A Palermo un seminario sul Sessantotto in Sicilia

Abbiamo partecipato all’incontro seminario tenutosi nell’aula magna dell’Università di Palermo, ex Facoltà di Lettere, il 27 marzo 2018. Relatrice Pina La Villa...
di Redazione Zerobook - giovedì 29 marzo 2018 - 4140 letture

E’ stata una esperienza molto bella. Abbiamo partecipato all’incontro seminario tenutosi nell’aula magna dell’Università di Palermo, ex Facoltà di Lettere (edificio 12), alle 17 del 27 marzo 2018. Relatrice Pina La Villa che ha parlato su: “I ’68 in Sicilia: tre università, tre storie diverse”. Si parlava naturalmente del libro pubblicato da ZeroBook "I Sessantotto di Sicilia".

Il convegno era il primo appuntamento di una serie di incontri organizzati dal Collettivo Universitario Autonomo dell’Università di Palermo, «A cinquant’anni dal 68 in Sicilia». Gli incontri in programma nell’articolo di presentazione del ciclo di incontri.



Dalla presentazione di Silvia Fabbri

Il 1968 fu un annus horribilis in Sicilia, iniziato con il terremoto di Gibellina del 14-15 gennaio e finito con la strage di Avola del 2 dicembre. A Gibellina, lo Stato mostrò la sua inconsistenza – il caos del coordinamento trasformava gli aiuti che arrivavano da ogni dove in un’enorme confusione. Fu la mobilitazione sociale che riuscì a trasformare quella tragedia e quel pasticcio in una grande occasione, fu l’autorganizzazione che fece nascere i comitati di campo tra le tende che chiesero come prima cosa l’allontanamento dell’esercito. C’era il sostegno di giovani che da ogni luogo della Sicilia e d’Italia accorsero lì, ma c’era soprattutto il lungo percorso di consapevolezza che si era raggrumato intorno le battaglie di Danilo Dolci, e i suoi scioperi della fame, i suoi processi, le sua marce di contadini, i suoi scioperi alla rovescia, fino alla prima radio libera d’Italia, che trasmise nel 1970. Gibellina – la sua resistenza e il suo progetto di ricostruzione – divennero così una grande occasione politica e culturale.

Le radici del ’68 in Sicilia stanno anzitutto nel luglio ’60 e nell’opposizione a Tambroni e all’apertura ai fascisti. Ci furono morti, nelle manifestazioni di piazza, a Palermo e Catania. Erano operai, edili soprattutto, e disoccupati, erano comunisti e socialisti. Erano le “magliette a strisce”, che non si videro solo a Genova. E c’era, per la prima volta, una generazione di giovani studenti.

Il luglio ’60 non è solo la ribellione contro la Dc e Tambroni: è lo sbocco di nuovi fermenti sociali: tra gli anni Cinquanta e Sessanta c’è un mutamento radicale nelle campagne, nasce una nuova economia agricola di mercato, c’è una crescita notevole del settore industria commercio e trasporti e credito; è il tempo in cui si privilegiano gli interventi a “intensità di capitale”. Citiamo Sylos Labini (uno dei più importanti teorici dello “sviluppo del mezzogiorno”, che allora insegnava a Catania): «La Sicilia è in un delicato stadio si transizione, uno stadio intermedio tra la completa arretratezza e un processo di sviluppo capace di sostenersi da sé». Questo “sviluppo” significò a esempio – come “caso” emblematico – la nascita del triangolo di morte Priolo-Melilli-Augusta, attorno il petrolio. Uno “sviluppo” sostenuto da tutto l’arco politico, dalla Dc al Pci, nel convincimento e nell’illusione per l’una che avrebbe rafforzato il consenso nella filiera clientelare del “posto”, per l’altro che la costituzione della “classe” avrebbe comportato di per sé più democrazia. È dalle giornate del luglio ’60 che nasce la generazione siciliana del ’68, che si cominciò a organizzare in circoli, in cineclub, in redazioni attorno nuove riviste, anche di respiro nazionale e che comunque si rapportava e intrecciava a quanto di nuovo nasceva ovunque in Italia. E nel lavoro politico nelle scuole e nelle università. E nelle manifestazioni antimperialiste contro l’intervento americano in Vietnam: nel ’66 a Sigonella c’è un duro picchetto contro gli Usa.

Quella generazione diventa l’ossatura di una contestazione che si sviluppa – nelle tre città universitarie – improvvisa, con le occupazioni, la messa in discussione degli insegnamenti e delle baronie, e della formazione di un “ceto intellettuale” servile al potere e utile al capitale.

L’anno si chiude con la strage di Avola, quando la polizia sparò sui braccianti che chiedevano solo un aumento di duecento lire. Dietro quella lotta c’era stato il ciclo di battaglie che aveva attraversato Lentini e non solo, tutta l’agitazione contro le gabbie salariali, per la dignità e i diritti del lavoro nelle campagne. Una straordinaria generazione di agitatori contadini, spesso colpiti dalla mafia e dai poteri del latifondo e dell’industria agricola. Quella strage ebbe un’eco straordinaria: alla protesta contro la prima della Scala a Milano organizzata dal Movimento studentesco della Statale e della Cattolica, quando si tirarono uova e ortaggi contro le pellicce e il fasto, e alla Bussola di Viareggio a Capodanno, organizzata dagli studenti e dagli operai della Lotta continua di Pisa, quando la polizia sparò di nuovo colpendo e paralizzando il sedicenne Soriano Ceccanti – in quelle occasioni il grido fu: Avola / Avola.



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