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Ma la mia fotografia è un atto di egoismo

Intervista a Alberta Dionisi, fotografa e romana, attiva a Catania

di Stefania Chirico - mercoledì 14 dicembre 2016 - 9792 letture

Ho avuto il piacere di incontrare e conoscere Alberta Dionisi a Palazzo Minoriti, in occasione della manifestazione, ormai giunta alla sua VIII edizione, “Natale ai Minoriti 2016”, Bottega Dell’Artigianato Artistico. Dove gli artigiani espongono le loro produzioni dal 8 dicembre 2016 al 8 gennaio 2017, tutti i giorni dalle 10:00 alle 21:00.

Per onestà vi dico che è stata la mia prima intervista e con lei il tutto si è trasformato in una affabile conversazione con un’amica.

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Alberta, ci racconti la sua storia. Come si è appassionata alla fotografia?

Sono nata a Roma, mio padre era romano. Ha iniziato a lavorare a Catania nel 1957, all’inizio noi stavamo a Roma e lui faceva avanti e indietro per motivi di lavoro. Negli anni Sessanta tutta la famiglia si trasferisce a Catania rimanendo per sempre qua. Infatti considero la Sicilia la mia terra.

Mi sono nutrita di arte visiva da sempre, perché a casa mia c’era la cultura della fotografia, fotografie non messe sui tavoli ma appese alle pareti intese come un modo estetico. Mio padre ne coltivava l’hobby ma non faceva questo come mestiere. Il mio maestro spirituale è stato mio cognato, il marito di mia sorella. Ero piccola e lui mi parlava spesso di questo mondo meraviglioso della fotografia. Il rapporto con la macchina fotografica è stato immediato anche se la mia prima macchina risale agli anni Ottanta e le mie prime fotografie agli anni ’83, ’84.

Quali sono stati i suoi primi scatti

I miei primi soggetti erano le persone poi ho iniziato a perderle per la strada, preferendo ambienti dove le persone non esistevano e se c’erano erano delle identità anonime, irriconoscibili. Dal momento in cui non sono identificabili diventano un universale di persona, un assoluto non quell’uomo o quella donna.

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E ora…

Dipende dai momenti. A volte mi faccio portare da situazioni esterne che mi trasmettono la bellezza. Una situazione, un ricordo e allora fotografo una panoramica che può essere di tipo naturale o metropolitano.

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A volte, immersa nei miei pensieri, parlo con me stessa e allora lì entro nei dettagli, nelle ombre, nelle figure geometriche dove sono più io.

Per lavorare porta con se sempre la macchina fotografica per cogliere lo scatto perfetto oppure gira per cercarlo

All’inizio andavo vagando alla ricerca di qualcosa, poi no. La macchina la porto sempre con me, piccola o grande che sia perché devo avere la possibilità di cogliere quel momento, quel particolare. Non vado di proposito a fare delle foto. Gli scatti più belli sono nati spontaneamente, non perché ho colto l’attimo. Nella mia fotografia non esiste la visione dell’immagine in questo senso. Le mie sono fotografie di pensiero, sono la negazione del cogliere l’attimo. Devo far coincidere l’esterno con l’interno e tutto questo ha bisogno di un ragionamento. Infatti devo farle da sola, devo estraniarmi dal contesto dove mi trovo.

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Come definisce la sua fotografia

Una fotografia che riflette me stessa, senza dubbio. Per me, e lo dico spesso, fotografare è un atto di egoismo che necessita di solitudine e isolamento ma che si riscatta nel momento in cui viene restituito all’esterno come immagine dentro la quale ognuno può riconoscere parte di se stesso. In quel momento la fotografia cessa di appartenermi e di rappresentarmi e diventa degli altri . Anche per questo è importante stampare le fotografie: una foto è veramente tale quando è su carta e può appartenere a chi in essa si è riconosciuto..

Nelle sue fotografie c’è quasi sempre Catania, una Catania pulita e piena di colore…

Io sono una malata di colore, penso a colori, sogno a colori. Una volta un signore mi chiese cosa stavo facendo, trovandomi in una zona di Catania poco frequentata, io risposi: “sto fotografando quella che è per me la città più bella”. Io vedo attraverso la mia macchina fotografica solo la città non quello che sta dietro, e la città c’è. La bellezza sta dentro noi e se si vedesse spesso la gente si abituerebbe.

Com’è il mercato a Catania? Ha progetti per il futuro?

Il mercato della fotografia a Catania è ancora da costruire, non sono molti quelli che la riconoscono come arte. Io cerco di fare dei prezzi bassi in modo da facilitare la diffusione e la conoscenza, specialmente tra i più giovani, anche se così diventa più facile morire, piuttosto che vivere, di questo mestiere... Ho uno studio in via Auteri, aperto tutti i giorni il pomeriggio. Non ho per adesso in programma mostre o esposizioni, alle mostre non credo tanto, preferisco il contatto con il pubblico.

Dopo questa intervista sono uscita da Palazzo Minoriti e percorrendo via Etnea ho pensato che la città che abito è bella, bisognerebbe amarla e vederla a colori come la fotografia di Alberta Dionisi.


Puoi visitare il sito di Alberta Dionisi, oppure andarla a trovare a Catania, in via Auteri 38. - Sue fotografie sono apparse tra l’altro su DDF (n.4, giugno 2013). Collabora con l’agenzia WabiMedia

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Mostre/Exhibitions

– “Eppure soffia ancora”, Catania, Circolo Città Futura, 2011 (personale)

– “Tra presenza e assenza”, Catania, Cortile Capuana, 2009 (bi-personale)

– “Sicilia”, Villlafranca Tirrena (Me), 2009 (collettiva)

– “Lo sguardo oltre”, Catanzaro, 2009 (collettiva internazionale)

– “La memoria del segno”, Bagnacavallo (RA), 2008 (collettiva)

– “Le città invisibili”, Catania, Circolo Città Futura, 2013 (personale)

– ”Se di tant’acqua”, Catania, Palazzo Platamone, 2014 (bi-personale)

– “Catania e dintorni”, Catania, Ostello degli Elefanti, 2015 (personale)

Pubblicazioni/Books

– “Paperwalls”, Blurb, 2008

– “Se di tant’acqua”, immagini di Alberta Dionisi e Salvo Trombetta; testi di Santino Mirabella. Ed. Arianna, 2013.



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