Altro che Disneyland
Gli accordi del nostro paese con la Libia significano denaro, è vero. Ma soldi per chi, e a chi vanno? Ecco un elenco dei principali interessi dei gruppi italiani nell’ex colonia. (Un articolo di Alessandro D’Amato da Giornalettismo.com)
Il trattato di amicizia e cooperazione dell’agosto del 2008 prevede che buona parte dei 5 miliardi di dollari, che l’Italia pagherà come risarcimento del passato coloniale, sarà ‘girata’ alla costruzione dell’ autostrada costiera libica. A realizzare l’opera – l’appalto sarà assegnato entro il 30 ottobre – saranno tutte imprese italiane: i lavori verranno divisi in tre lotti, affidati a tre consorzi per consentire a molte aziende italiane di lavorare, ha spiegato il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli.
Le imprese interessate alla realizzazione dell’autostrada in Libia, previsto dall’intesa siglata lo scorso anno tra Berlusconi e Gheddafi, sono tutte italiane. “Abbiamo avuto 20 richieste“, ha rivelato il ministro dei Trasporti, Altero Matteoli. La superstrada Rass Ajdir-Imsaad (due corsie più una di emergenza in ogni direzione) sarà lunga 1.700 chilometri. Astaldi è capogruppo di una cordata con Bonatti, Ghella, Grandi Lavori e Toto. Impregilo partecipa come capofila di un consorzio. I progetti infrastrutturali dovranno essere concordati fra le parti nei limiti di una spesa annua di 250 milioni di dollari per venti anni. L’avvio delle procedure di aggiudicazione è previsto entro il 30 ottobre 2010, ma in questi giorni di visita a Roma Gheddafi potrebbe anche annunciare i vincitori.
L’Eni, invece, vede la Libia come il paradiso terrestre. In base ad un accordo firmato nel 2007 con la principale compagnia petrolifera libica, la National Oil Corporation, potrà produrre petrolio in Libia fino al 2042: attualmente estrae 800mila barili di petrolio al giorno dalla terra del paese africano. Tuttavia, l’ad Scaroni non sembra intenzionato a fermarsi qui: ha infatti annunciato investimenti per 25 miliardi di dollari. E, pochi giorni fa, lo stesso Scaroni aveva avanzato l’ipotesi di un incontro con il leader libico durante la sua permanenza a Roma. Anche perché c’è qualcos’altro che balla: in Eni si starebbe discutendo su un investimento libico nell’azionariato di addirittura il 15%. Nelle scorse settimane la Lybian Investment Authority (un fondo sovrano governativo con dotazione di 50 miliardi di euro da investire) è salita dal 2 al 7,05% in Unicredit. Il legame con Piazza Cordusio dura da 13 anni, ovvero da quando la Libia entrò in Capitalia.
E poi: tutti i grandi gruppi italiani guardano con simpatia al leader libico, dimenticando i suoi trascorsi da finanziatore del terrorismo di fronte a congrui appalti che la Libia fornisce per infrastrutture e altri lavori che le servono per sostenere lo sviluppo di un’economia ancora troppo africana. Per questo, l’italiana Sirti, che si occupa di infrastrutture per le telecomunicazioni, sta piazzando nel paese 7mila chilometri di cavi in fibra ottica: un appalto da 68 milioni di euro. Nello stesso settore è attiva la concorrente Prysmian, quel che resta del settore cavi di Pirelli, che ha un contratto da 35 milioni di euro con la Libya General Post and Telecommunications Company. La Agusta-Westland, del gruppo Finmeccanica, fornisce elicotteri e formazione per imparare a guidarli. E anche il culto della personalità del leader può diventare fonte di business: il gruppo di costruzioni Co.Ge.L era stato coinvolto nel progetto per la realizzazione di un museo dedicato a Gheddafi, a Tripoli. Un affare sospeso, però, visto che il gruppo è finito in liquidazione.
Infine, ci sarebbe anche un credito, vantato dall’Italia nei confronti della Libia. Il trattato di amicizia firmato un anno fa prevedeva accordi negoziali relativi ai crediti che le aziende italiane vantano nei confronti del governo libico e che hanno un valore intorno a 650 milioni. All’epoca il governo doveva ottenere il sì dalle aziende, per andare a trattare (ovviamente al ribasso) con Gheddafi. La trattativa ancora non è conclusa, anche se sembra a buon punto.
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