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Appunti su un’idea di Europa

Per me l’Europa era (ed è) la musica. Era Bach che trascriveva Vivaldi, era Domenico Scarlatti che da Napoli...

di Riccardo Insolia - domenica 23 marzo 2025 - 868 letture

Per me l’Europa era (ed è) la musica. Era Bach che trascriveva Vivaldi, era Domenico Scarlatti che da Napoli (ma la famiglia era siciliana, trapanese) arrivò a Lisbona, a Siviglia, a Madrid e creò centinaia di gioielli sonori che ancora adesso risuonano con la stessa intatta magia, era Boccherini che nacque a Lucca e morì a Madrid e lì compose La musica notturna delle strade di Madrid, era Mozart che venne a Bologna per conoscere un grande maestro italiano, l’abate Martini, e che collaborò con Lorenzo Da Ponte per i suoi capolavori operistici, era Beethoven che con immensa maestria arrangiò e trascrisse (anche se pochi lo ricordano) melodie popolari di ogni paese (dalla Scozia alla Sicilia), era Stravinskij che nel 1913 sconvolse Parigi con i ritmi e i frammenti russi de Le Sacre du printemps (un "magnifico incubo" scrisse Claude Debussy), lo stesso Stravinskij che subito dopo, nel 1919-20, trascriveva Pergolesi nel «Ballet avec chant» Pulchinella (Musique d’après Pergolesi). Ma Europa era anche il compositore Alfredo Sangiorgi che da Catania andava a Vienna per studiare con Schönberg, o il pianista Ilija Grinstein che da Odessa veniva a Catania e fondava una scuola pianistica di alto livello. Era Bartók che esplorava l’immenso giacimento musicale balcanico, scopriva il ritmo bulgaro e si spingeva fino ai ritmi turchi e arabi. Era lo svizzero Dalcroze (nato però a Vienna) che, giunto come direttore d’orchestra al teatro di Algeri (1886), fu conquistato dai ritmi della musica algerina e fondò un vero e proprio metodo, oggi diffuso in tutto il mondo, appunto chiamato Ritmica Dalcroze. Era Luciano Berio che nei Folk Songs arrangiava e ricreava canti di tradizioni deversissime (America, Francia, Armenia, Liguria, Sicilia, Sardegna, Azerbaijan) e riprendeva il dialogo con Boccherini (Quattro versioni originali della Ritirata Notturna di Madrid di L. Boccherini sovrapposte e trascritte per orchestra del 1975) e con Schubert (Rendering del 1989/1990 che usa e ricompone, facendoli affiorare come in un grande affresco restaurato "senza però celare i danni del tempo – afferma Berio – e gli inevitabili vuoti creatisi nella composizione", i frammenti della Sinfonia in re maggiore D936a, mai completata, di Schubert).

Potrei continuare a lungo. Quello che voglio dire è che l’essenza dell’Europa mi sembra consistere essenzialmente in questa immensa e vertiginosa stratificazione, deposito e scambio e intreccio e lascito di culture che costituiscono la sua vera identità e ricchezza. Con questa stratificazione è sempre possibile colloquiare poiché essa mantiene il suo valore generativo di pensiero e di ulteriore bellezza.

So bene che Europa è anche altro: il fanatismo religioso, le guerre, i nazionalismi, il colonialismo, gli orrori recenti del fascismo e del nazismo. Ma è anche il luogo in cui è stato possibile fare i conti, dolorosamente, con questa atroce eredità.

Per me è il luogo aperto sul mondo, quello che attraversai a diciotto anni percorrendo la Francia meridionale (la Provenza, il Rossiglione) fino ai Pirenei, chiedendo passaggi, come allora si usava fare. E poi la Germania, l’Austria, la Spagna e l’Ungheria dove ho appreso altre cose che non conoscevo, ma soprattutto ho compreso un modo diverso e più completo di guardare il mondo insegnando la musica e contribuendo alla formazione di altri musicisti.

Ecco per me l’Europa è questo: un modo di guardare il mondo mantenendo viva la speranza e un luogo che, almeno in parte, ha saputo trasformare le identità nazionali in ricchezza comune: un segnale per tutti, anche in un momento come questo in cui l’Europa sembra priva di voce e di senso. L’orizzonte di colloquio e di ricerca esplorato dall’arte rimane forse più attuale, forte e credibile di quello attualmente offerto dalla politica e può indicare anche a quest’ultimo una possibilità di futuro.

Alla fine, anche se Putin e Trump e tanti altri non ci credono, ha ragione Hölderlin:

"Was bleibet aber, stiften die Dichter."

Ciò che resta, lo fondano i poeti.


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