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Quel giorno a Superga. La tragica fine del Grande Torino

di Orazio Leotta - giovedì 4 maggio 2017 - 5265 letture

Correva il campionato 1948-49 e il Torino del presidente Ferruccio Novo si apprestava a conquistare il sesto scudetto della storia granata, il quinto consecutivo. Una squadra zeppa di campioni che riforniva gran parte delle selezioni della Nazionale maggiore dell’epoca. Un team reclamato da ogni parte d’Italia e d’Europa per disputare amichevoli prestigiose, fonti di sicuro incasso oltre che vessillo da poter sbandierare. A inizio torneo, ad esempio, il Milan che aveva da poco acquistato l’islandese Gudmundsson e l’irlandese Sloan per attrezzarsi così a cercare di interrompere l’egemonia granata volle gareggiare in precampionato contro i pluricampioni d’Italia (nell’occasione vinse il Torino 3-2).

Ma anche singolarmente i giocatori granata erano appetiti e invitati a far parte di selezioni internazionali per amichevoli di prestigio. In una di queste a Valentino Mazzola, il capitano di quello squadrone, fu strappata la promessa che il Grande Torino avrebbe raggiunto Lisbona in primavera per celebrare l’addio al calcio giocato di Francisco Ferreira, capitano del Benfica, che versava in precarie condizioni economiche. Sia il presidente Novo che l’allenatore Lievesley non furono molto contenti della proposta e presero tempo ma l’insistenza del capitano alla lunga ebbe la meglio e si arrivò a una mediazione: se nella decisiva partita del 30 aprile a Milano contro l’Inter (diretta inseguitrice) il Torino non avesse perso e mantenuto così inalterato il vantaggio, allora si poteva autorizzare la trasferta in terra lusitana. La gara di San Siro finì 0-0 e il Torino, a quattro gare dal termine, di cui tre da giocare tra le mura amiche, manteneva i quattro punti di vantaggio sull’Inter (in un’epoca in cui la vittoria valeva due punti e non tre): in pratica era virtualmente ancora Campione d’Italia.

Il Torino volò così a Lisbona e giocò contro il Benfica martedì 3 maggio. Il terzino sinistro Maroso, sia pur infortunato, si volle aggregare comunque alla comitiva e così come era accaduto a San Siro il suo posto sul terreno di gioco lungo l’out di sinistra venne preso da Martelli. Il presidente Novo, acciaccato dai postumi di una broncopolmonite era rimasto a Torino, erano comunque presenti i dirigenti Agnisetta, Bonaiuti e Civalleri. Al completo lo staff tecnico: accanto a Erbstein (Direttore Sportivo) e Lievesley (il coach) perfino il massaggiatore Ottavio Cortina, solitamente riluttante alle lunghe trasferte perché atterrito dai viaggi in aereo. Nonostante si trattasse di un’amichevole, anche i quotidiani sportivi avevano inviato le loro prime firme. Per Tuttosport c’era Renato Casalbore fondatore del giornale, per La Stampa Luigi Cavallero, grande esperto di calcio e per La Gazzetta del Popolo Renato Tosatti. Il celebre radiocronista Nicolò Carosio non fece parte della spedizione perché bloccato dalla Cresima del figlio.

un undici del Grande Torino

Il Torino venne battuto per 4-3 dal Benfica. I disagi del lungo viaggio erano evidenti, i torinisti avevano fra l’altro, non dimentichiamolo, giocato solo due giorni prima una delicatissima gara di campionato, tuttavia la squadra era riuscita a offrire un buon spettacolo di calcio al pubblico portoghese. I granata passarono in vantaggio con Ossola, furono raggiunti da Melao, quindi i portoghesi allungarono con Arsenio; riequilibrò il risultato Bongiorni, ma Melao riportò subito in vantaggio il Benfica. Primo tempo: 3-2 per i portoghesi. Nella ripresa segnò il quarto gol Rogerio e un minuto prima della fine accorciò le distanze Menti su calcio di rigore. Questa la formazione granata scesa in campo, l’ultima del Grande Torino: Bacigalupo, Ballarin, Martelli, Grezar, Rigamonti, Castigliano (Fadini), Menti, Loik, Gabetto (Bongiorni), Mazzola, Ossola.

Fu una brutta primavera, non solo dal punto di vista meteorologico, quella del ’49. Il 4 maggio, il giorno del rientro della comitiva granata dalla trasferta in terra lusitana, una pioggia fitta, incessante, stava martellando Torino. Il Piemonte era in stato di allarme, c’era il rischio di un alluvione. L’aereo, un trimotore Fiat G 212, che doveva atterrare a Malpensa ove ad attendere la comitiva granata era pronto il “Conte Rosso” ovverosia il pullman che la squadra usava per le trasferte, viene, per un ripensamento del pilota - scelta destinata purtroppo a rimanere senza spiegazione e colma di interrogativi - destinato ad atterrare all’aeroporto di Caselle. Il tempo non è ideale ma il volo procede benissimo e l’atterraggio è imminente ma alle ore 17.03 di quel mercoledì 4 maggio il G 212 s’immerge in una gran nube che sovrasta le colline torinesi. Trascorrono pochi istanti e avviene l’orribile schianto. Tradito dagli strumenti di bordo, il pilota non si accorge di volare diritto contro la scarpata della Basilica di Superga.

Nell’immane urto, l’aereo esplode come una bomba. Ai primi soccorritori si presenta uno spettacolo orripilante. Membra umane sono sparse tutte attorno ai resti dell’apparecchio. Identificare i cadaveri è quasi impossibile. L’impavido Vittorio Pozzo, ex CT della Nazionale italiana due volte vincitrice della Coppa Rimet, si prende a cuore questo compito pietoso. Con lui Giusti, il ragioniere del Torino Calcio e Rabezzana, un tifoso amico della squadra. Quest’ultimo era riuscito a risalire ai nomi frugando anche nelle tasche dei pantaloni ritrovati. Il primo a essere identificato fu Ossola mentre Rigamonti fu identificato grazie ad un anello. Era già notte fonda e ancora mancavano all’appello Maroso e Martelli. Giusti e Rabezzana con l’aiuto di una fiaccola artificiale rimasero tutta la notte fino all’alba nel tentativo di rinvenirne i corpi.

Di colpo la notizia della sciagura si abbatte sull’Italia e sul mondo. Per tutti è cordoglio e pena. Non era mai accaduto che un’intera squadra perisse a quel tragico modo. Un bilancio terribile. La città di Torino e l’Italia perdono diciotto fra i migliori atleti che vantasse il nostro calcio. Un’intera generazione decapitata e grave fu la perdita anche nell’ambito del giornalismo. Il Torino era da tempo una delle migliori squadre del mondo e stava sostituendosi alla Juventus nel tifo degli italiani. In Valentino Mazzola vedevano tutti il meglio del nostro calcio sopravvissuto alla guerra. Doveroso ricordare i nomi degli scomparsi. Giocatori: Valerio Bacigalupo (25 anni), Aldo Ballarin (27), Dino Ballarin (23), Emilio Bongiorni (28), Eusebio Castigliano (28), Rubens Fadini (21), Guglielmo Gabetto (33), Ruggero Grava (27), Giuseppe Grezar (31), Ezio Loik (29), Virgilio Maroso (24), Danilo Martelli (25), Valentino Mazzola (30), Romeo Menti (29), Pietro Operto (22), Franco Ossola (27), Mario Rigamonti (26), Julius Schubert (27). Tecnici: Ernest Egri Erbstein (51 anni), Leslie Lievesley (38), Ottavio Cortina (52). Dirigenti: Riccardo Agnisetta (56 anni), Ippolito Civalleri (66), Andrea Bonaiuti (35). Giornalisti: Renato Casalbore (58 anni), Luigi Cavallero (42), Renato Tosatti (41). Equipaggio: Pier Luigi Meroni primo pilota (34 anni), Cesare Biancardi secondo pilota (35), Antonio Pangrazzi capo marconista (42), Celeste D’Inca motorista (43).

cartolina commemorativa

Fu proclamato il lutto nazionale. Nell’atrio di Palazzo Madama venne preparata la camera ardente: trentuno bare bianche fianco a fianco. Carabinieri in alta uniforme rendevano onore al Torino. In pratica Palazzo Madama raccolse una intera città che volle rendere l’ultimo saluto alla squadra più amata. I tram si svuotavano in Piazza Castello e la folla premeva per entrare nella camera ardente. I funerali celebrati giorno 6 maggio furono trasmessi dalla radio. Le bare furono caricate su autocarri ricoperti dal tricolore; sui fianchi degli automezzi c’erano i nomi appuntati ai drappi neri.

La Federcalcio proclamò il Torino campione d’Italia (la quinta volta consecutiva), Ferruccio Novo mandò in campo i boys per le ultime partite (lo stesso fecero le avversarie Genoa, Sampdoria, Fiorentina e Palermo) ugualmente vinte. Ricevette indennizzi assicurativi e sovvenzioni con i quali decise di rifare, in verità molto frettolosamente nonché caoticamente, la squadra ma senza molta fortuna. Le nuove carte federali gli vengono incontro consentendo alle società di acquistare tre giocatori esteri ciascuna. Ma i tempi iniziano a mutare troppo in fretta e nulla sarà più come prima: dopo tante frustrazioni patite, economiche e sportive, le tradizionali rivali e cioè Juventus, Inter e Milan si trovarono ad avere il sopravvento in campionato. Il Torino dovrà attendere infatti 27 anni per primeggiare nuovamente in campionato, cosa che avvenne nella stagione 1975-76, quella dei gemelli del gol Pulici-Graziani, agli ordini di Gigi Radice.


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