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Antigone e noi

La tragedia del nostro tempo storico è la cultura della cancellazione degli opposti, il conflitto è sostituito dall’omologazione... L’omologazione è cultura del silenzio, è la sterilità dell’anima e della psiche.

di Salvatore A. Bravo - mercoledì 27 novembre 2024 - 296 letture

Letteratura e filosofia greca

Vi sono opere eterne, il cui significato polisemico cela la verità della condizione umana che si presta ad una molteplicità di letture condizionate dalle circostanze storiche. La verità è nella storia e si svela in essa, pertanto vi sono nuclei veritativi filtrati mediante l’orizzonte storico-mondano in cui l’essere umano è situato.

La letteratura greca è fonte di verità come la filosofia, si utilizzano linguaggi differenti ma in esse si colgono verità intramontabili. La verità non brilla al di là dello spazio e del tempo, essa è nel mondano, quindi pone problemi interpretativi, e nei differenti periodi storici un particolare aspetto della verità prevale sugli altri. La verità è prismatica e dinamica, è unità che contiene e relaziona una pluralità di aspetti tra di loro razionalmente congiunti in una fitta rete di relazioni.

La letteratura e la filosofia greca sono creazioni politiche, in esse sono iscritte le progettualità politiche nelle quali il processo che conduce dal particolare al generale si rende reale e razionale mediante il confronto dialettico. La tragedia è processo di superamento concettuale delle scissioni che conducono ad una conflittualità nichilistica e irrazionale.

La letteratura e la filosofia greca, dunque, non possono essere spiegate con il semplice rapporto struttura-sovrastruttura, tale consapevolezza vi era anche in Marx. La verità eccede la storia pur vivendo in essa. L’eterno si materializza nella storia. Marx è autore di stampo idealistico, egli è un hegeliano in tale prospettiva, poiché l’eterno si svela nella storia. Ogni semplicismo rischia di introdurre l’irrazionale il quale comporta una contrazione della capacità di decodificare la verità nel suo disvelamento storico.

Il mondo greco è per Marx un problema, poiché sfugge alle categorie del materialismo, vi è in esso un’eccedenza che esige altre categorie per poter essere interpretato e compreso. La verità della condizione umana ha un nucleo profondo che sfugge all’applicazione meccanica di taluni schemi preordinati:

“Nell’Introduzione alla critica dell’economia politica, Marx cerca di raffinare il modello ingenuo e sociologicamente rozzo delle relazioni tra la <> estetico-ideologica di una cultura e la sua base economica sociale. Secondo Marx, non è possibile formulare un’equazione semplicistica e univoca di tali relazioni che sono molto più sottili sia in rapporto al carattere del clima ideologico o artistico di una determinata comunità, sia agli stadi temporali dell’evoluzione sociale” [1].

D’altra parte la verità di una “civiltà altra” non ci giunge nell’oggettività abbagliante del mattino, ma essa deve implicare uno sforzo ermeneutico e una tensione dialettica capaci di un doppio movimento: si arretra dinanzi ad essa, poiché consapevoli dell’alterità filtrata mediante schemi, giudizi e pregiudizi del proprio tempo storico al fine di approssimarsi alla sua presenza senza l’arrogante pretesa di possederla:

“Quando arriva a noi dall’Antigone di Sofocle, il <> è distorto nella sua struttura originaria proprio come la luce sellare è deformata quando arriva a noi attraverso il tempo e campi gravitazionali successivi” [2].

Dai Greci siamo distanti e vicini, le loro verità sono le nostre, ma nel contempo il vissuto storico le fa apparire in modo diverso e dona ad esse una diversa configurazione. Siamo distanti dalla luce, poiché siamo immersi nell’oscurità ideologica del nostro orizzonte storico, ciò malgrado è della natura umana il riorientamento gestaltico. L’essere umano può con la ragione dialettica ridisporsi verso la verità con il confronto contrastivo, il quale è dialettico e mai violento. Gli esseri umani sono proiettivi, pertanto per decodificare l’alterità e la verità è opportuno il lavoro dello spirito senza il quale nessuna interpretazione risulta razionale e ben fondata. Alla proiezione di sé nell’altro si aggiungono i pregiudizi del proprio tempo storico.

Riorientarsi verso la verità implica il “guadare” il proprio tempo. Tale processo non è mai solitario, in quanto il soggetto ritrova se stesso e l’alterità nella parola che diviene concetto pensato.

Le Antigoni

L’Antigone di Sofocle è un’opera eterna, si dispiega davanti a noi, non una semplice tragedia, ma l’umanità nei suoi complessi conflitti dialettici. Il male è l’opposizione senza sintesi, se il particolare e l’universale guerreggiano senza la capacità di sintesi del concetto, si è colti dalla rovina. La vita sociale e politica è attività dialettica finalizzata a conciliare ciò che pare-appare opposto. Eraclito [3] nel frammento 51 già affermava la necessità dell’unità degli opposti, la verità è l’unità nella quale gli opposti ridisegnano posizioni e significati. L’armonia non è nella sclerotizzazione della vita, ma nel confliggere fecondo e consapevole. L’armonia degli opposti è l’antitesi che diviene concetto. Nell’armonia degli opposti l’unità composito ritrova la sua unità nel concetto che ridispone le parti verso l’orizzonte di senso. Le differenze non sono cancellate, ma ritrovano la loro unità nel comune fondamento ontologico. La democrazia comunitaria è in questo lavoro politico che riporta il reciproco riconoscimento delle differenze nella comune umanità. La progettualità diviene in tal modo lavoro di sintesi nel quale è presupposto il logos.

La tragedia del nostro tempo storico è la cultura della cancellazione degli opposti, il conflitto è sostituito dall’omologazione. L’uguaglianza ideologica ha il suo postulato nell’indifferenziazione che produce solo una cultura della conservazione. L’omologazione è cultura del silenzio, è la sterilità dell’anima e della psiche.

La comunità tutta è presa da una furia regressiva, nella quale l’incapacità e il terrore dell’alterità prevalgono sul riconoscimento. Si tratta di una omologazione cannibalico nella quale tutto dev’essere interscambiabile anche i generi come le idee politiche.

Ci si deve attestare in una palude ombrosa, in cui la dialettica è sostituita da una inquietante processo di indifferenziazione dal quale nulla nasce, ma tutto muore. Il nuovo totalitarismo dell’indifferenziato ha terrore delle differenze e della reciprocità dialettica, esso persegue solo la pacifica omologazione che diviene mezzo ideologico di conservazione del sistema vigente. La verità senza opposti riposizionati nel reciproco riconoscimento è solo “il niente” ideologico. Il conflitto concettuale è stato sostituito dal confliggere crematistico senza riconoscimento delle autocoscienze nella loro specificità materiale e di genere.

Hegel ha interpretato l’Antigone, ne ha colto un aspetto eterno, ovvero in Antigone il conflitto conduce alla rovina, poiché il polo femminile (Antigone) e il polo maschile (Creonte) non ammettono la sintesi. Il dialogo è qui solo una “finzione linguistica”, poiché entrambi non ascoltano e rifiutano il polo opposto che vive in ciascuno. Tra di loro le parole non sono fonte di “comunicazione”, ma barriere che si innalzano per ricadere su di loro. La tragedia è nella negazione del “senso della parola”, la quale è la verità dell’umanità nelle contingenze esistenziali e storiche. La parola presuppone l’ascolto e la sintesi, che in questo caso sono negati. Creonte non ascolta Antigone con le sue ragioni, poiché è distante dal suo polo femminile, lo stesso avviene in Antigone. Entrambi sono irrigiditi dall’incapacità di pensare e vivere il proprio nucleo profondo nel quale vi è una sintesi che se pensata-vissuta favorisce l’ascolto e la comunicazione:

“I riti funerari, poiché rinchiudono letteralmente il morto nello spazio della terra e nella sequenza fantomatica delle generazioni, che sono alla base del mondo famigliare, sono un compito specificatamente femminile. Quando tale compito tocca a una sorella, qualora l’uomo non abbia né madre né moglie che lo riportino alla terra custode, i riti funebri acquistano la massima sacralità. L’atto di Antigone è il più sacro che una donna possa commettere. E’ anche ein Verbrechen: un crimine. Ci sono situazioni in cui lo stato non è pronto a rinunciare alla propria autorità sui morti” [4].

Per Hölderlin Antigone è una “santa pazza”, è il polo dionisiaco, è la verità aorgica che vive solo in relazione alla razionalità apollinea. Resecare i due poli significa spezzare la profondità della razionalità. Senza dualità nell’unità non vi può che essere irrazionalità e una pericolosa scissione in cui le parti prendono il sopravvento fino alla morte. L’unità è nella dualità dei poli: Antigone sente le potenze profonde della vita con la sua sacralità terrena e trascendente, ma è respinta dalla legge della polis e dai suoi poteri, i quali si trincerano nell’astratta legalità, d’altra parte anch’essa è espressione dell’ individuale autoreferenziale. La legge astratta universale della polis e l’individuale confliggono, poiché restano sclerotizzati senza mediazione sule loro posizioni. Entrambe sono diversamente avulse dalla realtà concreta, in quanto rifuggono dalla verità, la quale per sua costituzione ontologica è mediazione delle differenze in un comune substrato riconosciuto dai poli dialettici. Antigone mostra con la sua rivolta e il suo dolore la parzialità dell’altro polo, nella lotta palesa che vi è altro oltre l’ordine stabilito, nel contempo è sull’abisso dell’irrazionale, poiché in lei vi è il prevalere di un solo aspetto:

“Ella è la quintessenza dell’Antitheos, di cui il poeta aveva parlato nella lettera a Böhlendorff, nel dicembre 1801. Il che significa che Antigone fa parte di coloro che si pongono di fronte a Dio o agli dei (Hölderlin usa alternativamente queste due espressioni) con atteggiamento contrario, avverso, polemico. Ma questa opposizione, questo attacco agonistico rappresentano una forma sublime di devozione. (…) I punti di riferimento di Hölderlin  sono di natura filosofica. Proprio come Empedocle e come Rousseau, secondo la descrizione che Hölderlin ne dà nell’ode Der Rhein (Il Reno), Antigone è una pazza santa (törig göttlich)” [5].

Differenze e unità

George Steiner individua il dramma e la verità dell’Antigone nel rifiuto della differenza profonda, ciascun uomo reca con sé il maschile con un fondo femminile e lo stesso accade nella donna. Una società sana consente l’ascolto del sottofondo che completa la disposizione di genere prevalente senza cancellarla. La comunicazione è in questo ritrovare l’altro in sé, senza che ciò comporti la cancellazione delle differenze del modo di “sentire e disporsi” nella concretezza delle vite e della vita.

La comunicazione interiore non può che favorire e incentivare le relazioni positive tra i due generi. Antigone rappresenta il rifiuto di tale positiva ambiguità che non chiede la rinuncia o la negazione di nessun polo, ma consente una proficua comunicazione-sintesi. Nella tragedia di Sofocle è rappresentata la negazione, l’incomunicabilità tra le due figure è il segno di una resecazione interiore proiettata all’esterno. Antigone e Creonte sono l’uno speculare all’altro:

“Il germe di tutto il dramma sta nell’incontro tra un uomo e una donna. Nessuna esperienza di cui abbiamo diretta conoscenza è portatrice di un maggiore potenziale conflitto. Essendo inalienabilmente una sola cosa, in virtù dell’umanità che li separa da ogni altra forma di vita, uomo e donna sono allo stesso tempo inalienabilmente diversi. Lo spettro della diversità. Come sappiamo, forma un continuum tra i più sottili. In ogni essere umano sono presenti elementi di mascolinità e di femminilità (ogni incontro, ogni conflitto è, di conseguenza anche una guerra civile all’interno del proprio io ibrido). Ma la maggior parte degli uomini e delle donne cristallizza la propria essenziale virilità o femminilità in qualche punto di questo continuum. Questa riunione della personalità divisa, questa composizione dell’identità, creano una breccia attraverso la quale le forze dell’amore e dell’odio si congiungono” [6].

Il tempo attuale è nel segno della separazione da sé e dall’alterità, le innumerevoli tragedie sono il sintomo di una realtà sociale ed economica che ha cancellato la bella unità nella differenza sostituendola con forme manierate e artefatte congegnali al sistema capitalistico. Ovunque si assiste ad una imitazione del femminile e del maschile senza autenticità e relazioni.

Maschile e femminile sono sostituiti da versioni di consumo senza interiorità e profondità, in tal modo le relazioni non possono che tradursi in tocchi fugaci e speso conflittuali. Le differenze non sono solo prodotti della storia, sono anche strutture ontologiche che appartengono all’umanità e che si esplicitano nella relazione di riconoscimento-autoriconoscimento. Estetiche e scelte dettate dal sistema sono curvate dall’industria del maschile e del femminile ad uso e consumo del mercato. La violenza è nell’industrializzazione dei generi che devono obbedire a logiche di dominio. L’uguaglianza dei diritti non è omologazione, ma processo di riconoscimento dell’altro.

In ogni essere umano vi è la facoltà di pensare e sentire l’altro e in tal modo si oltrepassano i confini della solitudine per una sintesi superiore, in cui non vi sono rimozioni, ma vi è la plastica generazione della vita. La letteratura e la filosofia greca sono oggetto di rimozione dalla formazione pubblica, in quanto insegnano a pensare e a sottrarsi dai “dicitur” del politicamente corretto. In esse non vi è timore delle differenze, anzi la “tragedia” ha il suo nucleo essenziale nella negazione dei limiti naturali dell’essere umano.

L’omologazione è negazione della forma sostanziale dei generi e della natura umana, la quale ha la sua eccellenza nella parola capace di tracciare confini condivisi e mai violenti perché fondati sulla parresia. La tragedia in ogni tempo storico e in ogni circostanza esistenziale è nel rifiuto del logos, ovvero della natura umana:

“Il logos, infatti, era prima di tutto un calcolo sociale dei giusti rapporti di ricchezze e di potere all’interno della città (polis), in modo che la sproporzione di potere e di ricchezza non portasse alla catastrofe. Le proporzioni che si “vedevano” nelle figure geometriche disegnate sulla. sabbia bagnata ed indurita erano così trasposte “idealmente” (da cui l’idealismo) nei rapporti sociali e politici dell’equilibrio (isorropia), in funzione della concordia (omonoia). La stessa Repubblica di Platone è fondata sull’idealismo, inteso come corretta visibilità ideale (nel quadruplice passaggio dalla eikasia alla pistis, fino alla dianoia ed al nous) dei giusti rapporti di ricchezza e di potere fra i cittadini” [7].

Per uscire dallo stato di tensione distruttiva innumerevoli possono essere i percorsi, ma “rileggere” con spirito libero i classici significa riorientarsi in un mondo che precipita nel caos dei pifferai della parola.

[1] George Steiner, Le Antigoni, Un grande mito classico nell’arte e nella letteratura dell’Occidente, Garzanti, 2003, pag. 142

[2] Ibidem, pag. 232 233

[3] Eraclito frammento 51: Non comprendono come, pur discordando in se stesso, è concorde: armonia contrastante, come quella dell’arco e della lira.

[4] George Steiner, Le Antigoni, Un grande mito classico nell’arte e nella letteratura dell’Occidente, Garzanti, 2003, pag. 45

[5] Ibidem, pag. 93

[6] Ibidem, pag. 262 263

[7] Costanzo Preve, Marx lettore di Hegel e ... Hegel lettore di Marx, Petite Plaisance Pistoia Torino, 2009 pag. 7


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