Antologia

Frammenti da “Il secondo sesso” di Simone de Beauvoir, Il Saggiatore, 1999, secondo libro, “L’esperienza vissuta”.

di Pina La Villa - martedì 3 maggio 2005 - 4788 letture

Frammenti da “Il secondo sesso” di Simone de Beauvoir, Il Saggiatore, 1999, secondo libro, “L’esperienza vissuta”.

Infanzia“Donna non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo; è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna. Unicamente la mediazione altrui può assegnare a un individuo la parte di ciò che è Altro. In quanto creatura che esiste in sé, il bambino non arriverebbe mai a cogliersi come differenziazione sessuale. Tanto nelle femmine che nei maschi, il corpo è prima di tutto l’irradiarsi di una soggettività, lo strumento indispensabile per conoscere il mondo: si conosce, si afferra l’universo con gli occhi e con le mani, non con gli organi sessuali”.(p. 325)

“Si fa capire al bambino che i sacrifici che gli vengono chiesti [maggiore durezza nell’educazione del bambino] sono una prova della sua superiorità maschile; per sostenerlo nella via difficile che ha davanti, gli predicano l’orgoglio della sua virilità. Per lui questa astratta nozione prende subito un aspetto concreto: s’incarna nel pene; la fierezza verso il piccolo sesso indolente non nasce in lui in modo spontaneo; gli viene istillata dall’ambiente. Madri e balie perpetuano la tradizione che assimila il fallo all’idea di maschio; sia che ne risconoscano il prestigio nella gratitudine amorosa o nella sottomissione, sia che cerchino una rivincita nella piccola umiliata forma del sesso infantile, certo lo trattano con singolare diletto”

“Ho già ricordato che vicino all’autentica rivendicazione del soggetto, il quale si pone come libertà sovrana, c’è nell’esistente un desiderio autentico di rinunzia e di fuga; sono le delizie della passività che genitori ed educatori, libri e miti, donne e uomini fanno balenare davanti agli occhi della fanciulla; durante l’infanzia impara già ad assaporarle; la tentazione diventa sempre più insidiosa; e lei cede tanto più fatalmente in quanto lo slancio della sua trascendenza urta contro severe resistenze. Ma, accettando la passività, accetta anche di subire senza resistere un destino che le verrà imposto dal di fuori, e questa fatalità la spaventa. Che sia ambizioso, stordito o timido, il ragazzo si apre a uno spazioso avvenire; sarà marinaio o ingegnere, resterà in campagna o andrà in città, vedrà il mondo, diventerà ricco; egli si sente libero in faccia all’avvenire, dove l’aspettano possibilità impreviste. La bambina sarà sposa, madre, nonna; si occuperà della casa, esattamente come sua madre, curerà i bambini nello stesso modo in cui lei è stata curata: ha appena 12 anni, ma la sua storia è già scritta nelle stelle; la scoprirà giorno per giorno senza mai foggiarla; è incuriosita ma spaventata quando evoca in sé quella vita e le sue tappe, tutte prevedibili, verso le quali ogni giorno la guida ineluttabilmente.”

La maternità

“Abbiamo visto che durante l’infanzia e nell’adolescenza, la donna attraversa in rapporto alla maternità diverse fasi. Quando è bambina la considera un miracolo, un gioco: trova nella bambola, presagisce nel figlio che verrà un oggetto da possedere e da dominare. Adolescente vede in esso invece una minaccia contro l’integrità della della sua preziosa persona.[...] Nell’accettareo rifiutare il concepimento influiscono gli stessi fattori della gravidanza in genere. Nel corso di questa si ravvivano i sogni infantili del soggetto e le angosce di adolescente; rapporti che la donna ha con la madre, col marito, con se stessa sono determinati dal modo in cui può essere vissuta.[...](p. 582)

“Ma la gravidanza è soprattutto un dramma che si svolge nell’intimo della donna che la sente nello stesso tempo come un arricchimento e come una mutilazione; il feto è una parte del suo corpo ed è un parassita che la sfrutta; lo possiede ed è posseduta da lui; riassume tutto l’avvenire e, portandolo, si sente vasta come il mondo; ma questa stessa ricchezza la annichilisce, ha l’impressione di non essere più niente. Una nuova esistenza si manifesterà e giustificherà la sua esistenza, ella ne è fiera; ma si sente anche in preda a forze oscure, e sballottata, violentata. Ciò che vi è di particolare nella donna incinta, è che nel momento stesso in cui il suo corpo si trascende è colto come immanente: si ripiega su se stesso con le nausee e i malesseri; cessa di essere per sé solo ed è allora che diventa più voluminoso di quanto non sia mai stato. La trascendenza dell’artigiano, dell’uomo d’azione è sede della soggettività: ma nella futura madre l’opposizione soggetto-oggetto è abolita; forma col bambino di cui è pregna una coppia equivoca che la vita sommerge; presa nei lacci della natura è pianta e bestia, una riserva di colloidi, una incubatrice, un uovo [...] Il suo corpo è finalmente suo perché è del bambino che le appartiene. La società gliene riconosce il possesso e lo riveste di un carattere sacro. [...] Ma è solo un illusione. Perché ella non fa veramente il figlio: questo si fa in lei; la sua carne genera soltanto della carne: è incapace di fondare un’esistenza che dovrà fondarsi da sola; le creazioni che emanano dalla libertà pongono l’oggetto come valore e lo rivestono di una necessità: nel seno materno, il bambino è ingiustificato, non è che una proliferazione gratuita, una cosa greggia la cui contingenza è simmetrica a quella della morte. La madre può avere le sue ragioni di volere un figlio, ma non potrà dare a questo altro che esisterà domani le proprie ragioni d’essere; lo genera nella generalità del suo corpo, non nella singolarità della sua esistenza.[...]

La casa

“Rilke scrive a proposito di Rodin: ’La prima volta che andai da Rodin compresi che la sua casa non era per lui che una cruda necessità: un riparo contro il freddo, un tetto sotto cui dormire. Essa lo lasciava del tutto indifferente e non aveva la minima influenza sulla sua solitudine e sul suo raccoglimento. Egli trovava in se stesso il suo focolare: ombra, rifugio e pace. Era divenuto per se stesso il cielo, la foresta, il largo fiume che nulla può fermare’.

Ma per trovare in se stessi un focolare bisogna prima di tutto aver realizzato se stessi nelle opere o nelle azioni. L’uomo non si interessa granché della casa perché ha accesso all’universo intero e perché può affermare se stesso nei suoi progetti. Mentre la donna è chiusa nella comunità coniugale: si tratta per lei di trasformare questa prigione in un regno. [...] Non senza rimpianto la donna chiude dietro di sé le porte del focolare; fanciulla, aveva per patria la terra intera; le foreste le appartenevano. Ora è confinata in uno spazio ristretto; la Natura si riduce per lei alle proporzioni di un vaso di gerani; i muri le sbarrano l’orizzonte. Un’eroina di V. Woolf mormora: ’Non distinguo più l’inverno dall’estate dallo stato dell’erba o dall’erica delle lande, ma dal vapore o dal gelo che si formano sui vetri. Io che un tempo camminavo nei boschi di faggi ammirando il colore azzurro che prendono le penne della gazza quando cadono, io che incontravo sul mio cammino il vagabondo e il pastore...vado di stanza in stanza, col piumino in mano”(da Le onde di V. Woolf)

Le donne artiste e scrittrici

“E’ naturale che la donna cerchi di sfuggire a questo mondo in cui si sente dimenticata e incompresa; ma è doloroso constatare che non ha abbastanza coraggio per le audaci imprese di un Gérard de Nerval, di un Poe. La sua timidezza è giustificata da molte ragioni. La sua più grande preoccupazione è di piacere; e spesso teme, per il solo fatto di scrivere, di essere sgradita come donna: il nome di “saccente”, [...]sveglia ancora spiacevoli risonanze.[...] Uno scrittore originale, finché non è morto, dà sempre scandalo; la novità porta turbamento e irritazione; la donna è ancora stupita e lusingata di essere ammessa nel mondo del pensiero, dell’arte, che è un mondo maschile: vi mantiene un atteggiamento moderato; non osa sconvolgere, esplorare, esplodere; le sembra di doversi far perdonare le sue pretese letterarie con la sua modestia, il suo buon gusto; punta sui valori sicuri del conformismo; introduce nella letteratura appena quella nota personale che ci si aspetta da lei[...] la donna che secglie di ragionare, di esprimersi secondo la tecnica maschile, ci terrà a soffocare una originalità di cui diffida; come la studentessa, sarà quasi sempre studiosissima e pedante; imiterà la severità e l’energia virile. Potrà diventare un’eccellente teorica, acquistare un solido talento; ma si sarà imposta di ripudiare tutto quello che c’era in lei di diverso. Vi sono donne pazze e donne di talento: nessuna ha quella follia nel talento che si chiama genio.[...](p. 810) Le costrizioni di cui è circondata e tutta la tradizione che pesa su di lei, le impediscono di sentirsiresponsabile dell’universo: ecco la profonda ragione della sua mediocrità. (p. 814)


- Ci sono 0 contributi al forum. - Policy sui Forum -