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Anche le formiche nel loro piccolo si rendono ridicole

Stiamo parlando dell’Italia dell’Ottocento o di quella di oggi?

di Sergej - giovedì 29 agosto 2024 - 316 letture

Anche la “conquista” del Sud Italia da parte del Piemonte nel 1860 può essere vista come l’applicazione ennesima del meccanismo conquista/espansione/controllo che uno Stato europeo ha escogitato nel processo di espansione coloniale. In altre parole: il problema era: io sono una piccola o media potenza, e mi sto espandendo; posso farlo a spese di territori confinanti; se non ho la possibilità di espandermi verso terre confinanti, debbo espandermi su terre oltremare. L’espansione oltremare è quella più esosa dal punto di vista economico e della difesa e ci si rivolge ad essa solo se non si ha la possibilità di espandersi in terre limitrofe: perché isolate dal mare (Inghilterra) o perché con vicini di casa troppo coriacei. Il Piemonte approfitta di una congiuntura favorevole e riesce a espandersi in terre tutto sommato limitrofe. Ma qui interviene comunque il problema coloniale: come faccio a difendere il possedimento e assorbire socialmente e culturalmente i nuovi territori? Gli Stati coloniali allora avevano a disposizione dei modelli, ma differivano tali modelli per le diverse contingenze specifiche che ci si era trovati di fronte ad affrontare. Nella formazione del giovane stato degli Stati Uniti d’America, l’espansione verso ovest aveva il problema delle nazioni amerinde: problema risolto con lo sterminio e l’apartheid. Non sempre dunque i modelli erano applicabili. Ci si doveva industriare costruendone di volta in volta di nuovi. Provando e riprovando.

Lo stato piemontese intanto provvide alla spoliazione economica e delle infrastrutture. Ma una volta soddisfatti i ceti dirigenti interni, si poneva il problema della governabilità di lungo periodo. Una sfida che risultò, per il ceto politico ed economico piemontese, al di fuori delle proprie capacità. Qui potrebbe intervenire la differenza che esiste tra un semplice regno di periferia e un impero. La mancanza di una “mentalità imperiale” è la conseguenza della povertà culturale e sociale delle classi dirigenti piemontesi; e naturalmente del fatto che le potenze imperiali dominanti (Francia, Gran Bretagna, Asburgici, Ottomani) non volevano certo che in Italia si sviluppasse una “potenza” imperiale. La convergenza di fattori interni e fattori esterni determinò la nascita di uno Stato a scartamento ridotto. Gran parte del budget destinato alla difesa, gran parte della popolazione lasciata alla fame e alla tassazione esosa.

La pacificazione all’interno del nuovo Stato avvenne tramite la repressione, e l’emigrazione. Una parte ristretta dei ceti dirigenti meridionali furono cooptati nel nuovo Regno unitario, selezionati per censo (l’Italia “liberale”): gli altri furono ridotti in miseria e lasciati scomparire. Ci fu una rapido riadattamento e un turn-over all’interno di questi ceti. A livello di classi dirigenti, la composizione del puzzle tutto sommato riuscì.

Il modello applicato dai sabaudi non ebbe nulla del modello agricolo, di chi fa crescere il gregge o di chi pesca, o dei popoli raccoglitori; fu un modello rapace, simile all’attitudine stupratrice di alcuni di questi regnanti. Il territorio fu rapacizzato (e impoverito).

Gli indignati cronisti e opinionisti inglesi, che denunciavano gli eccidi dei Sabaudi nel Meridione - da cui verrà poi l’accorgersi anche, in pochi in Italia, di quanto stava accadendo, la denuncia dei deputati della “sinistra” e mazziniana poi trasmessa ai socialisti nei decenni successivi, per arrivare tramite la denuncia storica dei comunisti negli anni Cinquanta e Settanta fino alle orecchie dei neoborbonici contemporanei - i cronisti inglesi non si accorgevano che in Italia si stava ripetendo - da parte di un ceto dirigente arretrato e “indietro nel tempo”, quanto le classi dirigenti inglesi avevano fatto in Gran Bretagna prima, e poi in Irlanda. Fame, repressione e emigrazione [1]. Per i ceti subalterni, in Europa in quei decenni, il “modello” era quello.

All’interno delle accelerazioni imposte dall’industrializzazione e dall’evoluzione dei cannoni nell’Europa del tempo, il Regno delle Due Sicilie fu spazzato via. Il nuovo regno fu tenuto insieme non dalle virtù di una ristrutturazione economica tesa a competere con i livelli internazionali (di produzione e belliche) ma dall’interesse che avevano le potenze interessate al controllo del Mediterraneo di non avere tra i piedi una potenza regionale troppo ingombrante. Gran Bretagna e Francia si spartirono il controllo dell’ex Regno delle Due Sicilie, mentre patteggiavano per il controllo del nuovo canale di Suez.

L’affaire Regno delle Due Sicilia era parte di un gioco più complesso. E che non aveva nulla a che fare con l’unificazione italiana. Bloccare gli Asburgo da un ruolo nel Mediterraneo, ed eliminare la flotta del regno delle Due Sicilia fu un affare incidentale. La nuova Italia sviluppò non a caso una marina rachitica, ininfluente rispetto al gioco vero in atto. Qualcuno ha scritto che non a caso si era scelto come pedina questa del Piemonte, che non aveva attitudini marinaresche.

L’altro collo di bottiglia, quello interno: la strutturazione attorno all’istituto familiare reale, in cui uno solo alla fine decideva; con un circolo ristretto di gran funzionari che dovevano più mediare le ristrette esigenze del regnante che non governare uno Stato complesso e articolato. Da tale collo di bottiglia la modernizzazione era vista da un buco della serratura - anche perché mancavano mezzi di comunicazione “in tempo reale” (come la televisione o la radio) per cui tutto - anche i processi di imitazione da parte dei ceti dirigenti sulle “mode” provenienti da Parigi o da Londra - era più lento. Avveniva, ma costringendo chi partiva da posizioni molto più arretrate a metterci più fatica e più tempo per “adeguarsi”.

All’interno della politica delle “famiglie” imperiali europee creatasi attorno alla regina Vittoria, non a caso manca all’appello la famiglia dei Sabaudi, ritenuta troppo recente e marginale per poter essere degna dell’imparentamento che per qualche decennio sembrò dominare e costituire e dare un equilibrio in Europa prima dello scoppio della guerra nel 1914. Un regno da operetta, la cui unica chance era quella di cercare di arrabattarsi tra le potenze europee, alleandosi ora con gli uni ora con gli altri. Sapendo di essere un vaso di coccio tra vasi di metallo. Stiamo parlando dell’Italia dell’Ottocento o di quella di oggi?

[1] Vedi: Wikipedia.


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