Abruzzo, una regione dai costi minimi

La zona è classificata a massimo rischio d’esondazione e la legge vieta tassativamente di costruirci. Eppure abbiamo, neanche molto distanti l’uno dall’altro, due ipermercati, "Auchan Mall" e, appunto, "Megalò".
Il dossier di una multinazionale definisce l’Abruzzo una ’regione camomilla’ con ’facilità di penetrazione, costi d’insediamento minimi e zero conflittualità’
Sembra il Congo, invece è l’Italia. E’ il commento di Paolo Rumiz, in un articolo su Repubblica del 21 dicembre scorso, al dossier realizzato dalla nota multinazionale. Tutto è permesso e, se ci dovessero essere problemi, basta pagare (e neanche tanto ...) e tutto si risolve. Saldi a tutte le stagioni. Le denunce degli ambientalisti, alcune riportate da Rumiz, sono lì a dimostrarlo da anni. Una delle più clamorose riguarda la costruzione di ipermercati. Un recente comunicato stampa firmato da Italia Nostra, MareVivo, il presidente dell’EcoIstituto Verde Abruzzo Giovanni Damiani e Edvige Ricci di MilaDonnAmbiente l’ha ribattezzato Regalò. E’ uno dei centri commerciali più grandi d’Italia, realizzato però a cento metri dalla sponda del fiume Pescara.
La zona è classificata a massimo rischio d’esondazione e la legge vieta tassativamente di costruirci. Eppure abbiamo, neanche molto distanti l’uno dall’altro, due ipermercati, "Auchan Mall" e, appunto, "Megalò". Ma non è finita qui. Perché, a non molti passi, a breve verrà costruito un nuovo centro commerciale. Avrà una superficie di un milione di metri quadri (all’incirca Disneyland e l’autodromo di Imola messi insieme). Tutto su una zona già devastata dalla speculazione edilizia, nonostante il tassativo divieto di legge. E, precedenti che inquietano. Nel 1992 il fiume Pescara sfondò ogni barriera distruggendo tutto quello che la marea incontrò. Nel 1888 l’acqua sommerse interamente le case, trascinandosi via le persone che avevano trovato rifiugio sui tetti. Immaginatevi voi cosa potrebbe fare con tre ipermercati stracolmi di gente e milioni di metri cubi di cemento in più. Cemento che, ormai, accomuna l’intera vita del fiume. L’unica zona che si salvava era nel comune di Francavilla. Rumiz scrive che "la stanno cancellando ora, con una linea Maginot di appartamenti". In questi giorni Edvige Ricci, Giovanni Damiani e le associazioni Italia Nostra, MareVivo, MilaDonnAmbiente e l’Ecoistituto Verde, hanno presentanto l’ennesima denuncia contro la speculazione edilizia nella zona.
Ma non finisce qui. Perché l’Abruzzo è oggi un crocevia pericolosissimo di traffico di rifiuti. Mentre lo smaltimento legale annaspa. La Protezione Civile, così come avevano fatto nei mesi scorsi Legambiente e WWF, ha denunciato che già quest’anno l’Abruzzo potrebbe vivere uno scenario campano (e in alcuni comuni già succede). Pochi mesi prima di essere arrestato, Del Turco (e già questa sarebbe una notizia clamorosa e sensazionale) riuscì a realizzare un provvedimento importante in materia. Il piano regionale dei rifiuti, anche se molti potrebbero essere i miglioramenti (ma la perfezione non è di questo mondo e di questi tempi tutto quel che non distrugge è già oro colato ...), permette una prospettiva di futuro migliore e una gestione della raccolta e smaltimento dei rifiuti innovativa. Alla situazione attuale, mancando ormai il tempo materiale per qualsiasi altro provvedimento, l’unica possibilità è quella di realizzare questo piano, impedendo almeno l’esplodere dell’emergenza. Ma già lo stesso Del Turco (forse timoroso di essere ricordato per una legge ’ambientalista’) riuscì a smentire se stesso, annunciando provvedimenti in palese violazione del piano. E Chiodi, presidente uscito vincitore dalle urne, ha già annunciato vistosi cambi, promettendo la costruzione di termovalorizzatori, eliminando prima il limite minimo di differenziata previsto preliminarmente. Piccolo inciso: l’Italia è stata più volte censurata e multata in sede europea (e il record annuale di multe sembra inattaccabile per i prossimi decenni ...) per aver utilizzato impropriamente il termine termovalorizzatore. Allo stato attuale non ne esistono in Italia. Sono tutti in realtà semplici inceneritori (e la differenza non è di poco conto ...). Chiodi è sotto inchiesta (il processo è prossimo) per il crollo di una discarica, realizzata mentre lui era sindaco di Teramo.
A Furci, piccolo paesino dell’alto vastese, è in costruzione un impianto di smaltimento di rifiuti pericolosi. Ma la ditta costruttrice ha dichiarato, tutto nero su bianco, che la tecnologia dell’impianto non è adatta a smaltire i rifiuti previsti. Ma la costruzione continua.
Il Comune di Vasto, dopo annunci alla stampa e aver chiesto anche il contributo delle associazioni ambientaliste e di volontariato, ha accumulato un mese di ritardo (e molto altro ne accumulerà) per la partenza di un piano di raccolta differenziata porta a porta. E poi c’è lo spettro del traffico illecito. I dintorni della cittadina sono ormai uno stillicidio di discariche abusive. Ogni mese la cronaca riporta nuove scoperte da parte delle forze dell’ordine, e i conti del totale non li porta più nessuno.
Un intreccio di mafia, massoneria e criminalità varia sta mettendo le mani sul chietino. Secondo circonstanziate e attente denunce ambientali, intorno a Chieti Scalo potrebbero confluire la quasi totalità dei rifiuti tossici italiani (e non solo). Addirittura alcune piste porterebbero direttamente in Sicilia, nel Ragusano. Una sorta di corsia preferenziale, quasi un’autostrada, che scarica in Abruzzo i rifiuti di una delle zone a massima densità massonica d’Italia.
Nel luglio scorso prese fuoco un’area vicino a Megalò. In quell’area era presente una discarica abusiva che ha avvelenato Chieti Scalo. Dopo l’immobilismo iniziale, l’amministrazione non ha trovato di meglio che attaccare il WWF, reo di aver scoperta e denunciata la presenza di veleni cancerogeni nell’aria. Nella cittadina di Rosciano ci sono state varie proteste dopo che la famiglia siciliana dei Bellìa (di cui alcuni esponenti, negli ultimi mesi, sono stati colpiti da provvedimenti giudiziari per traffico illecito di rifiuti) ha ottenuto la gestione di una discarica di materiali inerti. E, data la cronaca nera e ambientale degli ultimi anni, molti abitanti vorrebbero evitare, temendo la tossicità del nuovo insediamento.
E sulle rive del fiume scarichi e discariche varie hanno già avvelenato in maniera massiccia. In larghi tratti parlare di acqua stride fortemente con la realtà. Pesci malati, coperti di piaghe. Per un secolo la Montedison ha stoccati veleni ai piedi del Gran Sasso indisturbata. Lo scandalo di Bussi, negli ultimi anni, è stato solo l’emblema della devastazione politica e ambientale. E Catena, responsabile politico e amministrativo di tutto, è riuscito anche a chiudere la sua carriera all’ACA da martire.
Intanto avanza implacabile lo scandalo della corruzione politica. Nel pieno dell’emergenza Bussi, la ASL arrivò a dichiarare di non essere in grado, mancando la tecnologia adeguata, di rilevare veleni cancerogeni nelle acque. E l’estate scorsa abbiamo scoperto che pacchi di milioni di euro prendevano autostrade che portavano dritte dentro portafogli privati di alcuni politici. La devastazione del fiume Pescara, gli scarichi avvelenati e il cemento che lo soffocano, così come la realizzazione di immense costruzioni su zone dove la legge tassativamente vieta di costruire, chiamano direttamente in causa la politica. E, dopo lo scandalo del sistema Montesilvano e della FIRA e l’arresto di alcuni assessori, la fine anticipata della legislatura regionale con l’arresto di Del Turco e altri assessori regionali, abbiamo lasciato il 2008 con il sindaco di Pescara indagato e dimissionario (dopo essere stato diversi giorni agli arresti domiciliari).
I primi giorni del 2009, per chi si fosse illuso delle pie intenzioni della notte di san Silvestro, ci hanno immediatamente dimostrato che l’anno nuovo non sarà diverso dal vecchio. L’ultima pagina nera della cronaca politica pescarese è la cartina al tornasole del degrado e dello squallore del quale l’Abruzzo è ormai teatro privilegiato. Travolto dall’ultima inchiesta giudiziaria, avvenuta dopo molte altre che già avevano portato agli arresti alcuni assessori, D’Alfonso aveva rassegnato le dimissioni meno di un mese fa.
Il 5 gennaio, ultimo giorno utile, le dimissioni sono state ritirate, dopo un rincorrersi di voci e illazioni varie per la città. Ma ... coup de theatre, D’Alfonso non tornerà sindaco. Un certificato medico attesta una grave patologia che gli impedisce di proseguire l’attività amministrativa. Quindi, il 6 e 7 giugno si tornerà comunque alle urne. Cosa cambia rispetto a prima? Bloccato l’arrivo del commissario, prosegue la normale attività amministrativa come se nulla fosse accaduto, con il vice sindaco Camillo D’Angelo che farà le veci di D’Alfonso.
Per Pescara (che al contrario di quel che sostiene la stampa locale non è un monolite pro-D’Alfonso, anzi tutt’altro) sussurri e voci d’indignazione si rincorrono. A pensar male si fa peccato ma spesso non si sbaglia, diceva Andreotti, che dei segreti e dell’arte della politica è maestro. E molti, nella cittadina adriatica sempre più sgomenta, hanno pensato lo stesso. Moltissimi, anche sul social network FaceBook secondo il quotidiano Il Tempo, accusano il sindaco di aver presentato un certificato palesemente falso (la malattia è arrivata improvvisamente solo ora? E prima? sono le congetture dei cittadini) e di aver realizzato una furbata per permettere ai suoi collaboratori di impedire ad un commissario di avere accesso a tutti gli atti e di nascondere le irregolarità e i reati commessi.
Non ci è dato dare giudizi su queste voci e su questi pensieri, ma li riportiamo per dovere di cronaca. Quella cronaca che, nell’ultimo mese, è venuta sostanzialmente a mancare. Alcuni organi della stampa locale hanno realizzato pagine e pagine (ed ore e ore di telegiornali) come fossero veline di partito o di comitati politici. Sin dall’inizio è iniziata una campagna mediatica tesa ad imporre all’opinione pubblica la tesi del colpo di mano dei giudici pescaresi per demolire il primo cittadino. Si è dipinta una città in lutto, piangente e affranta per la perdita dell’amatissimo Luciano D’Alfonso, sindaco taumaturgo che in pochi anni ha trasformato il volto di Pescara, facendola splendere per i secoli. Un solo inciso vale per tutti. La detenzione preventiva è prevista solo in tre casi tassativi: il pericolo di fuga, la possibilità di reiterazione del reato e il timore di inquinamento delle prove. Per il primo caso spesso gli inquirenti si avvalgono del semplice obbligo di dimora. Gli altri due, dimessosi D’Alfonso da sindaco, vengono a cadere (come si può facilmente immaginare). Questa è l’unica motivazione della cessazione degli arresti domiciliari. Invece la stampa, cartacea e televisiva, è riuscita a far proferire ai giudici parole mai pronunciate, ha trasmesso (e continuano a farlo) le immagini di D’Alfonso piangente che abbraccia i suoi collaboratori e ha costruito immensi castelli su un crollo delle accuse mai avvenuto.
Ci fermiamo qui. Moltissimo si potrebbe ancora scrivere ma si rischierebbe di tediare enormemente il lettore. Non abbiamo citato minimamente il "Centro Oli" in costruzione vicino Ortona. Fa quasi storia a sé, insieme alla minaccia petrolifera che incombe su tutta la regione. Decine di trivellazioni, già in azione, che soffocheranno l’economia e la società abruzzese. Basta leggere la cronaca ambientale lucana di questi anni, cambiare i nomi delle località e il futuro dell’Abruzzo è bello e servito. Mentre accade tutto questo, una signora si è trovata costretta a minacciare l’eutanasia per vedersi riconoscere i propri diritti di cittadina in cura per un tumore. Questo nell’Abruzzo di Del Turco, di D’Alfonso e di Angelini.
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