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2035: Papà, cosa erano i giornali di carta?

I quotidiani diventeranno «segno di distinzione come i libri, i congiuntivi e le posate d’argento»

di Adriano Todaro - mercoledì 19 febbraio 2025 - 543 letture

Questa domanda del titolo è quella che potrebbero sentirsi rivolgere i genitori di un ragazzino di 10 anni. Immaginiamo un giovane genitore alle prese nel trovare una risposta convincente per il figlio. Una risposta difficile perché anche il genitore, forse, non sa bene cosa fossero i quotidiani cartacei, considerando che anche lui non ne ha maneggiato molti. Quei fogli con impresse parole e fotografie, scomodi da leggere e, soprattutto, che fanno (o facevano) perdere un sacco di tempo. Fogli di carta soppiantati da notizie che puoi avere, gratuitamente, sul telefonino o altro strumento elettronico. Poche righe di titolo, essenziali. L’informazione c’è (?) e, quindi, perché perdere tempo a leggere e sfogliare le pagine di questi vetusti strumenti a pagamento? Il papà, poi, non ha tempo da perdere. Deve correre al lavoro e produrre perché, in caso contrario, la concorrenza soppianta la ditta per cui lavora e il suo posto salta. Poi, dopo essere uscito tardi dal lavoro, deve correre a prendere il figlio e portarlo a basket (se non fa in tempo a portarlo, poi sono scazzi con la moglie), poi, di corsa, deve riportarlo a casa, fargli fare la doccia, i compiti e preparare qualcosa da mangiare perché la moglie è stata costretta a restare al lavoro. Il supermercato dove lavora la moglie, non chiude mai. Quello è il siparietto futurista che ci attende. Ricordando sempre quello che scriveva l’Economist il 25 agosto 2006: «Nel 2043 l’ultima copia di un giornale cartaceo verrà stampata e letta», lanciando un preoccupante allarme: nei prossimi decenni la diffusione della carta stampata è destinata a crollare sotto i colpi di Internet e del disinteresse dei lettori.

D’altronde, le cifre sui quotidiani sembrano proprio andare nel senso previsto dall’Economist. Nel 1990 si vendevano, in Italia, 6,8 milioni di copie di quotidiani, copie che sono diventate 4 milioni nel 2003 e 2 milioni nel 2013. Dal ’90 a oggi, ogni 10 anni le copie vendute si sono dimezzate. Se questo trend continua, mentre nel ’90 il giornale era un oggetto presente in un terzo delle famiglie, sarà un oggetto che tra dieci anni entrerà nell’1,5% dei nuclei familiari del Paese. In media, nel periodo gennaio-giugno 2024, giornalmente, sono state vendute 1,31 milioni di copie, in flessione su base annua del 9% e del 29,4% rispetto al 2020. In questa cifra c’è dentro un po’ di tutto, anche gli abbonamenti. Se però guardiamo soltanto le copie cartacee vendute in edicola, allora sono meno di un milione: 942 mila, con una flessione sul 2023 del 10%.

Coloro che non acquistano più il quotidiano in edicola, non si sono spostati sulle edizioni digitali. Perdono lettori tutti e tre i principali quotidiani italiani. È la fine del giornalismo, almeno come lo intendiamo noi. Un giornalismo fatto di passione per la notizia, per la ricerca della stessa, per la passione del raccontare una vicenda. Un giornalismo fatto di scarpinate a destra e a manca per trovare la notizia e farla conoscere. Quel papà che era in difficoltà a rispondere alla domanda del figlio ritiene che ci si possa informare anche dal telefonino. È vero. Ma cos’è che manca in questo strumento e che, invece, i quotidiani portano? Facciamo un banale esempio. Siamo alla stazione di Milano e attendiamo un treno che viene dal Sud. L’ufficio informazione avverte, attraverso gli altoparlanti, che quel treno che noi attendiamo ha un ritardo di due ore. Fine dell’informazione. Perché ha due ore di ritardo? Non è dato sapere. Non ha funzionato uno scambio? Si è "bucata" una ruota? Il pilota è andato a prendersi un caffè? Boh! Accendiamo freneticamente il telefonino, ma anche su questo importantissimo mezzo di comunicazione non si sa molto. L’indomani, sui quotidiani, invece, sapremo il perché di quel ritardo. Magari qualche quotidiano meno governativo e codino, più coraggioso, scriverà, così come affermato da numerose interviste ai piloti, che la colpa è dello stress che subisce il personale viaggiante. Oppure qualcuno scriverà che non c’è nessuna volontà da parte governativa di finanziare il trasporto pubblico, che ci sono linee ferroviarie nel nostro Paese ancora a un solo binario, che al Sud ci sono in funzione ancora le "littorine" ecc. Se una persona si limitasse all’informazione sul telefonino, l’unica cosa che verrebbe a sapere e poi propagare sarebbe che c’è stato un ritardo di due ore del treno proveniente da Catania. Stop.

Conseguenza della crisi dei quotidiani è la chiusura delle edicole che hanno sempre rappresentato un presidio di democrazia, un punto anche di ritrovo per i piccoli centri dove l’edicolante consigliava questo o quel giornale o, semplicemente, si commentavano le notizie del giorno. Negli ultimi quattro anni sono sparite ben 2.700 edicole, con Isernia che ha visto chiudere oltre un terzo delle sue, Ancona che perde il 30%, Trieste il 31,1% delle edicole. I grossi centri non stanno meglio: Roma ha chiuso 303 edicole, Torino 138, Milano conta, oggi, meno di mille edicole.

Sembra proprio che la profezia di Indro Montanelli si stia avverando. In risposta a un lettore che chiedeva se i quotidiani sopravvivranno alle nuove tecnologie, così rispondeva il 29 novembre 1999: «Penso di sì. Il quotidiano tradizionale è un’invenzione a suo modo perfetta: si piega, si trasporta, si legge, si butta. Non credo sarà facile inventare uno schermo con le stesse caratteristiche e gli stessi costi. I quotidiani come li conosciamo diventeranno però l’abitudine di una minoranza, ancora più ristretta di quella attuale. Il motivo? La concorrenza, sostanzialmente. Sessant’anni fa, quand’ero inviato speciale, l’Italia aspettava i miei articoli per sapere cosa stava accadendo in Finlandia. Oggi qualsiasi avvenimento è "coperto", come si dice in gergo, da televisione, radio, quotidiani nazionali e locali, agenzie, settimanali, mensili, internet e quant’altro. Questo bombardamento di informazioni equivale, spesso, a nessuna informazione... Vuole sapere se sono amareggiato? No, rassegnato. I quotidiani, ho l’impressione, diventeranno un segno di distinzione come i libri, i congiuntivi e le posate d’argento. Verranno molto copiati, molto citati e letti poco. Alcune informazioni specializzate arriveranno via internet, se ho capito cos’è. La massa guarderà un televisore, giocherà con un computer, infilerà una cassetta nel videoregistratore. Non mi stupirei perciò se l’offerta di questi media, sempre in caccia dei grandi numeri, scendesse ancora di livello. Guardi quello che sta accadendo in televisione. I programmi di successo sono, di solito, i più beceri. I prodotti dignitosi piacciono a pochi. Proprio come i giornali, ammesso (e non concesso) che si facciano bene. Perché se si fanno male, non avremo nemmeno quel premio di consolazione».


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