Sei all'interno di >> :.: Città invisibili |

Ad Augusta, chi rompe non vuole pagare

Le industrie che per anni hanno inquinato il porto di Augusta, ora si tirano indietro sulla proposta di bonifica da parte del Ministero dell’Ambiente.

di Giuseppe Marziano - mercoledì 4 ottobre 2006 - 5382 letture

Numerose riunioni si stanno susseguendo in merito al porto di Augusta. Dopo anni di inquinamento indiscriminato dei fondali, si vuole avviare un processo di bonifica del comprensorio del porto. Le riunioni sono state promosse dal Ministero dell’Ambiente, con la presenza delle industrie, dei Sindaci delle città vicine, degli organi di Governo.

Il porto di Augusta risulta essere inquinato dagli scarti della raffinazione delle industrie, e quindi vanadio, nichel, greggio in generale, idrocarburi, da mercurio. Tutti materiali che si sono depositati sui fondali e che ora, devono essere rimossi. Il Ministero ha stimato la spesa in circa 400 milioni di euro, di cui circa 112 milioni messi dallo stesso Ministero che ha riconosciuto un concorso per la presenza della Marina Militare, con le sue aree di stoccaggio, e circa 280 milioni che devono essere messi dalle industrie. Durante i lavori delle prime riunioni le industrie hanno accettato la problematica, come a dire che noi abbiamo rotto, noi paghiamo.

Nella ultima riunione soltanto la ERG ha accettato, seppur con qualche riserva, esborso certamente non poco oneroso. Ma le altre? Non vale più la regola del chi rompe paga? Dopo anni di sfruttamento della risorsa ambientale, come se questa fosse infinita, logica che prevaleva negli anni 60, la necessità di restituire, se non perfettamente integra, la risorsa ambientale alle future generazioni, in nome dello sviluppo sostenibile e della concezione di sostituzione di capitale, nessuno a disposto a pagare. Nell’attesa che le industrie prendono la loro decisione, e gli organi istituzionali le loro, si continua ad inquinare.


- Ci sono 1 contributi al forum. - Policy sui Forum -
Ad Augusta, chi rompe non vuole pagare
21 giugno 2007, di : palpri |||||| Sito Web: risposta

Inquinare è facile, comodo, redditizio, …… Bonificare non è semplice e, soprattutto ……. costa. (bisognerà vedere a chi) Ad Augusta ancora una volta il danno e la beffa e con la complicità delle istituzioni e sempre sulla pelle dei cittadini.

Dal 1949 fino agli anni ‘80, periodo di entrata in funzione del depuratore consortile IAS (Industria Acque Siracusane) gli stabilimenti petrolchimici di Augusta, Priolo e Melilli, hanno scaricato in mare (ed anche altrove) ogni genere di rifiuti. Da quel momento nessuno poteva più inquinare il mare e il depuratore IAS avrebbe dovuto rendercelo più pulito. Invece nel 2003, quando il mare di Augusta si colorò di rosso, si scoprì che l’inquinamento continuava, continuava e, probabilmente continua, perché “la volpe (o il lupo) perde il pelo ma non il vizio”. Non posso dimenticare quella frase detta da un dirigente dell’Enichem ed intercettata dalla procura della Repubblica di Siracusa in cui, proponendo la falsificazione dei registri, si diceva: “accussì i futtemu”. Arrivarono inaspettatamente le forze dell’ordine che con grande scalpore arrestarono diciassette dirigenti dell’Enichem, di cui si evitò perfino di mostrare i volti. E non posso dimenticare, in particolare, una delle motivazioni dell’accusa: “Hanno agito in disprezzo della vita”. E così qualcuno, di fronte a questo “scempio continuato” ha deciso di indagare su quanto già si sapeva: i suoli, la falda ed i fondali del porto di Augusta (ed anche fuori porto) erano ricoperti da uno spesso strato di sostanze altamente tossiche i cui nomi sono spesso incomprensibili e talvolta impronunciabili. Ne citiamo solo alcuni: antimonio, arsenico, cadmio, cromo totale, cromo esavalente, mercurio, rame, selenio, vanadio, benzene, etilbenzene, toluene, xilene, ecc. ecc. Forse sarebbe più semplice elencare quel che non c’è.

È stato anche accertato, dopo accurate indagini, che i fanghi del porto hanno contaminato anche i pesci ed altre specie marine (ma noi lo sapevamo già e lo avevamo anche denunciato – era l’estate del lontano 1989-) ma senza risultati, anzi le Istituzioni che ci dovevano tutelare ci tacciarono persino di totale “incompetenza ed ignoranza”. È stato fatto un calcolo approssimativo della quantità di fanghi tossici giacenti sui fondali della rada di Augusta: 17-18 milioni di metricubi, quasi cento metri cubi per ciascun abitante del triangolo infernale aggiungendovi anche il capoluogo. Finalmente, da quello stesso ministero che in passato ne aveva legalizzato la diffusione anche fuori della rada, arriva un perentorio, ma altrettanto debole altolà: bisognava bonificare la rada di Augusta da tutta quella melma fetida e micidiale che, metabolizzata dalle specie ittiche, finisce nell’organismo umano. E, ad Augusta, tutti sanno che nel porto ancora ci sono pescatori che operano “protetti dalla strana cecità” delle forze preposte alla vigilanza. Una decisione, quella del ministero dell’ambiente, che sembrava far imboccare la strada giusta, quella della riparazione del danno. Ma come fare a prelevare quei fanghi velenosi e, soprattutto, dove metterli? Ve la immaginate una discarica da 17 milioni di metri cubi? E per di più in zona sismica? Come bisognava procedere? Dragare, aspirare, filtrare magari con l’aiuto di un bacino parallelo al porto di Augusta? Tecnicamente ma soprattutto economicamente sono sorte subito delle difficoltà: Le operazione di dragaggio avrebbero rimesso in circolo una buona parte degli inquinanti da asportare; qualcuno ha proposto addirittura la copertura dei fondali sotto una camicia di cemento (quasi come il sarcofago della centrale di Chernobyl) – un bel regalo del “progresso” per le future generazioni! – Ma per fare tutto questo occorreva bloccare il porto a tempo indeterminato, quel porto sulla cui superficie ogni giorno decine di petroliere, rimorchiatori, pilotine, ecc. vanno e vengono con i loro carichi umani e con gli altri carichi preziosi e micidiali di idrocarburi grezzi o raffinati che riforniscono almeno mezza Italia di carburanti, lubrificanti, detergenti, ecc., che riempiono di miliardi di euro le sia le casse delle aziende e quelle dell’erario. (Le accise sui prodotti petroliferi di Augusta-Priolo-Melilli lucrate annualmente dall’erario italiano ammontano a 18 miliardi di euro, vale a dire lo stipendio medio vitale per ogni famiglia siciliana). Qualche azienda, grottescamente, ha osato perfino dire che con l’inquinamento non c’entrava e non voleva contribuire. Poi è intervenuto anche il TAR: ma a favore degli inquinatori che si sono vista regalare una proroga per la bonifica. D’altronde, con i loro profitti, che problemi hanno l’Enichem, La Esso, la Erg, l’Enel, ecc, a pagarsi un avvocato? Certamente la stessa cosa non può permettersela il comune di Augusta, dal momento che non ha neanche i soldi per pagare gli stipendi dei dipendenti. Nelle varie conferenze dei servizi e nei vari incontri ad ogni livello, la determinazione del ministero dell’ambiente, in un primo momento è sembrata prevalere ma, il diritto alla salute, il diritto a vivere in un ambiente sicuro è subito venuto in conflitto con il diritto al lavoro: sono scesi in campo tutti: amministratori, politici, sindacati, aziende: i cittadini sono rimasti solo spettatori. Nel complesso di una situazione così grave è stato loro negato perfino il diritto ad esprimersi con un referendum sulla fattibilità del famigerato termovalorizzatore, anche questo “imposto dall’alto” come anche il rigassificatore. Eppure dal 30 novembre 1990 eravamo un’area ad elevato rischio ambientale. Quando si è paventato il blocco del porto di Augusta, le aziende del petrolchimico, gli operatori portuali, dei cantieri, delle agenzie marittime, ecc. si sono preoccupati: bloccare il porto significava smettere di lavorare. Pertanto l’altolà del ministero maldigerito da tutti quelli che nel porto a vario titolo vi lavorano è diventato “fermitutti” in attesa del più che probabile “dietrofront”. Purtroppo la situazione che si è venuta a creare nella vicenda della bonifica del porto di Augusta la possiamo paragonare a quella di un malato grave – magari di cancro – che chiede al medico di non operarlo per continuare a lavorare per non rinunziare al guadagno. Ma in tutta questa paradossale situazione che dicono i cittadini? È stata data mai voce ai pescatori ed alle loro famiglie? A quelli che girano per la costa dove prolificano i cartelli con la scritta “divieto di balneazione”? Da un lato tutti vorrebbero rivedere il mare bonificato e pulito, pescoso ed anche balenabile come un tempo ormai lontano, anche quelli che con il loro lavoro lo sporcano e lo inquinano, dall’altro lato ci stanno quelli che vedono minacciato il loro posto di lavoro. Da parte mia prevedo che i grossi interessi che ruotano attorno al porto di Augusta, non consentiranno a breve scadenza l’inizio dei lavori di bonifica, anzi c’è il rischio che questa non venga nemmeno attuata vista l’importanza strategica del petrolchimico di Augusta dove la salute vale meno del profitto. Molto probabilmente tutto resterà così com’è dimostrando tutta l’incapacità e la debolezza dello stato che, da un lato, nelle sue leggi afferma il principio che: “chi inquina paga,” ma consente di continuare ad inquinare, mentre dall’altro lato, i cittadini continueranno a pagare di tasca propria e sulla loro pelle le conseguenze dell’inquinamento. Per risolvere questa intricata vicenda le “soluzioni italiane” si intravedono già: basterà mettere qualche altro cartello di divieto di balneazione e di pesca; basterà obbligare gli automobilisti a fare il tagliando per avere il bollino blu o costringerli ad acquistare la macchina euroquattro o eurocinque, basterà assoggettarli a circolare a targhe alterne, basterà ingrandire ospedale e allargare il cimitero, perché qui, nel triangolo maledetto, alla logica che “il lavoro non deve morire” se ne aggiunge un’altra ancor più aberrante ed inumana: “di lavoro e col lavoro si deve morire”. Ci auguriamo che per “bonifica” non si intenda la triste sorte di Marina di Melilli: la deportazione degli abitanti dai luoghi contaminati. Eppure a me, fin da piccolo, avevano insegnato altre cose: il lavoro serve per vivere e che la salute vale più dei soldi. Forse erano altri tempi ed altri luoghi o, forse, ….. sono nato nel tempo e nel luogo sbagliato. Ma non c’era l’art. 32 della Costituzione? Probabilmente o l’avranno abrogato a nostra insaputa o forse non vale solo per Augusta e dintorni. Augusta, 3 febbraio 2007