunnel della provincia molisana. Parte da Ripabottoni negli anni in cui cominciano le repressioni contro i primi germogli di socialismo e arriva in Canada, a Montreal. Accede alla presbiteriana Mc Gill University e segue i corsi di teologia. Di Dio ha una concezione intellettuale, sublimata da una attenzione per "le cose umane" che eleva ogni nuova idea, ogni legame con la realtà a conquista dell’intelligenza. La sua concretezza è piena di passione, mossa da un illuminismo indottrinato dalla sensibilità di poeta. E Dio è il respiro del poeta oltre l’orizzonte del mondo materiale.
Finisce a fare il pastore in un villaggio di minatori della Pennsylvania e come Simone Weil, la difficoltà disumana di quelle vite anonime e così assolutamente vere trasforma un ragazzo di Ripabottoni in uno dei più importanti testimoni della storia moderna. Completamente coinvolto dal bisogno di trovare una via concreta per difendere i diritti dei lavoratori, si trasferisce a New York per iscriversi alla Columbia University. Nei primi anni del ’900 farà parte della Industrial Workers of the World, organizzazione sindacale in cui opera insieme a Carlo Tresca. Scrive per "La Plebe" e diventa direttore responsabile de "Il Proletario". Sono gli anni delle lotte sindacali e dei grandi conflitti di classe che cambieranno per sempre l’America del sogno irrealizzato. Nel 1912 Arturo ha soltanto 28 anni ma gli accade qualcosa che consegnerà il suo genio alla storia: a Lawrence, nel Massachussets, durante un drammatico sciopero in una fabbrica tessile viene uccisa una operaia poco più che adolescente, Anna Lo Pizzo. Un incidente che venne immediatamente usato per destabilizzare il sindacato. In mezzo agli operai, infatti, c’erano i dirigenti della I.W.W, Carlo Tresca, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. Nomi noti nel lungo elenco dei morti innocenti. Sacco e Vanzetti saranno giustiziati sulla sedia elettrica e Tresca morirà in un agguato nel ’43. Con loro, fra gli scioperanti ci sono anche Joseph Caruso, Joseph Ettor e Arturo Giovannitti. E tutti vengono ritenuti colpevoli di quella morte.
Il processo, piuttosto che zittire l’opinione pubblica finisce per scatenare un dibattito di enorme portata. Persino Benito Mussolini, ancora socialista, si mobilita dall’Italia per dimostrare l’innocenza di quel compatriota che in America si batte per la causa dei lavoratori e dei poveri. Ma al processo Arturo Giovannitti difende se stesso con una arringa che tuona sulla coscienza collettiva dell’America e diventerà un manifesto di lotta contro il sopruso e l’iniquità: "Appello alla Giuria" è il titolo di un monologo che sembra un coro, voce di chi viene fatto tacere con gli spari o con i processi intimidatori.
In quei mesi aveva scritto "The Walker", uno schiaffo ai dormienti e agli insipienti che divenne icona della nuova letteratura: "Fermati, fratello mio, perché non è solo una chiave che può aprire il cancello.." Prese la parola nell’America che sparava alle gambe di chi urlava e replicò con la sintesi di ciò che era, con il risultato di ciò che aveva letto e studiato e scritto. Usò le parole. Nulla è più rivoluzionario di questo. Usò le parole perché ne conosceva benissimo la pericolosità: come Socrate, come Cicerone, come Gesù.
Se non fossero bastate a risparmiargli la sedia elettrica, sarebbero comunque sopravissute a lui. E sarebbero arrivate ben oltre la traiettoria di uno sparo, ben oltre i mattoni gialli della sua prigione ed i passi ossessivamente contati di un prigioniero insonne. Ben oltre le chiavi ed i cancelli di un mondo in cui, per fortuna, la violenza è sempre illetterata e le parole possono creare pace. E possono rendere liberi anche gli uomini incatenati ad una idea scomoda.
E’ un matto, Giovannitti; un matto autorevole come talvolta accade a chi rende conto a se stesso soltanto. Ed é lieve, per la stessa ragione, come lo sono i poeti. Questa é una sua poesia dedicata a Mussolini. Era un matto, Giovannitti; un matto autorevole come talvolta accade a chi rende conto a se stesso soltanto. Ed é lieve, per la stessa ragione.
A MUSSOLINI
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