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L’isola nell’isola: Sicilia di capperi, mare e adolescenza d’uomini

Abbiamo incontrato lo scrittore Piero Buscemi, autore de L’Isola dei cani (ripubblicato da ZeroBook), Querelle, Apologia di pensiero, Cucunci. Uno stile di scrittura terso dietro cui è la "vita vissuta" di uno scrittore siciliano.

di Sergej - lunedì 10 luglio 2017 - 5881 letture

Abbiamo incontrato lo scrittore Piero Buscemi (Torino, 1965), che ha recentemente ripubblicato un suo breve romanzo presso la casa editrice ZeroBook, “L’Isola dei cani”, e pubblicato l’antologia "Accanto ad un bicchiere di vino: da Li Po a Rino Gaetano". Uno scrittore che, attraverso il suo stile terso distilla le esperienze dell’emigrazione, il rapporto col mare e con l’isola, l’esperienza difficile all’interno della famiglia...

Hai avuto esperienze biografiche piuttosto dolorose, soprattutto all’inizio, che inevitabilmente hanno segnato il tuo modo di scrivere e le tematiche che affronti nei tuoi libri. Sei un "figlio dell’emigrazione", un siciliano nato a Torino...

Diciamo che condivido il destino di tanti “figli dell’emigrazione”. Chi ha superato i 50, come me, è - molto probabilmente - figlio di una generazione che lasciò la Sicilia a metà del secolo scorso, per raggiungere le città del Nord che, in quegli anni, offrivano una opportunità di vita che la Sicilia negava già allora. Queste scelte hanno segnato anche la mia vita, perché sono state scelte di altri. Erano anche i tempi in cui i genitori, ottantenni oggi, erano figli di una società senza mezze misure e compromessi: si nasceva per essere d’aiuto alle famiglie, spesso di origine contadina. Di Ciaula pirandelliani, la Sicilia era piena. Questa situazione ha compromesso i rapporti di famiglia. Non si parlava, e quando lo si faceva, era per dare un ordine da una parte, e un consenso dall’altra. Questi figli una volta diventati genitori non hanno saputo evolvere il rapporto padri-figli, fallito da chi li ha preceduti, finendo spesso per scontare una ripicca sociale per il disagio vissuto a ruoli invertiti. Io in pratica sono vittima di questo circolo vizioso.

Parlami delle cose che hai scritto.

Ho cominciato a scrivere, penso come molti, componendo versi. A quattordici anni, quando acquistai la prima chitarra. Era un modo per abbinare le due arti e dare vita a delle canzoni. Un progetto che ho abbandonato presto per dedicarmi alla scrittura, intesa come letteratura. Ricordo che il primo approccio con un testo narrativo è stato una collaborazione con un amico, una vecchia Olivetti Lettera 45, fogli riciclati di disegno (scrivevamo sul retro) e una storia ambientata nell’America degli anni ‘50. Ho conservato quella decina di fogli che ne sono nati. Nel 1998 mi sono dedicato integralmente al mio primo libro, “Ossidiana”, un libro basato su storie vere unite come una raccolta di racconti, al centro dei quali il protagonista è un uomo di paese che diventa sindaco: esperienza che lo mette in contatto con realtà locali ed umane che non prevedeva. L’uccisione del magistrato Giovanni Falcone e la sua partecipazione ai funerali stravolgerà la sua vita.

Nello stesso anno ho pubblicato una silloge di poesie, “Passato, presente e futuro”, che ho ripubblicato nel 2001 aggiungendo nuove composizioni e con il titolo “Apologia di pensiero”.

Poi nel 2004 è venuto “Querelle”, nato su reminiscenze di vita vissuta a Messina da studente universitario e redattore di una testata giornalistica, realizzata in economia, che portava il nome che ha dato vita al libro. Era il sogno di due adolescenti, il mio e quello del mio amico Vincenzo Tripodo, che è ora regista.

Nel 2008 uscì “L’Isola dei cani”, che rispecchia quanto ti ho detto sulla mia condizione di “figlio dell’emigrazione”.

Nel 2011 è stata la volta di “Cucunci”, la prima esperienza con una raccolta di racconti che, in parte, erano stati pubblicati sulle pagine di Girodivite (www.girodivite.it).

Ma come direbbero gli inglesi, non meno importante è l’antologia di poeti, Accanto ad un bicchiere di vino uscita nel 2016, frutto di una ricerca approfondita sul mondo della poesia internazionale, dall’anno Mille ai giorni nostri. Poesia in tutte le forme, dal sonetto al testo di una canzone e non solo come “poesia” scritta e destinata alla sola lettura.

C’è poi il mio impegno come redattore di Girodivite. Non ti nascondo che spesso sono impegnato su più testi, tra loro molto distanti. Non c’è una regola precisa in tutto questo. Magari mentre sto finendo un capitolo di un nuovo libro, posso prendere una pausa buttandomi su un pezzo giornalistico. Sicuramente la prosa ti consente di prenderti più pause di riflessione e di ripercorrere a distanza di qualche giorno dei passaggi gettati d’istinto. L’articolo di giornale è un esercizio mentale che ti obbliga a far rientrare il tutto, grosso modo, dentro poco più di una pagina A4. Un esercizio che, spesso, mi ritrovo utile quando mi occupo solo di narrativa.

Il mare ha una parte presente nella tua scrittura. Tu stesso hai fatto il pescatore. Raccontaci le tue esperienze, e come sono entrate nella tua scrittura.

Il mare l’ho conosciuto a 8 anni. Avevo avuto un primo contatto qualche anno prima, durante i periodi estivi quando si andava in Liguria da Torino, a svernare la stagione fredda in una delle tante colonie per bambini. Di solito la località era Bergeggi, nel savonese. Ma l’iniziazione ufficiale è avvenuta quando con la famiglia ci trasferimmo a Nizza di Sicilia, vicino Taormina. Un piccolo paese di pescatori che andavo ad ammirare dopo la scuola, vivendo da ventenne l’esperienza delle mani che si induriscono tirando le reti. Davanti al mare ci andavo anche per leggere i libri. L’isola di corallo di Ballantyne era il libro perfetto in quelle occasioni. Quando poi la scrittura si è impadronita di me, le storie di mare hanno ispirato le mie.

Tra i tanti mestieri che hai fatto, c’è stato quello di aiuto pasticciere. Parlaci di questa esperienza. Che rapporto c’è tra l’elemento dolciario, il "fare dolci" e la letteratura?

Stavo frequentando l’università e un’estate un amico mi offrì la possibilità di sostituirlo in un laboratorio di pasticceria per un mese, poiché doveva recarsi all’estero in vacanza. Al suo ritorno il titolare mi propose di rimanere. Vivevo già al di fuori della famiglia d’origine e mi occorrevano i soldi per mantenermi agli studi, quindi accettai. La mia esperienza con quel mondo di creme, impasti, dosi e tempi di cottura è sempre stata in contrapposizione con i dogmi ristretti dei ricettari. Preferivo sempre personalizzare le ricette, in base al mio istinto ed a precedenti tentativi fatti a casa. È quanto poi si è manifestato anche con la scrittura. Sono sempre attratto da una ricerca più approfondita dell’utilizzo delle parole, anche storpiando il loro utilizzo tradizionale. modellandole e modificandole secondo una personale ispirazione. Se gli Arabi hanno dato tanto alla Sicilia, e non solo, in materia di cultura, di architettura, ma anche di culinaria, è stato anche per il loro azzardo che li ha spinti ad inventare l’agrodolce, oggi emblema della cucina siciliana. Nella scrittura, mi piace abbinare "ingredienti" che, apparentemente, sembrano contrastare con il "piatto" finale.

C’è un episodio importante, determinante della tua vita. Che ha condizionato anche la tua scrittura. Il tuo rapporto con tua madre e con tuo padre.

Il rapporto con la famiglia d’origine segna spesso il resto della propria vita. E’ più di un luogo comune, che vuole le esperienze dell’infanzia e dell’adolescenza come motore trainante delle scelte future. Certi episodi vissuti condizionano le proprie reazioni, i propri comportamenti ed anche le tracce d’ispirazione, se ci si cimenta con la scrittura. Senza dubbio quanto ho vissuto nelle mura domestiche, è entrato in parte nei miei libri, pur sforzandomi a non monopolizzare le mie storie con vicende troppo personali. Quando cominciai a scrivere ero convinto che le esperienze intimiste fossero esclusive e forse uniche, rispetto a quelle degli altri coetanei. Col tempo, ho constatato che ognuno ha un bagaglio di vicissitudini personali, degne di essere raccontate in un libro. Sì, ci sono stati episodi della mia infanzia che possono ritenersi importanti e che hanno condizionato il mio stile di scrittura, ma preferisco tenerle per me, magari lasciando ai lettori la possibilità di immaginarli tra le righe dei miei libri. Pensi veramente che dovrei raccontare del tentato omicidio, operato da parte di mio padre nei confronti di mia madre, che gli costò una condanna a due anni e mezzo di carcere? O di una minaccia nei miei confronti con un grosso cacciavite, che ferì mia madre ad una mano nel tentativo di difendermi? Ci sono particolari della propria vita che è meglio lasciare dietro l’angolo, altrimenti neppure la scrittura sarebbe possibile.

Il tuo stile, che non è certamente né piano né liscio, ma increspato, inquieto, mostra proprio quest’uso della letteratura, della scrittura, che prova a domare una realtà posta dietro l’angolo che non è solo banalmente inquieta. Il tuo rapporto con la Sicilia, con la tua città.

È il rapporto che molti siciliani sono costretti ad inventarsi per giustificare questa spada di Damocle che ci si trascina per tutta la vita, anche questa scelta da altri ovvero dai propri genitori che ci hanno procreato. Semplicistico accodarsi al luogo comune amore-odio. Mi viene in mente la barzelletta che racconta di un perplesso Pietro che va dal Signore a sollevare i suoi dubbi sul fatto che Dio avesse creato la Sicilia circondata di mari stupendi e ricchi di pesce, monti imponenti che offrono innumerevoli frutti, pianure coltivabili di immensa bellezza, isolette selvagge attorno e poi quell’Etna maestosa, ad accendere l’intera isola. Insomma, un’isola troppo bella, troppe bellezze concentrate in un unico punto. A tali perplessità il Signore risponde: “Non ti preoccupare, Pietro, ci ho messo anche i siciliani…”. Come dire, c’è un contrappasso...

Chi sono i tuoi autori preferiti, gli scrittori che in un modo o nell’altro ti hanno più influenzato?

Devo ammettere che la mia passione per la lettura è nata con gli autori d’oltre confine. Cominciai a sette anni con “I viaggi di Gulliver” regalatomi dal mio insegnante delle elementari, per passare al fantastico “L’isola di corallo” di Robert M. Ballantyne. Trascorsa l’infanzia tra le pagine di Dickens, Hugo, Hemingway, nell’adolescenza mi sono fatto catturare da Pirandello, Leopardi, Quasimodo tra gli italiani, e Jack Kerouac, Henry Miller, Jean-Paul Sartre e Albert Camus tra gli stranieri. Mi piace leggere Philip Roth, Borges, Saramago, ma anche gli italiani Calaciura, Pippo Fava, Dacia Maraini, Camilleri quando non scrive Montalbano e, quello del quale non perdo un libro, Erri De Luca.


Piero Buscemi

piero buscemi 130px Piero Buscemi è nato a Torino nel 1965. Redattore del periodico online www.girodivite.it, ha pubblicato : "Passato, presente e futuro" (1998), "Ossidiana" (2001), "Apologia di pensiero" (2001), "Querelle" (2004), "L’isola dei cani" (2008, ripubblicato nel 2015 presso ZeroBook), "Cucunci" (2011), "Ossidiana" (ed. 2013). Vincitore di diversi premi letterari, alcuni suoi racconti e poesie sono contenuti in alcune antologie nazionali. Il romanzo "Querelle" è stato tradotto in inglese e pubblicato dalla Pulpbits Press (Stati Uniti).

Ha curato l’antologia di poesie "Accanto ad un bicchiere di vino" (ZeroBook, 2016) da Li Po a Rino Gaetano; mentre "Parole rubate" (ZeroBook) è una antologia di articoli pubblicati su Girodivite, suoi e di altri autori.

È tra i fondatori dell’Associazione culturale "Aromi Letterari" di Messina. Sostenitore Emergency, collabora con l’Avis (donatori sangue) ed è promotore delle iniziative di ActionAid Italia.



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