Alexis de Tocqueville
Appunti da Alexis de Tocqueville, Ricordi, Editori Riuniti, 1991, Prefazione di Fernand Braudel, a cura di Corrado Vivanti. I ricordi sono relativi alle vicende politiche francesi del XIX secolo
di
Pina La Villa
- venerdì 1 dicembre 2006
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Alexis de Tocqueville, Ricordi, Editori Riuniti, 1991, Prefazione di Fernand Braudel, a cura di Corrado Vivanti.
Il piacere dell’intelligenza mescolato a quello della storia. Notevoli i ritratti dei vari personaggi, personaggi storici, protagonisti della monarchia di luglio e dell’opposizione poi della repubblica (tra cui lo stesso Tocqueville). Sarebbero da copiare tutti i ritratti, per la capacità di cogliere la complessità, la stratificazione, la compresenza di pregi e difetti in ognuno di essi. Interessanti anche alcune osservazioni sui meccanismi della politica, dei governi e delle rivoluzioni.
Ecco alcuni brani in cui Tocqueville cerca di spiegare a se stesso le ragioni della sua scelta di candidarsi alle elezioni, osservazioni che ritraggono la piccola politica, o meglio i piccoli politici della monarchia di luglio, ma anche quelli di oggi. "mi ero sempre sentito compresso e oppresso in seno a quel mondo parlamentare, che era stato distrutto; vi avevo provato ogni genere di delusioni, sia per quel che concerneva gli altri, sia per quel che concerneva me stesso; e per cominciare da me, non avevo tardato a scoprire che non possedevo ciò che era necessario per sostenere la parte brillante che avevo vagheggiato; mi erano di ostacolo le mie qualità non meno dei miei difetti. Non ero abbastanza virtuoso da imporre rispetto, ed ero troppo onesto per piegarmi a tutte le piccole pratiche che erano allora necessarie per un rapido successo. E si noti che quell’onestà era senza rimedio, perché è tanto conforme al mio temperamento e ai miei principi che, senza di essa, non riesco mai a fare buon uso di me. Quando per caso mi è capitato di essere obbligato a parlare per una causa cattiva o di procedere per una cattiva strada, mi sono trovato subito sprovvisto di ogni talento e di ogni ardore, e confesso che niente mi ha maggiormente consolato dello scarso successo avuto dalla mia onestà, quanto la certezza, che ho sempre avuto, che non sarei mai riuscito a essere altro che un briccone assai maldestro e assai mediocre.
A torto avevo creduto di poter ritrovare alla tribuna il successo incontrato con il mio libro. Il mestiere di scrittore e quello di oratore si recano danno l’un l’altro, più di quanto si aiutino. Niente assomiglia meno a un buon discorso che un buon capitolo. Me ne accorsi subito, e mi resi conto di essere collocato fra i parlatori corretti, ingegnosi, profondi talvolta, ma sempre freddi e per conseguenza impotenti. Mai sono riuscito a modificare a fondo me stesso su questo punto. Non sono certo le passioni che mi fanno difetto, ma alla tribuna la passione di parlare bene ha sempre estinto momentaneamente in me tutte le altre. Ho anche finito con lo scoprire che mancavo assolutamente dell’arte necessaria per riunire insieme e dirigere molti uomini. Ho potuto avere qualche abilità soltanto nella conversazione, e mi sono sempre trovato a disagio e muto in mezzo alla folla. Non che in un dato giorno non sia capace di dire e di fare ciò che a essa piace, ma questo è ben lungi dal bastare: queste grandi operazioni sono ben rare nella lotta politica. Il nocciolo del mestiere, per un capo di partito, consiste nel mescolarsi di continuo ai suoi seguaci e persino ai suoi avversari; nel mostrarsi, nel frequentare assiduamente tutti ogni giorno; nell’abbassarsi, nel rialzarsi ad ogni istante, per adeguarsi al livello di tutte le intelligenze; nel discutere, nell’argomentare senza tregua, nel ripetere mille volte le stesse cose in modo diverso e nell’animarsi eternamente davanti ai medesimi oggetti. Di tutto questo, sono profondamente incapace: la discussione, sui punti che mi interessano poco, mi riesce molesta, e su quelli che mi interessano profondamente, dolorosa; la verità è per me cosa tanto preziosa e rara, che non mi piace esporla al caso di un dibattito una volta che l’abbia trovata: è un lume che temo di spegnere, se lo agito; e quanto a praticare gli uomini, non saprei farlo in modo abituale e generale, perché ne conosco sempre solo un piccolo numero: Ogni volta che una persona non mi colpisce per qualcosa di raro del suo animo o dei suoi sentimenti, non la rivedo più, per così dire.[…]Ciò che aveva finito col ripugnarmi era stata la mediocrità e la monotonia degli avvenimenti parlamentari del mio tempo, come pure la meschinità delle passioni e la volgare malvagità degli uomini che credevano di farli o di dirigerli.[…] Quasi mai mi è avvenuto di notare in qualcuno di loro quel gusto disinteressato per il bene degli uomini, che invece mi sembra di scoprire in me stesso, nonostante i miei difetti e le mie debolezze. Avevo quindi trovato non meno difficoltà ad aggregarmi che a bastare a me stesso, a ubbidire che a guidare, e avevo finito col vivere quasi sempre in triste isolamento, nel quale mi si scorgeva solo da lontano e mi si giudicava male[…] Ero creduto scaltro e tenebroso, perché ero silenzioso; mi veniva attribuita una natura austera, un umore astioso e amaro, che non ho affatto, perché passo spesso fra il bene e il male con una molle indulgenza, prossima alla debolezza, e abbandono tanto rapidamente la memoria dei torti di cui ho da lamentarmi, che un simile oblio del male ricevuto assomiglia piuttosto a mancanza d’animo, incapace di ricordare le ingiurie, che a uno sforzo virtuoso per cancellarlo.
Questo crudele malinteso non solo mi faceva soffrire, ma mi abbassava assai al di sotto del mio livello naturale. Non c’è uomo per il quale sia più salutare l’approvazione del prossimo, né che più di me abbia bisogno di aiutarsi con la stima e la fiducia pubbliche per potersi innalzare fino alle azioni di cui è capace. Questa estrema sfiducia nelle mie forse, questo bisogno, che sento continuamente, di ritrovare in qualche modo le prove di me stesso nel pensiero altrui, nascono da vera modestia? Credo piuttosto che provengano da un grande orgoglio che si agita e s’inquieta come l’animo stesso. […] Mi sembra che l’incertezza nasca in me dall’intelligenza, piuttosto che dalla debolezza del mio animo, e ch’io non abbia mai esitazioni o difficoltà a scegliere la via più scabrosa, quando vedo chiaramente dove mi porta. Ma in mezzo a quei piccoli partiti dinastici, così poco diversi tra loro per il fine che si proponevano e così simili per i cattivi mezzi che adoperavano, quale sentiero conduceva visibilmente verso l’onesto, o anche solo verso l’utile? […] La maggior parte degli uomini di partito non si lasciano esasperare o snervare da simili dubbi; molti di loro anzi non li hanno mai conosciuti o non li conoscono più. Spesso sono accusati di agire senza convinzione: l’esperienza mi ha mostrato che ciò accadeva assai meno frequentemente di quanto si immagini. Solo che essi posseggono la facoltà preziosa e persino necessaria talvolta in politica, di crearsi delle convinzioni passeggere a seconda delle loro passioni e dei loro interessi momentanei, e arrivano così a fare abbastanza onestamente cose assai poco oneste. A me, sfortunatamente, non è mai riuscito di arrivare a rischiarare la mia intelligenza con queste luci particolari e artificiali, né a persuadermi così facilmente che il mio personale tornaconto sia conforme al bene generale.
Proprio quel mondo parlamentare, nel quale avevo sofferto tutte le miserie che ho descritto, erra stato distrutto dalla rivoluzione, che aveva mescolato e confuso i vecchi partiti in una comune rovina, aveva deposto i loro capi e annientato le loro tradizioni e la loro disciplina. E’ vero che ne era uscita una società caotica e confusa, ma l’abilità vi diventava meno necessaria e meno apprezzata del disinteresse e del coraggio, il carattere era più importante dell’arte di ben dire o di maneggiare gli uomini, e soprattutto non restava più campo libero all’incertezza d’animo. Non era più possibile ingannarsi sulla via da seguire: vi si procedeva in piena luce, sostenuti e incoraggiati dalla folla. La strada appariva pericolosa, è vero, ma il mio animo è fatto in maniera che paventa assai meno il pericolo, del dubbio. Sentivo d’altra parte di essere ancora nel pieno vigore delle mie forze; non avevo figli, non avevo molti bisogni, e soprattutto trovavo in casa mia l’appoggio, così raro e così prezioso in tempo di rivoluzioni, di una moglie devota, il cui animo fermo e penetrante e uno spirito naturalmente elevato mantenevano senza fatica all’altezza di tutte le situazioni e al di sopra di tutti i rovesci di fortuna." (p. 89).
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