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Donne del futuro

Donne del futuro / Katherine MacLean, Marion Zimmer Bradley, Anne McCaffrey, Kate Wilhelm, Clelsea Quinn Yarbro, Ursula K. Le Guin ; a cura di Pamela Sargent , traduzione di Donatella Ceruti. - Roma : Savelli, 1979. - 194 p., br- ; 18,8 cm. - (Cultura politica. Letteratura ; 231).

di Sergej - mercoledì 14 giugno 2006 - 8674 letture

Il libro è del 1979. Uscito all’interno di una collana di divulgazione (Cultura politica) di un editore allora connotato decisamente nella sinistra (Savelli). Una operazione culturalmente interessante: quella di presentare alcuni racconti che non solo appartenevano a un genere considerato secondario, ma molto amato dai ragazzi/e dell’epoca. Ma soprattutto racconti prodotti da donne nella consapevolezza del distacco che era intervenuto, nel corso della storia della produzione di genere, nel “senso comune”: la fantascienza, nata anche con il contributo delle donne scrittrici (Mary Shelley, il suo “Frankenstein”) era diventata nel corso dell’Ottocento e nel Novecento, patrimonio quasi esclusivo di scrittori bianchi e maschi, appartenenti al mondo anglosassone. Una rigida separazione di ceto e soprattutto di sesso. Certo molto ha influito su questo la tipologia di lettori che, soprattutto nel mondo americano, ha determinato questa restrizione sessuale: lettori maschi, adolescenti, voraci e accaniti fan di riviste e produzioni ai margini della letteratura non solo colta. Non a caso, per le riviste e i racconti degli anni Trenta e fino agli anni Sessanta, si usava il termine pulp, che indicava il tipo di carta ruvida e scandente utilizzato negli USA negli anni Trenta per queste riviste di genere: solo negli anni Novanta (con il successo dei film di Tarantino) il termine è diventato di modo, traslato per indicare la produzione narrativa e filmica contaminata dal fumetto e con il gusto del sangue e dell’esagerazione espressionista.

Negli anni Settanta, complice il clima delle rivendicazioni femministe, il tentativo è stato quello rivendicare un ruolo non solo a questa letteratura di genere ma anche alla produzione delle scrittrici. Individuando fin da allora in Ursula K. Le Guin la migliore scrittrice di genere. Non a caso il libro reca in copertina il titolo: “Ursula K. Le Guin e le altre : Donne del futuro : racconti della nuova fantascienza femminile”. In frontespizio il richiamo scompare, e subito dopo l’elenco delle autrici presenti nell’antologia, appare il titolo reale: “Donne del futuro”. A curare il volume è una intelligente Pamela Sargent (nata nel 1948, ha scritto racconti di fantascienza ma soprattutto si è dedicata alla divulgazione sul contributo delle donne nel genere fantascienza attraverso antologie e interventi saggistici), che scrive una introduzione di ben 47 pagine, e presenta sei racconti. Una scelta intelligente, con cui nello stesso tempo vengono affrontati alcuni temi non solo della fantascienza, ma della letteratura tout court, importanti: il tema dell’identità nel “Contagio” di Katherine MacLean, la maternità e il rapporto tra madre e figlio nel “Popolo del vento” di Marion Zimmer Bradley, l’amore nell’ “Astronave che cantava” di Anne McCaffrey, le emozioni e la virtualità nei rapporti nel mondo tecnologico in “Bambola, sei stata grande” di Kate Willhelm, l’accettazione dei diversi in “Falsa aurora” di Chelsea Quinn Yarbro, la solitudine e la vecchiaia nel “Giorno prima della rivoluzione” di Ursula K. Le Guin.

Una scelta orientata: perché poi accade che nella sovrabbondanza di produzione di genere, soprattutto negli USA dove fino a poco tempo fa è esistito un vasto pubblico per questo tipo di narrativa, si è davvero prodotto di tutto e di diversa qualità - non sempre di buona qualità. Sono sei racconti in cui l’amore viene declinato in diversi modi. L’amore narcisistico verso sé, spezzato / sacrificato dall’amore nei confronti del proprio compagno: in “Contagio” di MacLean il problema che si pone a risolvere la protagonista June è la scelta tra il rimanere fisicamente integre o cambiare, diventare altro ma accettando in questo modo di solidarizzare con i propri compagni.

Il dolore della perdita del proprio uomo in “Astronave che cantava” di McCaffrey: la storia di una donna diventata cyborg, il cervello di una astronave e astronave essa stessa. L’impiego cyborg non spezza il sentimento - tra il materno e il femminile - della donna che si innamora del proprio “braccio” umano. Quando questi muore, deve scegliere tra continuare a svolgere il proprio lavoro o abbandonare tutto facendosi trasportare dal dolore.

Il racconto di Le Guin è tra i migliori: anche qui il tema amore, ma politico. Protagonista è la vecchia Laia: una rivoluzionaria che ripercorre con la memoria la propria vita che da perseguitata politica l’hanno portata a diventare leader e punto di riferimento per le nuove generazioni. Umanissimo, doloroso racconto sulla vecchiaia. La rivoluzione è a portata di mano, è sul punto di scoppiare ma “dopo un’intera esistenza vissuta sperando perché non c’è altro che la speranza, si perde il vero gusto della vittoria. Una vera sensazione di trionfo deve essere preceduta da una reale disperazione. Non c’erano più trionfi. Si tirava avanti” (p. 184). Domina, nel racconto di Le Guin, la dimensione amara più che malinconica, della vecchiaia. Persino il trionfale: “Morire era semplicemente continuare in un’altra direzione” (p. 181) si sfarina nella realtà del corpo vecchio, disfatto. Cui è ormai impossibile qualsiasi contatto con la realtà: la piccola fuga nella città, tra le persone povere - che la “rivoluzione” non ha cancellato - rientra subito. Tra la vecchia Laia e il tempo storico è ormai insanabile il distacco.


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