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Agatha Christie: l’arte e la storia

Agatha Christie, "Il ritratto di Elsa Greer", i Classici del giallo Mondadori, 2002

di Pina La Villa - lunedì 14 febbraio 2005 - 5198 letture

Agatha Christie, "Il ritratto di Elsa Greer", i Classici del giallo Mondadori, 2002

Il delitto è avvenuto sedici anni prima, ma la figlia della coppia che fu al centro della vicenda (la vittima un pittore, il marito; il colpevole, o riconosciuto e condannato come tale, la moglie) vuole riaprire il caso e si rivolge a Poirot.

Poirot rivede le carte (su queste Agatha Christie non ci dice quasi nulla) ma soprattutto raccoglie la testimonianza e le storie dei cinque testimoni - probabili, alternativi colpevoli.

Una sfida per Poirot, ma, volendo possiamo considerarla anche la sfida quotidiana dello storico: chiedere al passato, al già detto, al già giudicato di dirci ancora qualcosa, di farci scoprire la verità.

E Poirot accetta la sfida: "-Avete la testa dura (dice il sovrintendente Hale). Nessuna delle loro storie si accorderà con le altre. Non vi rendete conto di questo fatto elementare? Mai due persone sono d’accordo nel ricordare la stessa cosa, e per di più dopo tanti anni! Sentirete cinque versioni di cinque distinti delitti.
- Conto proprio su questo - disse Poirot. - Sarà molto istruttivo!"

E infatti il giallo di Agatha Christie è molto istruttivo, o almeno molto stimolante su temi come la memoria, la storia, lo sguardo, ma anche l’arte, la verità.

Poirot scava nella psicologia dei principali personaggi proprio all’incrocio delle diverse percezioni, soprattutto per quanto riguarda la vittima e il presunto colpevole (entrambi morti). Scopre i legami che i testimoni tacciono, le reticenze, (addirittura in un caso le loro letture all’epoca), quello che "potevano" e quello che non "potevano" fare, sulla base appunto del loro carattere, della loro storia. La memoria è selettiva, accumula e distrugge, fa riemergere o inabissare fatti, immagini, incontri, percezioni. E poi, fondamentale c’è il ricordo sbagliato, che è poi la percezione sbagliata, offuscata dal pregiudizio, qualsiasi tipo di pregiudizio.

La governante, convinta di aver taciuto - perché comunque inutile e per lealtà e stima verso la presunta colpevole -la prova ultima della colpevolezza di Carolina Crale, in realtà ha visto quanto serve a Poirot per scagionarla.

Poirot non ha le prove, dopo tanto tempo, ma la vera colpevole è stata scoperta.

In un colpo solo Agatha Christie demolisce non solo Sherlock Holmes (in un passo Poirot si compiace della differenza: "Io non ho bisogno di chinarmi per prendere impronte, per raccogliere mozziconi di sigaretta e per esaminare l’erba calpestata. A me basta sdraiarmi in una poltrona e pensare") ma anche il valore tradizionalmente dato alla documentazione storica.

Altre "fonti" che Poirot utilizza sono i quadri della vittima, pittore bravo e famoso.

E anche qui Agatha riflette in termini "filosofici", in questo caso sul senso dell’arte: "L’arte - disse il sovrintendente in tono sprezzante. - Tutte queste chiacchiere intorno all’arte, non le ho mai capite e mai le capirò! Avreste dovuto vedere il quadro che Crale stava dipingendo. Tutto sbilenco! Dipinse la ragazza come se avesse il mal di denti, e gli spalti erano tutti storti. Una porcheria! Non sono riuscito a levarmelo dalla mente per un bel po’ di tempo, dopo che l’ho visto: l’ho anche sognato! E ha talmente influenzato la mia vista, che ho cominciato a vedere gli spalti, i muri e tutto il resto storto, sissignore! E perfino le donne!" "Sebbene non se ne renda conto - disse ridendo Poirot - sta tributando omaggio alla grandezza dell’arte di Crale". E, qualche pagina dopo, alla vista di uno dei quadri del pittore ucciso: "Poirot osservò in silenzio. Lo colpì il fatto che un uomo avesse potuto infondere in un soggetto convenzionale la sua straordinaria personalità. Era un vaso di rose su un tavolo di mogano: soggetto vecchio e sfruttato. Ma Amyas Crale aveva reso quelle rose ardenti e piene di vitalità sfacciata, quasi oscena, perfino il tavolo vibrava di vita latente. Come spiegare il senso di eccitazione che produceva quel dipinto? Il sovrintendente Hale avrebbe detto che non conosceva rosa di quella tinta. E, più tardi, si sarebbe vagamente stupito, chiedendosi perché le rose che vedeva non lo soddisfacevano più e i tavoli rotondi di mogano l’avrebbero, dopo di allora, turbato per un motivo sconosciuto".

Su Sherlock Holmes e il suo metodo una lettura filosofica è in "Il segno dei tre. Holmes, Dupin, Peirce", a cura di Umberto Eco e Thomas A. Sebeok, Tascabili Bompiani,2004.

Sul paradigma indiziario nella storia si veda, oltre all’opera di Carlo Ginzburg, l’ultimo libro di Silvio Lanaro, "Raccontare la storia. Generi, narrazioni, discorsi", biblioteca Marsilio, 2004


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