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Chung Hyeon, un coreano con la racchetta in mano

Il nome Corea è tornato all’attenzione dei media in modo prorompente. I motivi sono di dominio pubblico. Ma la Corea non è solo sinonimo di minaccia nucleare.

di Piero Buscemi - martedì 23 gennaio 2018 - 5217 letture

A guardarlo vengono in mente certi personaggi di contorno nei film cult anni ’70 che, spesso, vedevano protagonisti eroi senza macchia e senza paura che affrontavano schiere di presuntuosi ed arroganti combattendoli solo con le mani ed i piedi in movimento imprevedibile, frutto della sapiente applicazione delle antiche arti marziali asiatiche.

Chung Hyeon usa anch’egli le mani ed i piedi. I piedi per correre come una scheggia impazzita da una parte all’altra della propria metà di campo. Le mani per sferrare colpi micidiali con la sua racchetta ad oltre 140 km/h o per ribattere gli attacchi degli avversari che gli provengono dall’altra parte della rete.

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chung

E dire che Chung si è avvicinato al tennis per contrastare la sua precoce miopia che lo costringe, anche adesso che ha superato i venti anni, ad inforcare costantemente gli occhiali. Lo stile tennistico di questo coreano (del Sud) rispecchia integralmente quello che una ventina di anni fa invase i circuiti di tutto il mondo, con una schiera di palleggiatori da fondo campo che avevano l’obbiettivo di rimandare la palla all’avversario con la maggior profondità possibile e, specialmente, con velocità impressionanti.

Erano gli anni degli allievi di Nick Bollettieri che, oltre a sfornare cecchini statunitensi che facevano viaggiare la palla ad oltre 200 km/h durante i propri turni di servizio, lanciò la moda del rovescio rigidamente a due mani, in barba alle più classiche ed eleganti interpretazioni di questo colpo alle quali ci eravamo abituati, guardando giocare i vari McEnroe, Muster, Sampras, Rafter, tanto per citarne qualcuno. Molti addetti ai lavori, collocano in quel periodo il passaggio tra il tennis come sport di eleganza ed inventiva ad una sorta di braccio di ferro da fondocampo con, sempre meno frequenti, discese a rete.

Certo, certi tennisti del recente passato e del presente, grazie al loro immenso talento, hanno sostenuto la passione di molti tifosi più legati a tecniche tradizionali, nonostante il velocizzarsi del gioco e gli attrezzi sempre più sofisticati e leggeri. Oggi, Federer, Wawrinka, Dimitrov riescono ancora a pareggiare i conti con questo eccessivo progressismo del gioco del tennis che, a volte, ammettiamolo, rischia di rendere uno degli spettacoli più affascinanti di sempre, in una monotona battaglia da fondocampo a chi la spara più forte.

Tornando a Chung, lo avevamo lasciato al Next Gen di Milano, lo scorso novembre, quando in questa sfilata di giovani promesse, aveva sbaragliato gli avversari più accreditati, per aggiudicarsi il torneo battendo in finale il russo Rublev, altra stella nascente di questo sport. La sua vittoria passò in sordina, sia per la natura esibizionista di quel torneo, sia perché le regole provate in quella occasione, atte a trasformare il tennis anche nei circuiti principali ATP, l’avevano fatta da padroni lasciando agli spettatori molti dubbi su queste novità non richieste. Mentre gli organizzatori si preoccupavano di mostrare agli astanti la fantasia delle loro nuove regole, dal punteggio da fissare a 4 per ogni set, alla cancellazione del net nel servizio, al killer point sul 40 pari, molti si chiedevano se non fosse stato invece il caso di alzare la rete di qualche centimetro o, magari, ridurre l’ampiezza di del rettangolo di battuta per limitare gli assoli ed i monologhi del tennista croato Karlovic, abituato a statisticare oltre 50 ace in un incontro, durante le sue giornate ispirate.

Il coreano, nonostante quanto detto, aveva sorpreso tutti, dimostrando un margine di miglioramento imponderabile che, in questi giorni, all’apertura della nuova stagione ATP, con il classico appuntamento con il primo Slam dell’anno australiano, ha dato le risposte a chi a Milano, l’aveva visto come una meteora tutta da verificare.

Ed eccolo, sul terreno più a lui congeniale, senza grosse aspettative da parte degli esperti che, quando lo hanno visto segnato sul tabellone dei sedicesimi di finale contro il ragazzo terribile vincitore di Roma 2017, Alexander Zverev, lo avevano già condannato ad una sonora sconfitta, non solo ha superato quello che molti considerano il futuro numero 1 del ranking, ma si è sbarazzato negli ottavi del redivivo Djokovic, rientrato dopo diversi mesi di assenza e considerato come probabile guasta feste dei due protagonisti del 2017, Nadal e Federer, che avevano deliziato gli occhi nella finale dell’anno scorso.

Sulla strada di Chung nei quarti di finale, adesso c’è un’altra sorpresa di questa edizione, l’americano Sandgren che sta riaccendendo le speranze degli statunitensi di tornare protagonisti in questo sport, dove negli ultimi anni hanno soltanto vivacchiato, consolati dalla Williams in campo femminile, dominatrice assoluta. Sarà una sfida dal risultato incerto, con un leggero vantaggio nei pronostici a favore di Chung. Se dovesse superare anche questo ostacolo, una non così improbabile semifinale con Federer, che dovrà però superare un Berdych esplosivo e tornato ai livelli di qualche anno fa, sarebbe protagonista assoluto di uno scontro generazionale tra due modi distanti di interpretare il tennis. Un passaggio generazione che molti attendono con trepidazione, ma che tarda ad arrivare con tanti giovani, ancora solo promesse non mantenute.


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