Angelo Mundula e la poetica della nostalgia
*Nota critica pubblicata in Poeti dell’Italia Insulare vol. II: Angelo Mundula e i luoghi dell’anima, B. Vincenzi (a cura di), Macabor, I ed. 2021
La poesia di Angelo Mundula credo sia tra la più belle scoperte letterarie in cui ci si possa imbattere. Una poesia profondamente intimista, riflessiva, eppure, forse proprio per questo, universale, vicina al sentire – atavico – di ciascuno. Perché Mundula è stato un poeta-filosofo capace di tracciare su carta tutte le stagioni, le inquietudini e le esitazioni dell’esistenza: dello stare al mondo e per il mondo, ora da avventurieri ora da naufragi ora da esuli. E lo ha fatto con una naturalezza nella scrittura che lo ha reso, oltre che poeta, puntuale e raffinato critico sulle pagine dei maggiori quotidiani italiani (primo fra tutti l’Osservatorio Romano).
Per comprendere appieno questa suggestiva vicenda umana e poetica è necessario comprendere il rapporto di Mundula con la propria terra, una solenne schiavitù del luogo: la Sardegna. L’Isola, in una prospettiva più ampia (e chiaramente meta-geografica). Vivere in un’isola, qualsiasi essa sia, significa vivere l’isola: confrontarsi costantemente con i suoi chiaroscuri, con il suo essere terra ferma eppure mai immobile, perché in mezzo a un mare che la culla da millenni e da millenni la rende vulnerabile ad approdi e conquiste che diventano storia e mito, che plasmano personalità poliformi, incompiute nel proprio vivere qui e ora. Significa perdersi in essa, appartenerle senza, tuttavia, sentirsene pienamente parte. E ciò spinge, inevitabilmente, verso nuovi e indefiniti altrove. Scrive Mundula:
Da qualunque parte la Sardegna è lontana:
la sento talvolta riaffiorare dal profondo
come un atollo sommerso
indicarmi un percorso
una lingua familiare
parlata nel sogno. […]
Da qualunque parte l’isola è lontana
Come un desiderio o un sogno
***
Pensiamo sia questa l’isola
ed è molto più vasta
non c’è possesso ma scambio permanente
la nave che parte toccherà una riva imprevedibile
quella che giunge
ci sorprenderà nuovamente
***
Qui mille miglia sono lontano da qui
né mai il sorriso di queste fronde e del mare
mi fu tanto vicino come altrove.
Dappertutto scopro il mio esilio
Quest’ultimo verso sembra quasi avvicinarlo al Foscolo, anch’egli un isolano. Ma Mundula non è un esule nel corpo, fisicamente lontano dalla terra natìa: in esilio è la sua anima, che vaga tra le cose del mondo, incompleta, a immagine della (in)coscienza hegeliana:
Qui l’anima è in esilio
distante da ciò che ama
vicina soltanto a sé nello strazio
nella nudità totale.
E sempre sogna un ritorno
chissà dove
Altro leitmotiv nell’opera di Mundula, non a caso, è la nostalgia, da intendere nella sua declinazione romantica – filosofica – come desiderio, o meglio, necessità di ri-tornare, per ricongiungersi, all’essenziale, all’origine e perché delle cose, attraverso un lungo ed estenuante viaggio: quello del vivere. Quasi un moderno Ulisse, Mundula è profondamente immerso nel mare della vita e della Storia; si sente condannato a un’infinita ricerca di ciò che appare un introvabile dove, per poter tornare solo poi in un’Itaca tanto vicina e tanto lontana, la quale, come suggeriva già Kavafis, ha donato il bel viaggio perché senza di lei non ti mettevi in viaggio : non avresti vissuto davvero. Ma vivere davvero – dare un senso, cioè, alla propria esistenza – per Mundula significa conoscere, comprendere; conoscere è indagare; indagare, talvolta, comporta il perdersi. Sono suggestioni, queste, che il poeta sperimenta e rapporta con un maiestatis che vuole raccogliere la stessa condizione umana:
Sempre viaggiamo verso ignota terra
neppure il mare basta alla nostra sete
neppure l’onda che ci solleva
sopra la piccola baia
mentre il cielo passa sulle nostre teste
tessendo la sua celeste tela
il mistero di sempre. Basta un
niente a sorprenderci: un ramo
che s’agita sulla terra e annunzia il
cambiamento o quella scaglia d’oro
che trapela da qualche parte del cielo.
Siamo i naviganti che hanno doppiato
le Colonne d’Ercole senza trovare la
terra sempre più estranei al porto che
ci attende sempre più lontani
dalla nostra scogliera.
Mundula era un uomo profondamente religioso, o meglio, spirituale. Per lui lo stesso fare poetico doveva risolversi in un vero e proprio atto di fede, un affidarsi, quasi a riprendere – rimodulandolo – l’antico rito rapsodico dell’invocazione alla musa, perché
solo pensando che la poesia sia tutto
che la poesia sia Dio o almeno
per qualche verso una scintilla del divino
solo pensando questo
si può scrivere una poesia
come recitando una preghiera
ogni volta facendo qui
una professione di fede
conclude ne L’infinita ricerca, l’opera-testamento di questa sua esistenza votata incondizionatamente alla ricerca della sapienza interiore, nella poesia come anche nella scrittura critica .
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