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Addio a Piero Citati, critico letterario e biografo

di Redazione - giovedì 28 luglio 2022 - 3967 letture

È morto lo scrittore Pietro Citati, importante critico letterario del Corriere della Sera e di Repubblica in momenti diversi. Aveva 92 anni.

Nei suoi libri si era dedicato a mitologie, dottrine religiose, filosofie e biografie di scrittori. Con una delle sue biografie romanzate, Tolstoj, vinse il Premio Strega nel 1984. Altre le dedicò a Goethe, Katherine Mansfield, Alessandro Manzoni, Kafka, Marcel Proust, Zelda e Francis Scott Fitzgerald, Giacomo Leopardi. Il suo ultimo libro, Il silenzio e l’abisso, è stato pubblicato nel 2018 da Mondadori.

Fonte: Il Post


«Nella mia vita, ho conosciuto molti Umberto Bossi. Non è difficile. Basta allontanarsi dalle grandi strade della Padania, risalire le incantevoli valli intorno a Bergamo, disseminate di angeli di Lotto rosa e celesti, o le valli minori della Valtellina, o in Piemonte la valle di Stura fino a Pian della Mussa, o spostarsi in Veneto verso Pieve di Soligo, dove vive un grande poeta. Troverete ancor oggi delle piccole osterie-trattorie. Vi si mangia benissimo: polenta coi funghi, polenta col capriolo, polenta col più raro stambecco, come se la polenta fosse il cibo dei cibi e il rimedio di tutti i mali.

In un angolo della trattoria, c’è (o c’era) un tavolo coperto di macchie di vino, quasi viola. Vi siede un uomo sui quarant’anni. Ha la barba lunga, gli occhi allucinati dall’insonnia, e beve senza arrestarsi mai. Parla, parla, parla. Incomincia con le sue (improbabili) avventure erotiche, nelle quali ha dimostrato una valentia sovrumana: come Ercole o Ulisse. Poi diventa più interessante. Nella sua vita di vagabondo, deve aver letto qualche libro, e sfogliato un’enciclopedia. Costruisce cosmogonie, partendo dal basso. Comincia a parlare male del sindaco: poi del prefetto; poi del governo. Mentre la sua voce si gonfia, si arrochisce, stride, ridacchia, sale sopra sé stessa, rivela cosa farebbe "se fossi al governo": niente più tasse, gli omosessuali castrati, i figli adottivi proibiti. Alla fine, la sua fantasia sovrana non ha più limiti. Racconta il Big-Bang (con una sua ipotesi personale), parla dei dinosauri travolti da un meteorite, discorre facetamente della Unità e Trinità di Dio, dell’incarnazione di Cristo ("una stranezza"); dell’Impero Romano, che detesta ("Tutta roba da omosessuali"), esalta Vercingetorige e i Galli che saccheggiano Roma, e poi giù, spinto da grandi, impetuose folate di vento e di genio, fino al Medioevo e alla Rivoluzione francese. Non ama i preti, ma nemmeno i giacobini ("erano tutti dei letterati"). Vi infilza aneddoti, possibilmente contro gli ebrei. I pochi o molti frequentatori dell’osteria-trattoria lo ascoltano volentieri. Quella voce roca, euforica, smargiassa li diverte: amano la sua cialtroneria, compatiscono la sua miseria. E poi rivela loro cose che non sospettavano. Ma presto giunge la mezzanotte: domattina ci sono i lavori dei campi. I padroni vanno in cucina, trovano qualche fetta di polenta avanzata, persino un pezzo di capriolo, e li ficcano nella bisaccia del vagabondo, che si perde nella notte, chissà dove, cantando una canzone che ha inventato. Come i padroni delle osterie, anch’io amo gli Umberto Bossi. Mi piace la loro inarrestabile loquela lombarda, e la mescolanza di candore, fantasia e un lievissimo profumo di follia. Non sono solo. Piacevano anche ad Alessandro Manzoni, che agli Umberto Bossi dedicò un mirabile capitolo dei Promessi Sposi, quando raccontò di Renzo a Milano, durante i disordini per la penuria del pane, seduto ad un tavolo di osteria.»


Pietro Citati, morto a 92 anni lo scrittore e critico letterario / di Dario Pappalardo

28 LUGLIO 2022 - AGGIORNATO ALLE 10:30

Pietro Citati è morto a 92 anni. Scrittore e critico, è stato per anni firma delle pagine culturali di Repubblica. Una volta raccontò allo storico caporedattore Paolo Mauri di aver calcolato che tutti i suoi saggi e articoli occupavano lo stesso spazio della "Comédie humaine" di Balzac, "conclusione che mi ha coperto di rossore e di vergogna", disse.

Citati nasce a Firenze il 20 febbraio 1930, ma si trasferisce presto con la famiglia a Torino e poi in Liguria. Completa gli studi in Lettere Moderne alla Normale di Pisa. Sin dagli anni Cinquanta affronta gran parte dei capolavori della letteratura mondiale, da Omero a Proust, passando per Cervantes, Goethe, Kafka, Leopardi, Manzoni, Tolstoj.

In lui, che inizia a collaborare alla rivista Paragone fondata da Roberto Longhi, ci sono già tutti gli elementi che lo porteranno a diventare un grande narratore di storie e di donne e uomini straordinari nella letteratura. Nel ’52 pubblica sul Journal de Jenève una recensione ai Ventitre giorni della città di Alba di Beppe Fenoglio ed è proprio Citati a trattare con Fenoglio per il passaggio da Garzanti. Qualche anno dopo diventa il critico letterario del Giorno. Sembra che Giorgio Bassani lo rimproverasse allora di scrivere male.

Sono gli anni in cui matura il sodalizio con Carlo Emilio Gadda, testimoniato dall’epistolario pubblicato da Adelphi. Per conto di Garzanti, diventa l’uomo di fiducia dell’autore del Pasticciaccio: tra i due c’è mezzo secolo di differenza. Gadda, raccontò una volta Citati, gli telefonava immancabilmente all’una e trenta, facendo freddare il pranzo in tavola. E’ soprattutto a questi anni che rimonta il Citati critico militante, attento ai libri in uscita, disposto anche alle stroncature. Certe posizioni non erano affatto scontate: Citati e Guglielmi sostenevano allora Gadda che però non piaceva ai vecchi critici.

Lasciata la critica militante, lo scrittore pubblica biografie di autori che corrispondono a vere e proprie canonizzazioni, costellazioni di divinità laiche. Ecco allora Goethe (Mondadori); Immagni di Alessandro Manzoni (Mondadori); Vita breve di Katherine Mansfield (Adelphi). E poi quelli che sono i suoi titoli più celebri: Tolstoj, Kafka e La colomba pugnalata. Proust e la "Recherche", tutti oggi nel catalogo Adelphi. A Citati si deve anche il lavoro alla Fondazione Valla, di cui è stato presidente, che negli anni ha riproposto i grandi testi del mondo classico in edizioni filologicamente accuratissime. Perché il vero compito del critico e scrittore è stato quello di tenere viva la letteratura di tutti i tempi.

Fonte: La Repubblica


Pietro Citati in una delle ultime interviste: «Non ho nessuna paura della morte, la ignoro. Ho vissuto abbastanza»

28 LUGLIO 2022

«Spero di morire nel sonno, che è la speranza di tutti quanti. Non ho nessuna paura della morte, non ci penso mai, non mi appartiene, non è né passato, ne presente, né futuro. La ignoro completamente. Ho vissuto abbastanza». Così nel 2017 Pietro Citati si raccontava in una delle sue ultime interviste in tv, quado aveva 86 anni. A intervistarlo Gigi Marzullo a «Sottovoce» su Rai1. Lo scrittore e critico letterario è morto a 92 anni il 28 luglio 2022. Era nato a Firenze il 20 febbraio 1930. Nel 1984 vinse lo Strega con «Tolstoj» (Longanesi, 1983; Adelphi, 1996). Negli anni Sessanta scriveva per il quotidiano «Il Giorno». Dal 1973 al 1988 è stato critico letterario del «Corriere della Sera»; dal 1988 al 2011 de «La Repubblica»; dal 2011 al giugno 2017 scriveva recensioni letterarie per il «Corriere della Sera». Il 28 luglio 2017 ha ripreso a pubblicare su «La Repubblica».

Fonte: Corriere della Sera


Morto Pietro Citati, scavò nelle vite dei grandi autori / di ANTONIO CARIOTI

Vinse il premio Strega nel 1984 con la biografia di Tolstoj. Critico letterario versatile e brillante, riusciva a spaziare tra le epoche, i generi e gli autori più diversi

Ciò che più colpiva in Pietro Citati, scomparso il 28 luglio all’età di 92 anni — è morto nella sua casa di Roccamare, nel Grossetano, dove hanno vissuto anche Italo Calvino e Carlo Fruttero — era la versatilità con cui, nel suo lavoro di critico letterario, riusciva a spaziare tra le epoche, i generi e gli autori più diversi. Dalle opere della classicità greco-romana ai mostri sacri dell’Ottocento russo, dai testi evangelici a Giacomo Leopardi e Franz Kafka. Una sua specialità erano le biografie dei grandi scrittori in forma narrativa: non a caso sulle pagine culturali del «Corriere della Sera», dove aveva scritto a lungo in due fasi diverse, aveva esordito anticipando parte del suo fondamentale saggio Immagini di Alessandro Manzoni (Mondadori 1973).

Era un finissimo interprete degli autori di cui si occupava, esemplare per la capacità di coniugare assoluto rigore filologico e acuta introspezione psicologica. Non a caso, per due biografie Citati aveva ottenuto prestigiosi premi: il Viareggio nel 1970 con il suo Goethe (Mondadori, 1970; Adelphi, 1990) e lo Strega nel 1984 con Tolstoj (Longanesi, 1983; Adelphi, 1996). Altri riconoscimenti gli erano stati assegnati anche all’estero, per esempio in Francia, in Spagna e in Brasile.

Nato a Firenze il 20 febbraio 1930 in un famiglia siciliana di stirpe aristocratica, laureato alla Scuola Normale Superiore di Pisa, Citati non aveva seguito una regolare carriera accademica. La sua stessa passione per la lettura era sbocciata spontaneamente, non da studi sistematici, quando la sua famiglia si era trasferita da Torino in Liguria nel 1942, durante la Seconda guerra mondiale, per sfuggire ai bombardamenti. Allora, dodicenne, aveva cominciato a leggere e approfondire da autodidatta un po’ di tutto: romanzi, poesia, ma anche i dialoghi di Platone. Più tardi, dopo la laurea, aveva insegnato per qualche tempo italiano nelle scuole professionali, per poi intraprendere la carriera del critico letterario, sulle orme di maestri come Emilio Cecchi, Giovanni Macchia e Mario Praz. Sin dalla metà degli anni Cinquanta aveva frequentato lo scrittore Carlo Emilio Gadda, per il quale aveva maturato un’autentica venerazione.

Ai molti articoli su riviste come «Il Punto», «L’approdo» e «Paragone», era seguita negli anni Sessanta la collaborazione organica di Citati con il quotidiano «Il Giorno», sul quale a volte scriveva solenni stroncature. Nel 1970 il primo libro Goethe, subito premiato. Quindi, tre anni dopo, l’esordio sulla terza pagina del «Corriere». A parte l’anticipazione del saggio su Manzoni, colpisce che il primo articolo di Citati fosse dedicato all’immaturità degli italiani. Lo colpiva che tanti giovani talenti, in ogni campo di attività, andassero dispersi per carenza di «passione intellettuale» o di «forza di concentrazione». E ancor più lo addolorava lo spettacolo di persone che invece, dopo essersi affermate, dormivano sugli allori, incantate dal proprio narcisismo. Non gli era estraneo dunque l’interesse per la vita sociale italiana e per le sue magagne, anche se centellinava gli interventi sulle vicende politiche, solitamente molto severi, anche se in tono ironico, verso la classe dirigente.

In un’intervista rilasciata nel 1984, dopo aver vinto lo Strega, Citati dichiarò che detestava due padri della patria sempre omaggiati: il comunista Palmiro Togliatti, per il cinismo saccente, e il democristiano Aldo Moro, per il suo spirito compromissorio.

Il mondo più congeniale a Citati era però pur sempre la letteratura, in particolare le opere più famose, che amava esplorare con l’attitudine dello speleologo che si cala nelle profondità del sottosuolo: «Un grande libro — diceva — è composto di tanti strati: si tratta di scoprire quello più nascosto». Inoltre riteneva che i classici avessero la dote di trasmettere sensazioni e messaggi nuovi a ogni generazione che vi si accostava e vi si accosta: «Penso che i libri si muovano nel tempo. Non sono sempre gli stessi, hanno aspetti diversi secondo i secoli. Mentre noi siamo fermi e dobbiamo cercare di capire il movimento dei libri».

Il valore dell’ingegno di Citati era stato riconosciuto anche con la pubblicazione, nel 2006, di un Meridiano Mondadori composto di suoi scritti, intitolato La civiltà letteraria europea, a cura di Paolo Lagazzi. Ma non era un tipo che gradisse più di tanto gli omaggi, anzi si riteneva sostanzialmente estraneo alla «società letteraria», al mondo dei premi e dei convegni.

Si definiva «preciso e pedantesco» quando si trattava di applicarsi a un’opera, ma anche «assoluto dilettante» di fronte a molti argomenti. In fondo il critico, osservava, non è altro che «una foglia o un piccolo ramo di un’immensa pineta». Amava molto la cultura antica e aveva a lungo diretto la prestigiosa collana Scrittori greci e latini della Fondazione Lorenzo Valla. Lo affascinavano le antinomie riscontrabili in quel patrimonio immenso sui temi più vitali per la l’uomo. Per esempio il bipolarismo tra determinismo e libertà: «Almeno in apparenza il destino omerico non è rigido né ferreo, ma doppio, oscillante, e sempre sul punto di venire sconfitto. Qualche volta, ci sembra una possibilità, piuttosto che un fato», si legge nel suo libro La mente colorata (Mondadori, 2002; Adelphi, 2018) in cui tratta dell’Odissea.

Un’altra dote di Citati era la capacità di portare questa profondità e ampiezza di riflessione anche sui quotidiani, con i tempi e gli spazi che quella sede comporta. Nel 1988 era passato dal «Corriere» a «Repubblica», poi era tornato a via Solferino dal 2011 al 2017, infine aveva ripreso a scrivere per il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. Ogni volta nella piena consapevolezza della sfida che aveva di fronte e che sembrava esaltarlo: «La cultura di un recensore – notava – è febbrile, improvvisata, minacciata dal tempo e dalla impazienza del redattore capo, che vuole l’articolo per un giorno preciso».

La sua prosa era limpida e scorrevole. Sapeva catturare l’attenzione anche quando affrontava argomenti molto complessi e personaggi sfaccettati, il che gli permetteva di rivolgersi a un pubblico vasto, come dimostra il successo presso i lettori di alcuni suoi libri, come quello dedicato a Franz Kafka nel 1987. Anche in età avanzata non aveva smesso di produrre opere di notevolissimo impegno. Ricordiamo tra le più recenti: Leopardi (Mondadori, 2010); I Vangeli (Mondadori, 2014); Il silenzio e l’abisso (Mondadori, 2018).

Fonte: Corriere della Sera


Addio a Pietro Citati, scrittore e saggista. Franceschini: "Giorno triste per la cultura italiana"

Le sue assidue collaborazioni ai giornali (prima al "Giorno", poi al "Corriere della Sera" e infine alla "Repubblica") sono testimonianza esemplare del suo stile di saggismo letterario

Scrittore e critico letterario autorevole, interprete dei tempi attraverso le opere del passato. Pietro Citati si è spento all’età di 92 anni.

L’infanzia, gli studi e l’inizio della carriera

Nato a Firenze il 9 febbraio 1930 da una nobile famiglia siciliana, Citati trascorre l’infanzia e l’adolescenza a Torino, dove frequenta l’Istituto Sociale e in seguito il liceo classico ’Massimo d’Azeglio’. Nel 1942, dopo il bombardamento di Torino, si trasferisce con la famiglia in Liguria. Si laurea nel 1951 in Lettere moderne all’Università di Pisa quale allievo della Scuola Normale Superiore. Inizia la carriera di critico letterario collaborando a riviste come "Il Punto" (dove collabora al fianco di Pier Paolo Pasolini), "L’Approdo", "Paragone". Era condirettore della Fondazione Lorenzo Valla, che ha creato nel 1974, per la cui collana di "Scrittori greci e latini" ha tradotto la "Vita Antonii" di Atanasio.

Le sue assidue collaborazioni ai giornali (prima al "Giorno", poi al "Corriere della Sera" e infine alla "Repubblica") sono testimonianza esemplare del suo stile di saggismo letterario, un modello di accostamento mimetico al testo - sulle orme di Sainte-Beuve - capace di ricreare i valori poetici dell’autore analizzato.

Il suo ruolo nel panorama letterario italiano

Nella sua lunga e vasta opera, ha spaziato da Omero a Marcel Proust, da Giacomo Leopardi a Johann Wolfgang Goethe, da Alessandro Manzoni a Franz Kafka.

E proprio del genere biografico Citati è stato senza dubbio tra i maggiori interpreti nel panorama letterario italiano: nel 1970 ha vinto il Premio Viareggio di Saggistica, con "Goethe" (Mondadori), nel 1981 il Premio Bagutta con "Vita breve di Katherine Mansfield" (Rizzoli), nel 1984 il Premio Strega con "Tolstoj" (Longanesi). E’ autore anche dei saggi biografici "Manzoni" (Mondadori, 1980), "Kafka" (Rizzoli, 1987), "La colomba pugnalata. Proust e la Recherche" (Mondadori, 1995), "La morte della farfalla. Zelda e Francis Scott Fitzgerald" (Mondadori, 2006) e "Leopardi" (Mondadori, 2010).

La sua fama di critico raffinato ha varcato l’Italia: Citati è stato premiato con il "Prix de la latinité", conferitogli dall’Académie Française e dall’Accademia delle lettere brasiliana nel 2000. Nel 2002 lo scrittore spagnolo Javier Marías, Re di Redonda, lo ha nominato Duca di Remonstranza. In patria Citati era Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana e Grande ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana.

I primi messaggi di cordoglio da parte del ministro della cultura Franceschini e del presidente della regione Toscana Giani.

"Con Pietro Citati se ne va un grande scrittore e una delle voci più illustri e autorevoli della critica letteraria italiana. È un giorno triste per la cultura che perde un intellettuale rigoroso e mai banale. Mi stringo ai familiari e ai tanti che hanno apprezzato la sua opera nel corso della sua lunga e prolifica carriera".

Fonte: RaiNews



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