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Arrivederci, maestro Ettore Scola

Ci ha lasciati anche Ettore Scola, aveva 84 anni, il regista che ha saputo comporre versi di vita vissuta, dietro una cinepresa.

di Piero Buscemi - mercoledì 20 gennaio 2016 - 4188 letture

Implacabile, duro, senza pietà questo 2016 sembra ostinarsi con l’arte internazionale, pescando nomi illustri tra i personaggi che hanno inciso la nostra vita, tra un ritornello, che continua a suonare nei ricordi, e le immagini di un pezzo del passato che, impregnato di emozioni, ha cambiato il nostro presente.

Quando pronunciamo il nome di Ettore Scola, ricordando i suoi film, siamo subito consapevoli che tralasceremo sempre qualche nome, qualche scena, qualche fotogramma che altri ricorderanno al posto nostro. Perché le storie di Scola, che ha saputo raccontarci negli anni, mentre l’Italia si faceva catturare dalla voglia di adeguarsi ai tempi in continua trasformazione, sono diventate le nostre rimembranze dalle quali farci consolare, accarezzando con pudicizia i nostri capelli sempre più canuti.

Come quelli del maestro regista, con quella delicatezza e sofisticato rispetto della vita umana, che ha saputo trasformare in sogni da toccare con mano, in oltre cinquanta anni di carriera cinematografica. Ripercorrere questo immenso cammino artistico diventa un’ardua e pretenziosa lista di sequenze, di fermi immagine, di sorrisi, di attrici e attori compianti.

Ci sovviene la magia descrittiva utilizzata dal regista, in quei quattro fotogrammi dell’indimenticabile volto di Stefania Sandrelli, sfiorito dalla macchinetta automatica per fototessere, che dal sorriso di gioia di un’amicizia ritrovata dopo tanti anni, sfuma in dissolvenza nella sequenza degli scatti che lentamente maturano dal liquido dello sviluppo, per rinascere in un’ultima immagine che ritrae l’attrice in un pianto a dirotto. Era una delle scene più poetiche del capolavoro C’eravamo tanto amati, che il regista diresse nel 1974.

E come potremo dimenticare quel colpo di genio di Scola, quando intuì il salto di qualità interpretativa che, già apprezzato dal pubblico e dalla critica, Massimo Troisi meritava di aver riconosciuto. Come non apprezzare l’accostamento del giullare partenopeo con il mostro sacro Mastroianni, nei due film che Scola realizzò nel 1989, Splendor e Che ora è?

Un esperimento artistico riuscito che, senza indugi, Scola ripeté l’anno seguente, tornando a dirigere Troisi ne Il viaggio di Capitan Fracassa, una favola ispirata alla Commedia dell’arte, modellando nell’attore uno dei più emozionanti Pulcinella della storia del cinema.

Scola riuscì a plasmare e ad estrarre la natura drammatica dei più grandi saltimbanchi del cinema italiano. Da Albero Sordi a Nino Manfredi, da Vittorio Gasmann a Ugo Tognazzi. Per non dimenticare Gérard Depardieu o Diego Abatantuono.

E poi le donne. Quelle mistiche ed indimenticabili donne che Scola rese vive e vere, nelle loro debolezze, nei loro pianti e nei loro suadenti sorrisi. Così reali e convincenti, da lasciare il dubbio tra il sottile confine che non è riuscito, molte volte, a far distinguere la recitazione con il loro alter ego. Potremmo citare Fanny Ardant, oltre alla già nominata Stefania Sandrelli. Sophia Loren o Giovanna Ralli. O magari, la bellissima Anne Parillaud, che interpreta la fidanzata di Troisi, nel già citato Che ora è?, un’attrice che avrebbe conquistato l’anno dopo il pubblico internazionale interpretando Nikita.

Lo ribadiamo, Ettore Scola ha saputo raccontare i capitoli della grande storia d’Italia, con le sue contraddizioni, le sue esaltazioni e le sue sconfitte. E nel sedersi dentro quelle sale in penombra dei cinema, abbiamo ritrovato la periferia dei nostri quartieri, i personaggi derisi e che ci hanno deriso, le storie d’amore sofferte ed abbandonate. E abbiamo ritrovato noi stessi, più di quanto abbiamo mai avuto il coraggio di ammettere, ogni mattina, davanti ad uno specchio appannato.


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