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Another brick in the wall

di Sergej - martedì 10 dicembre 2024 - 304 letture

Another brick in the wall era la canzone nell’album The Wall dei Pink Floyd del 1979, composta da Roger Waters, David Gilmour, Richard Wright, Nick Mason. Vi si parlava di educazione e di imposizione, di ribellione e di ragazzi e ragazze. Quello di cui vorremmo parlare in questo articolo è qualcosa che riguarda l’educazione, i ragazzi e le ragazze, e il “mattone”.

L’esercizio del mattone, non confinato a scopi lavorativi e produttivi, “edilizi” - ma ludico e ricreativo. Il tempo libero, se si vuole. Che per chi lo esercita da adulti diventa collezionismo o hobby; mentre da ragazzi è gioco. L’utilizzo dei mattoncini giocattolo, a simulare quelli veri, per “costruire” case ed edifici in scala ridotta. Un gioco o un hobby in cui si forma una committenza: piccole aziende, botteghe che producono i kit di montaggio, che vengono acquistati da adulti per regalarli ai propri ragazzi. O anche per sfogare la propria voglia collezionistica o di amanti della riproduzione modellistica. Come per le navi, o per i treni, l’amore per gli edifici e le costruzioni edili ha visto svilupparsi un analogo fenomeno commerciale e hobbistico. Prima appannaggio dei più grandi; poi esteso ai propri figli. Nel Novecento diventa pienamente “gioco”, viene inserito nella standardizzazione commerciale, offerto in forma di kit. Nascono così le aziende che costruiscono i brick, i mattoncini, con le diverse parti adatte per la costruzione dei modellini di case.

La passione per la riproduzione di edifici “in miniatura” è arte di lungo periodo. Nella tradizione, l’uso soprattutto del legno e una attitudine artigianale. Diorama e “mondo in miniatura” sono passioni sotterranee ma permanenti nel mondo europeo. In uno degli episodi del Tenente Colombo (Columbo, in anglo) vediamo un generale alle prese con un enorme plastico con i soldatini schierati a riprodurre una delle battaglie della Guerra Civile nordamericana. È un esempio di diorama. Un altro esempio è il presepe della tradizione italica (Francesco d’Assisi?): anche quello è un diorama, con statuette in miniatura forgiate artigianalmente all’inizio e poi serializzate nella produzione industriale del Novecento.

Come leggiamo: i più antichi diorami sono probabilmente quelli realizzati nella prima metà dell’Ottocento da Paolo Savi e conservati presso il Museo di Storia Naturale e del Territorio di Calci, in provincia di Pisa. Essi sono i primi esempi di ricostruzioni tridimensionali di interazioni tra animali e, all’epoca, furono ritenuti d’insuperabile qualità dai maggiori musei europei. L’invenzione e la costruzione dei primi diorama moderni, tra il 1822 e il 1827, sono accreditate a Louis Daguerre insieme con Charles-Marie Bouton; gli sfondi e le ambientazioni sceniche furono opera del pittore Hippolyte Sebron [1].

Quello che cambia nel Novecento è la standardizzazione dei componenti - sulla linea della tendenza alla riproducibilità dell’arte e della propensione fordista. Chi costruisce questo tipo di oggetti, diventa da artigiano assemblatore. La perdita della sapienza necessaria viene compensata con la possibilità di espandere l’attività verso fasce sociali diverse, non più necessariamente adulte.

Tutti oggi conoscono “i” lego e “la” Lego (azienda), Ma prima della Lego, e negli anni Sessanta del Novecento “accanto” alla Lego esistevano diverse aziende concorrenti. Il mondo dei mattoncini non era monopolio di una sola grande corporation, di cui oggi sembra non si riesca a fare a meno. Forte di un marketing sempre aggiornato, di una buona schiera di avvocati capaci di intervenire se necessario per bloccare la possibile concorrenza, Lego ha saputo costruirsi anche una “narrazione” riguardo la propria storia, le proprie “origini”. Non parleremo di questo.

Quello che qui ci interessa di più è parlare e avere notizie riguardo tutti gli altri. Chi c’era prima e chi c’era “assieme”. Oggi sappiamo che esiste una concorrenza montante e agguerrita, legata anche al gonfiarsi delle economie dei Paesi asiatici: gli “altri lego” che cercano di ricavarsi spazio offrendo prodotti a più basso costo o tentando la diversificazione dell’offerta. Ma prima com’era la situazione, quali altre aziende esistevano? Quali erano gli altri mattoncini del muro?

Sappiamo che “il mercato” agli inizi del Novecento era dominato da inglesi francesi e tedeschi, poi dagli statunitensi. Con l’arrivo dei materiali sintetici, si cominciò a utilizzare la bachelite e poi l’acetato. È la situazione che troviamo fino agli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale. Costi e mercato erano rivolti all’élite, i figlioletti dell’alta borghesia soprattutto. Solo negli anni Sessanta del Novecento la cosa si evolve e il mercato diventa un mercato di consumo; e i kit vengono offerti all’acquisto anche per la piccola e media borghesia. In questa democraticizzazione del gioco certamente la Lego ha il suo merito. Ma negli anni che precedono immediatamente il boom erano molti gli indizi che puntavano in quella direzione. Soprattutto il proliferare di idee e di aziende produttrici.

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InPerFor - immagine da un kit d’epoca

Nel settore delle costruzioni no-Lego, molto interessante il caso della InPerFor. L’acronimo dell’azienda sta per Incastri Perni Fori. L’azienda era condotta da Ottorino Angelici, che registrò il brevetto per marchio dell’impresa il 25 febbraio 1952 [2]. ’Gioco per costruzioni edili con sistema di incastro a perni e fori’ la descrizione originale dei mattoncini InPerFor. Angelici fece prima un prototipo con pezzi in metallo, ma poi usò la bachelite per i suoi kit. Si diede in pochi anni un gran da fare con la sua azienda, partecipando anche alle Fiere di Milano di quegli anni. La produzione cessò alla fine degli anni Cinquanta. Angelici morì nel 1996. Nella fase finale fu tentato, da parte del fratello di Ottorino Angelici, il rilancio con il brand SuPerFor e la vendita dei kit rimanenti dalla produzione precedente.

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InPerFor - Esempio di mattoncini InPerFor

Sui kit e sui mattoncini InPerFor esiste una pagina facebook dedicata, da cui ho preso gran parte delle notizie, e le immagini pubblicate, e che qui si ringrazia. Su Flickr alcune immagini ulteriori.

Il caso dell’imprenditore Angelici si inserisce nell’ambito di quell’esplosione di idee e di attività che si ebbe in Italia subito dopo la fine della guerra nel 1945, la fine del fascismo e il nuovo clima della Repubblica con il processo di "ricostruzione". È l’immediata premessa del boom economico degli anni Sessanta, le cui basi sono proprio in questi anni. In cui si muovono i fondatori delle maggiori imprese italiane dei decenni successivi, spesso ai loro inizi proprio allora. Un proliferare che significa però anche che tra i pochi che ce la fanno ce ne sono molti che per un motivo e l’altro non riescono a sfondare. Probabilmente ad Angelici sarebbe bastato, con maggiori capitali dietro, resistere qualche anno per partecipare anche lui al boom di pochi anni successivo. Un vero peccato. Oggi i suoi kit sono oggetto di collezionismo, è possibile trovare qualcosa su eBay e altri store dell’usato a prezzi decisamente elevati. Dagli anni Novanta del Novecento infatti c’è un fenomeno di retromania [3], in cui gli ex bimbi della fine degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta tornano sui loro affetti, col senno di poi e affetti da naturale nostalgia.

E voi, avete altre notizie su questa e altre ditte dell’epoca pre e no-Lego?

[1] Vedi: Wikipedia.

[2] Si veda presso il Sistema Archivistico Nazionale.

[3] Bauman parla di "retrotopia". Cfr.: Retrotopia / Zygmunt Bauman ; traduzione di Marco Cupellaro. - Bari-Roma : Laterza, 2017 ; terza edizione. - 180 p., [II], br. ; 21 cm. - (Tempi nuovi). - Tit.orig.: Retrotopia. - ISBN 978-88-581-2734-6.


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