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Amori interrotti causa virus

"Dovevano vedersi proprio l’indomani. Quando il Governo decise che tutti dovevano rimanere a casa".

di Victor Kusak - giovedì 19 marzo 2020 - 1573 letture

Dovevano vedersi proprio l’indomani. Quando il Governo decise che tutti dovevano rimanere a casa. Lui si avvicinò alla porta. Pensava: il mio amore è più grande di qualsiasi impedimento. Mise la mano sulla maniglia. Un’altra voce gli suggerì: Però, se per questo tuo gesto finisce che fai del male anche a lei…? Si fermò. Io posso anche morire, pensò, ma non è giusto che lei muoia. Ma se lei non mi amasse più, se io non vado da lei? Se lei pensasse: se lui non affronta il pericolo vuol dire che non mi ama veramente. Se sto pensando tutto questo è forse segno che io non la amo davvero? Ma proprio oggi il Governo doveva emettere il provvedimento di interdizione? Sarà un segno, forse davvero noi non dovremmo vederci? Come fa un amore a sopravvivere ai tempi del contagio? Possono bastare telefono, messaggi, videochiamate? Due amanti non hanno bisogno anche di toccarsi, sfogarsi, coccolarsi e godersi? Cosa accade, senza? E se ci fosse una guerra, e io dovessi partire - non sarebbe la stessa cosa? Io lontano e in pericolo costante di vita, e lei a casa - o viceversa. In caso di apocalisse zombie, io so che uscirei per andarla a salvare armato di mazza e pistola rompiteste. In caso di invasione delle locuste lo stesso andrei da lei, con scafandro e grandi scarponi antiscivolo. Ma come comportarsi in caso di pandemia? Se fosse lei a venire rompendo l’isolamento, l’abbraccerei con trasporto senza mostrare alcuna esitazione? Avrei davvero un tale amore da non pensare al pericolo? E la bacerei? Mischiando la mia saliva alla sua, il mio sudore al suo - le bacerei i capelli, respirerei dietro le sue orecchie o sul suo collo, nel suo seno, la leccherei? Prima di entrare a casa avrebbe l’accortezza di spogliarsi. Entrerebbe nuda a casa, offrendosi a me - desiderosa e con i piedi pieni di polvere e virus. Avrei la forza di abbracciarla? Vivere un ultimo giorno d’amore con lei. Questo non vale forse un’intera vita? Ci hanno insegnato questo. Nessuno ce l’ha mai detto, ma di questo scrivono i libri, raccontano i film, narrano le favole. E anche se l’evidenza d’ogni giorno, la vita reale, il lavoro, la nostra esistenza di adulti ci dice ovunque il contrario, rimaniamo affezionati a quell’antica favola. Vado, scendo le scale, vado in strada. La polizia mi ferma. Io dico che dovevo necessariamente andare in farmacia a causa della nonna malata. Loro non mi credono. Non sono bravo a mentire, mi sgamano subito. Mi vergogno a dire che uscivo per andare da lei. Mi arrestano, mi mettono dentro il cellulare blindato. Per un qualche motivo - un gesto incauto, una disattenzione da parte mia - interpretano male un gesto o una mia parola: mi picchiano a sangue con i manganelli. Sono trascinato dentro e portato in una prigione. Accanto a me decine di altri prigionieri, centinaia. Uno stadio pieno di sventurati. Quando parte la repressione non si sa mai dove può arrivare. Ecco iniziano gli interrogatori, pochi tornano - una maschera di sangue in volto e senza più potersi reggere in piedi - la gran parte non torna più. Nello stadio la notte si muore dal freddo, non ci sono coperte né ripari. Di giorno cuociamo sotto il sole, si fanno i bisogni ovunque. Alcuni - i più fortunati - crollano sul prato e vengono portati via da dei portantini avvolti dal plastiche isolanti. Così per giorni, io ho ormai lo sguardo allucinato, muoio dalla sete. A un certo punto mi sembra di vederla lì, sugli spalti, che si aggira con un gruppo di donne - provata ma luminosa come sempre, inconfondibile. Cerco di farmi vedere, agito la mano, ma sono ormai troppo debole. È l’ultima cosa che vedo nella mia vita. Sono ancora nell’ingresso di casa. Potrei uscire, scendere le scale per evitare di incontrare qualcuno in attesa davanti all’ascensore. Rasente i muri, sarei fuori. Debbo calcolare tutte le mosse, tutti i passi, i singoli gesti. Ho la macchina parcheggiata… dove ho messo la macchina? le chiavi, le chiavi sono qui davanti a me, li ripongo dentro la tasca del giaccone. Ma la macchina, dove l’ho lasciata ieri la macchina? Da queste parti trovare un parcheggio in strada è sempre complicato e io non ho un garage mio né un posto macchina in affitto. Di solito trovo parcheggio sul viale, sotto un albero vicino al cassonetto della spazzatura. Ci sono ancora i cassonetti della spazzatura oppure a causa dell’emergenza li hanno rimossi? O semplicemente li hanno lasciati e la gente ha ricoperto di spazzatura fino all’inverosimile lasciando le buste ammondicchiate dappertutto - gli spazzini con l’emergenza non passano. La mia macchina parcheggiata proprio vicina è finita sotto un cumulo di spazzatura. Gente maleducata e disperata, indifferente all’altrui proprietà. E se fuori ci sono già i disordini in strada, e sotto c’è la guerriglia? Come faccio ad arrivare da lei? Tra barricate in fiamme e cariche della polizia, sirene, idranti. La gente impazzita ha assaltato i supermercati. Si uccide per niente. Una vecchia signora giace in un angolo vicino al platano, con la testa fracassata e un carrello della spesa abbattuto, un paio di scatole di pomodoro ancora che rotolano sul marciapiedi. Ma cosa sta succedendo? Perché il mondo doveva impazzire proprio oggi? Se non vado, le dovrei telefonare. Quale scusa le invento? Sicuramente perché mi è accaduto qualcosa di grave e invalidante. Sono stato picchiato e mi hanno rotto entrambe le gambe. Lei si preoccuperebbe. Mi chiederebbe in quale ospedale sono. Dovrei inventarmi il nome di un ospedale. Lei in qualche modo riuscirebbe ad arrivare all’ospedale, e non mi troverebbe. Nel tragitto viene violentata da un paramedico impazzito. Perché lei riuscirebbe ad arrivare nell’ospedale, e io invece non riesco ancora neppure a uscire fuori di casa? Cosa mi trattiene? Lei è bellissima, la persona più bella che ho mai visto. Sono profondamente innamorato di lei. Mi piace tutto di lei, come cammina, come scuote la testa, come sorride. L’altra volta in un suo messaggio su Uozap ha scritto “si” senza accento invece di dire sì. Non è forse un segno di amore questo, il mio? Non le ho detto nulla, anzi l’ho trovato persino carino. Con qualcun altro - amico o conoscente - avrei cominciato a sbuffare. Sono in grammar nazi. Lo so, non sono una bella persona. Ma lei è bellissima. E io non sono degno di lei. Come è potuto accadere che lei abbia accettato di vedermi. Io, l’essere più indegno della terra e lei, una stella? Quando sto con lei mi dimentico persino di ruttare o di scoreggiare, lei mi rende migliore, rende il mio passo più lieve. Mi piacerebbe, tornando a casa, sapere di trovarla lì, che mi aspetta - o anche se non mi aspetta, mi piacerebbe saperla lì che fa qualcosa - chessò legge un libro o strappa le ali a una mosca. Lo so è un pensiero indegno del più bieco maschilismo: il solito sessismo, il maschio che lavora e la donna reclusa a casa e cose di questo genere. Meno male che i tempi sono cambiati, non siamo più nel medioevo e le donne sono belle e indipendenti, hanno una vita autonoma e fanno quel che pare loro. Non avrebbero neppure bisogno del maschio in realtà, potrebbero fare figli tramite i prodigi della genetica. Ovviamente solo figlie femmine. Un mondo popolato di sole femmine. Loro sono migliori, sono più educate, più resistenti persino di noi, hanno più raziocinio, mostrano di aver sempre ragione o comunque dicono di aver sempre avuto ragione. Noi siamo esseri tutto sommato sgradevoli, puzzolenti, rozzi e ignoranti. Siamo dei portatori di cazzi. Se non avessimo quello, saremmo del tutto inutili. Loro conoscono tutte le regole, e parlano parlano. Ma quanto parlano. Lei non la smette mai di parlare. È tanto bella ma certo, ogni volta che cerco di dire qualcosa, di introdurre una frase o dire una parola, lei fa sì con la testa e continua con il suo discorso - non credo ci senta bene, o forse non considera interessante quello che dico. Lei invece ha sempre tante cose interessanti da dire, fa tante considerazioni, ha una capacità incredibile di articolare il ragionamento - dice e contraddice, fa la domanda e si dà la risposta, analizza, taglia il pelo in quattro e poi ulteriormente in quattro e ancora di più. E ha una memoria incredibile. Ricorda tutti i particolari. Vede tutte le sfumature, giudica su tutto, niente sfugge alla sua capacità d’indagine. Ora ci mancava questo provvedimento governativo. Uno va a pensare a cosa ci potrebbe essere dietro, gli interessi, le cose che vogliono nascondere e che non ci vogliono far sapere ma un maschietto per quanto scafato e malevolo non riesce mai ad arrivare alle capacità dietrologiche di una ragazza. Il mondo delle donne è un mondo di rappresentazione e di parole che significano il contrario di quel che vogliono dire e comunque mai rivolte all’interlocutore verso cui si rivolgono. Solo una partita di burraco può essere altrettanto violenta. Lui pensò che non aveva mai giocato a burraco in vita sua. I suoi occhi si soffermarono per un momento sull’attaccapanni, e sul vaso che d’inverno usava per tenere gli ombrelli. Spostò il peso del corpo da un piede all’altro. Sospirò. Vado, pensò, compio il mio atto eroico. Busso al portone della sua casa. Non la trovo. Magari ha cambiato idea. Oppure ha deciso di lasciare la città. Mi lascia un ultimo messaggio su Uozap: “mi spiace ciò ripensato”. Non si può ridere così della persona che si ama. Niente messaggio su Uozap. È stata infettata dal virus. L’hanno prelevata con l’autoambulanza e intubata, giace in fin di vita in una camera iperbarica dell’ospedale. Hanno appena deciso di staccare la respirazione. Non c’è più niente da fare. Lui arriva trafelato, supera gli sbarramenti di protezione, si getta sul corpo di lei rischiando di ammazzarla anzitempo staccando i fili - lui grida il suo nome, lei ha un attimo di coscienza, sbatte le palpebre. Lo guarda. Gli sussurra: Addio, amore, fai la tua vita, trova un’altra te lo concedo sii felice senza di me, e stira il collo di lato. Ma a quel punto anche lui è contaminato e viene immediatamente intubato e così assiste nel letto accanto alle ultime attività attorno al corpo inanimato di lei: l’infermiera che spegne le apparecchiature, avvolge i tubi, tira un telo di plastica trasparente sul corpo di lei, spegne le luci: la stanza rimane così, con la parte di lei al buio e la parte in cui sta lui ancora debolmente illuminata mentre il segnale elettrico del suo cuore si fa sempre più fioco. Ping, ping, piiiiing, piiii… Nessun funerale, i due corpi bruciati assieme e le ceneri sparse assieme nel vento. Dovrebbe controllare sul telefonino se per caso c’è qualche messaggio di lei. Magari ci ha ripensato. Magari le è successo qualcosa. Scusa dimenticavo avevo un appuntamento dalla parrucchiera mi debbo lavare i capelli facciamo un altro giorno o un altro anno. “Amore mio fai presto non resisto” ti aspetto già nuda a letto. Che canzone era? Non era una cantante che l’aveva mai molto entusiasmato. Altre generazioni. Lei che canzoni preferiva? Lui in quelle settimane di corteggiamento le aveva mandato varie canzoni tramite spotify da ascoltare. Per sondare i suoi gusti. Non aveva mai ricevuto una reazione, un fìdbek come si dice. Aveva provato i diversi filoni: sentimentale, melenso, tradizionale, cantautori, rap e trapper, persino l’inno tedesco. Niente. Dal punto di vista musicale era rimasta per lui un mistero. La musica in un rapporto è una cosa importante. Avere gusti convergenti, ma non uguali. Perché poi si possa fare gli scambi, le scoperte: conoscere nuovi filoni o nuove musiche, il rapporto deve essere una cosa arricchente per entrambi, una crescita non una imposizione di gusti o di scelte ideologiche. Non ci si può mettere con una che ha gusti musicali deteriori o banali. I gusti degli altri sono sempre deteriori o banali. Lei non si era mai esposta. Sapeva di non volersi avventurare in un territorio pericoloso, uno spazio minato? O semplicemente la musica era per lei indifferente. Era anche questo che l’aveva fatto innamorare di lei? Sapere di lei così poco. Le tante cose che avrebbe voluto scoprire di lei, e che pian piano avrebbe scoperto - perché questo è il processo dell’innamoramento, che poi quando si finisce di sapere tutto di quella persona, si finisce anche di essere innamorati - finisce tutto, perché non si ha più nulla da scoprire. È questo quello che fa fallire i rapporti, i matrimoni? Questo desiderio di scoperta che ci divora, e che quando viene soddisfatto ci fa abbandonare le persone così come si fa quando si compra un oggetto che si era tanto desiderato e che una volta acquistato non interessa più? E se ora, guardando sul telefonino scopre che non c’è nessun messaggio da parte sua? Non sarebbe anche peggio? Lei si è già stufata di lui. Non glielo vuole dire, ma il fatto stesso che non gli ha lasciato alcun messaggio è indicativo. Tutti noi vogliamo solo una cosa, essere amati. Se non siamo amati che senso ha tutto quanto? Quando siamo amati non ci facciamo più caso, il rapporto diventa indifferente o addirittura oppressivo. Dobbiamo fuggire. Dobbiamo trovare altro. Ma lei perché non mi vuole? perché non mi ama? Sono così orribile? Non troverò mai nessuna che mi voglia. Ok proviamo con la prima che incontriamo - anche qui c’è una canzone. Lei è la prima che ho incontrato o è quella vera, quella giusta, quella unica e definitiva che riempie tutta una vita e dà senso all’esistere? È lei, l’ho già incontrata o la debbo ancora incontrare? Dove stanno scritte queste cose, dove vengono segnate queste linee che si incontrano? Esiste un libro degli innamorati? E un libro degli amanti perduti, degli amanti persi, dei mai incontrati? L’unica cosa da fare: non guardare il telefonino, resistere, non lasciarsi tentare. Prendere il telefonino e immergerlo in una bacinella colma d’acqua nel lavandino della cucina. Il telefonino è lo strumento diabolico che fa cedere alle tentazioni: fa mandare un messaggio di auguri il giorno del compleanno di un antico amore, o un commento stizzoso quando lei dice di essere andata con le amiche a divertirsi e invece è ubriaca tra le braccia dell’amante. L’amore che ti riempie di energie ti rende più fragile di un foglio di carta. Basta un soffio di vento e cambia tutto.

Lui si sedette sul divano, accese la playstation e ricominciò il gioco alla consolle che aveva interrotto poco prima.


"L’essere umano è preda di tre malattie croniche e incurabili: il bisogno di nutrimento, il bisogno di dormire e il bisogno di rispetto" (Henry de Montherlant)



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