Amour
Regia Michael Haneke. (Austria-Francia-Germania, 127 min., drammatico, 2012). Con Jean-Louis Trintignant, Emmanuelle Riva, Isabelle Huppert
Seconda Palma d’Oro a Cannes, nel giro di tre anni, per l’austriaco Haneke. Se nel 2010, con “Il Nastro Bianco”, le malelingue avevano insinuato che la vittoria era stata “pilotata” dal presidente di giuria Isabelle Huppert, attrice feticcio di Haneke - presente anche in “Amour”-, nessun dubbio stavolta circa la meritatissima vittoria di un molto più che drammatico film che racconta l’amore tra due persone anziane. Amore estremo, che si completa nell’uccisione da parte del marito (Jean-Louis Trintignant) di sua moglie (Emmanuelle Riva) a cui viene così risparmiata l’agonia e l’umiliazione di una malattia senza ritorno. Ancor più se si pensa che presidente di giuria, nella scorso mese di Maggio, era l’esigente Nanni Moretti, in passato poco tenero con Haneke, come quando, componente della giuria nel 1997, stroncò “Funny Games”, film in concorso sulla croisette, preferendo battersi in quell’occasione pro Kiarostami.
“Amour” è un film tenero, pur tuttavia doloroso, che ha il coraggio di affrontare la vecchiaia nelle sue più diverse sfaccettature: i ricordi, la complicità, le abitudini ma anche la possibile malattia senza via di scampo, lenta e agonizzante. Un viaggio nell’attesa, anzi nella necessità della morte. Lo spettatore apprende subito il finale del film, con i vigili del fuoco che sfondano la porta e districandosi all’interno di un appartamento parigino maleodorante rinvengono il corpo dell’anziana donna circondata da una moltitudine di fiorellini.
Il resto del film prima ci fa conoscere i due anziani coniugi, entrambi pianisti in pensione, dapprima con la loro complicità e poi con l’incedere della malattia di lei che inizialmente si presenta con episodici perdite di conoscenze, poi con l’intero lato destro paralizzato, l’uso di una sedia a rotelle e via via con tutte le difficoltà conseguenti fino alla costrizione a letto. Il film si svolge per lo più nell’appartamento ove i due anziani ricevono sporadiche visite (la figlia, le infermiere, un ex allievo e un piccione che di tanto in tanto si insinua nell’appartamento, volatile che simbolizza la morte incipiente, che non incute timore e non ne vuole sapere di andare via…); d’altronde è lo stesso Trintignant che non tollera intrusioni nella “loro” vita e nel “loro” amore, perfino la figlia e il genero sono elementi in un certo senso disturbatori, ai quali si vuole anche risparmiare la visione di una donna molto sofferente.
In conclusione il dolore fisico e la malattia sono considerati intoppi, che possono essere sconfitti solo morendo insieme e lo spettatore è “condannato” a soffrire insieme ai due protagonisti, perché solo in questo modo si può condividere il loro destino.
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