Appunti su un’idea di Europa
Per me l’Europa era (ed è) la musica. Era Bach che trascriveva Vivaldi, era Domenico Scarlatti che da Napoli...
Per me l’Europa era (ed è) la musica. Era Bach che trascriveva Vivaldi, era Domenico Scarlatti che da Napoli (ma la famiglia era siciliana, trapanese) arrivò a Lisbona, a Siviglia, a Madrid e creò centinaia di gioielli sonori che ancora adesso risuonano con la stessa intatta magia, era Boccherini che nacque a Lucca e morì a Madrid e lì compose La musica notturna delle strade di Madrid, era Mozart che venne a Bologna per conoscere un grande maestro italiano, l’abate Martini, e che collaborò con Lorenzo Da Ponte per i suoi capolavori operistici, era Beethoven che con immensa maestria arrangiò e trascrisse (anche se pochi lo ricordano) melodie popolari di ogni paese (dalla Scozia alla Sicilia), era Stravinskij che nel 1913 sconvolse Parigi con i ritmi e i frammenti russi de Le Sacre du printemps (un "magnifico incubo" scrisse Claude Debussy), lo stesso Stravinskij che subito dopo, nel 1919-20, trascriveva Pergolesi nel «Ballet avec chant» Pulchinella (Musique d’après Pergolesi). Ma Europa era anche il compositore Alfredo Sangiorgi che da Catania andava a Vienna per studiare con Schönberg, o il pianista Ilija Grinstein che da Odessa veniva a Catania e fondava una scuola pianistica di alto livello. Era Bartók che esplorava l’immenso giacimento musicale balcanico, scopriva il ritmo bulgaro e si spingeva fino ai ritmi turchi e arabi. Era lo svizzero Dalcroze (nato però a Vienna) che, giunto come direttore d’orchestra al teatro di Algeri (1886), fu conquistato dai ritmi della musica algerina e fondò un vero e proprio metodo, oggi diffuso in tutto il mondo, appunto chiamato Ritmica Dalcroze. Era Luciano Berio che nei Folk Songs arrangiava e ricreava canti di tradizioni deversissime (America, Francia, Armenia, Liguria, Sicilia, Sardegna, Azerbaijan) e riprendeva il dialogo con Boccherini (Quattro versioni originali della Ritirata Notturna di Madrid di L. Boccherini sovrapposte e trascritte per orchestra del 1975) e con Schubert (Rendering del 1989/1990 che usa e ricompone, facendoli affiorare come in un grande affresco restaurato "senza però celare i danni del tempo – afferma Berio – e gli inevitabili vuoti creatisi nella composizione", i frammenti della Sinfonia in re maggiore D936a, mai completata, di Schubert).
Potrei continuare a lungo. Quello che voglio dire è che l’essenza dell’Europa mi sembra consistere essenzialmente in questa immensa e vertiginosa stratificazione, deposito e scambio e intreccio e lascito di culture che costituiscono la sua vera identità e ricchezza. Con questa stratificazione è sempre possibile colloquiare poiché essa mantiene il suo valore generativo di pensiero e di ulteriore bellezza.
So bene che Europa è anche altro: il fanatismo religioso, le guerre, i nazionalismi, il colonialismo, gli orrori recenti del fascismo e del nazismo. Ma è anche il luogo in cui è stato possibile fare i conti, dolorosamente, con questa atroce eredità.
Per me è il luogo aperto sul mondo, quello che attraversai a diciotto anni percorrendo la Francia meridionale (la Provenza, il Rossiglione) fino ai Pirenei, chiedendo passaggi, come allora si usava fare. E poi la Germania, l’Austria, la Spagna e l’Ungheria dove ho appreso altre cose che non conoscevo, ma soprattutto ho compreso un modo diverso e più completo di guardare il mondo insegnando la musica e contribuendo alla formazione di altri musicisti.
Ecco per me l’Europa è questo: un modo di guardare il mondo mantenendo viva la speranza e un luogo che, almeno in parte, ha saputo trasformare le identità nazionali in ricchezza comune: un segnale per tutti, anche in un momento come questo in cui l’Europa sembra priva di voce e di senso. L’orizzonte di colloquio e di ricerca esplorato dall’arte rimane forse più attuale, forte e credibile di quello attualmente offerto dalla politica e può indicare anche a quest’ultimo una possibilità di futuro.
Alla fine, anche se Putin e Trump e tanti altri non ci credono, ha ragione Hölderlin:
"Was bleibet aber, stiften die Dichter."
Ciò che resta, lo fondano i poeti.
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