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Aborto: 1/"Pro life" o "Pro choice"?

La posizione della Chiesa Cattolica è di assoluta condanna, poiché, innanzitutto, la vita è un dono di Dio, di cui l’uomo non può disporre, e, in secondo luogo, la centralità della persona umana implica la tutela della vita fin dal concepimento, dovendosi ritenere non solo il feto, ma anche l’embrione un essere umano in senso proprio.

di Giuseppe Artino Innaria - martedì 11 marzo 2008 - 3541 letture

La proposta di Giuliano Ferrara di una moratoria internazione sull’aborto ha inaspettatamente riacceso il dibattito mai sopito su un tema eticamente sensibile come quello dell’interruzione volontaria della gravidanza, che ha sempre drammaticamente diviso le coscienze.

La posizione della Chiesa Cattolica è di assoluta condanna, poiché, innanzitutto, la vita è un dono di Dio, di cui l’uomo non può disporre, e, in secondo luogo, la centralità della persona umana implica la tutela della vita fin dal concepimento, dovendosi ritenere non solo il feto, ma anche l’embrione un essere umano in senso proprio.

Ma vi è una parte del mondo laico che ritiene che la tutela della vita non sia solo una prerogativa dei cattolici. In un interessante editoriale sul “Corriere della Sera” del 19 febbraio 2008 (“Bobbio e l’aborto”), Claudio Magris ha ricordato la posizione di Norberto Bobbio sull’aborto, espressa alla vigilia del referendum del 1981 in un’intervista a Giulio Nascimbeni, nella quale il filosofo torinese, invocando l’imperativo categorico del “non uccidere” per affermare il diritto fondamentale a nascere in capo al concepito, si stupiva del perché i laici lasciassero “ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere”.

Se i valori della persona umana costituiscono il fulcro centrale dei moderni ordinamenti democratici e il diritto alla vita rappresenta la precondizione per la fruizione di tutti gli altri diritti, la difesa della vita non sta fuori dal patrimonio culturale della laicità - che dei diritti inviolabili dell’uomo ha fatto un vessillo divenuto piattaforma fondante di tutte le Carte Costituzionali occidentali - e non trova unicamente il suo fondamento nel comandamento biblico del “non uccidere”, ma affonda le sue radici nelle origini della cultura giuridica europea, nel “neminem laedere” delle fonti giustinianee, che, insieme all’”honeste vivere” e al “suum cuique tribuere” identifica i tre principi basilari della morale che servono di base ai precetti giuridici.

Se è innegabile che, come Bobbio affermava nell’intervista richiamata da Magris, “con l’aborto si dispone di una vita altrui”, va, però, sottolineato che il diritto del concepito a nascere non è l’unico valore in gioco quando si parla di aborto. Vi è chi, soprattutto i laici, invoca la tutela della libertà della madre di scegliere il proprio destino, di determinare il proprio progetto di vita, di disporre del proprio corpo, di procreare “consapevolmente” e non per imposizione. Vi è chi, sempre tra i laici e liberali, sostiene che lo Stato non può arrogarsi il potere di obbligare i cittadini a seguire una determinata opzione etica, cosicché non può che essere demandata al soggetto più degli altri coinvolto nella gravidanza, ossia la madre, ogni decisione sul futuro della gestazione.

Da una parte, dunque, la corrente di pensiero “pro life”, decisamente a favore della vita e del diritto del concepito a venire al mondo, dall’altra, quella “pro choice”, che dà preminenza alla libertà di scelta della donna. In mezzo, il dramma di una decisione sempre sofferta, preceduta da tanti angustianti dubbi.

(1-continua)


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Aborto: 1/"Pro life" o "Pro choice"?
13 marzo 2008

Mi pare che l’intera questione sia posta in termini alquanto confusi e mi spiego: non si può, non si dovrebbe parlare di diritto alla vita sic et simpliciter, perché è espressione vuota. Sul piano giuridico il diritto alla vita è garantito, giustamente definito nel post pre-requisito, come diritto della persona. Quindi è inevitabile che si debba tagliare il nodo gordiano del significato di persona. Comunque la si pensi, giuridicamente s’intende, perché eticamente e soggettivamente non rileva ed è oggetto di libera determinazione, va definito quando una forma di vita umana debba godere di tutela assoluta. Il piano giuridico ed il piano etico s’intersecano, è evidente, ma guai a sovrapporli, pena l’etica di stato cioè la legge della "tribù" al momento più forte. La lege attuale è un compromesso, come è inevitabile accada quando non si hanno certezze scientifiche. In una certa misura contiene una buona dose d’ipocrisia, ma la sua funzione è quella essenzialmente pratica di limitare una piaga sociale. Lascerei da parte il diritto della donna come fonte di principio di giustezza o meno dell’aborto. E’ pleonastico dire che esso avvenga sulla sua pelle e che ad essa spetti, nel caso, l’ultima parola. Ma la soluzione del problema per essere solida sul piano teoretico e disciplinata coerentemente può solo riposare sul principio se e quando il feto debba godere di tutela. Chiaramente le posizioni divergono secondo cultura e credo. Per quel che vale la mia opinione è che l’equiparazione embrione-persona sia una sciocchezza, fermo restando il principio che chi è di diverso avviso ha tutto il diritto d’applicarlo nel suo vivere. Certo che il tema è talmente vasto che pretendere d’esaurirlo in poche battute è chimerico.