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Il "Fedro" di Platone

Introduzione al "Fedro"

di Pina La Villa - mercoledì 19 dicembre 2012 - 16615 letture

I dialoghi di Platone

Introduzione al "Fedro"

Il Fedro é una delle opere più famose di Platone sia perché dal punto di vista filosofico rappresenta una pietra miliare nella storia del pensiero , in quanto viene descritta la sorte delle anime dopo la morte e si accenna alla dottrina delle idee , sia perché è uno di quei dialoghi artisticamente ben riusciti , che il lettore prova piacere nel leggere . Le tematiche trattate in quest’ opera sono varie e complesse , ma la prima che possiamo ravvisare é l’ argomentazione in favore dell’oralità con un mito di ambientazione egizia, simbolo per i Greci di una grande civiltà: il protagonista è Teuth , divinità della scrittura e della saggezza. Egli è un inventore dalle grandi abilità e presenta le sue scoperte al faraone che le promuove sempre con entusiasmo ; quando però Teuth propone l’invenzione della scrittura, spiegando che serve a ricordare, il faraone non approva, sostenendo che, al contrario, sortirebbe l’effetto opposto: mettendo le cose per iscritto , infatti, non è più necessario ricordarle . Proprio nel ricordare consisteva la sapienza: le posizioni del faraone possono un po’ identificarsi con quelle di Platone , che sostiene che la vera filosofia sia quella orale . E’ un’evidente difesa dell’oralità mediante un mito platonico, inventato di sana pianta, cosa che per altro Platone faceva spessissimo. Può sembrare strano che un filosofo, che per definizione è chi cerca di dare spiegazioni razionali e scientifiche, si serva del mito, che non è nient’altro che una spiegazione fondata sulla tradizione e sulla religione: la verità è che per Platone il mito è una cosa al di fuori del comune, che ha ben poco a che fare con la tradizione. Egli sapeva bene che l’argomentazione razionale era migliore, ma sapeva altrettanto bene che un mito, una favola o una metafora possono sortire ottimi effetti : stimolano la fantasia, divertono e restano meglio impressi. Platone se ne serve dunque come arma impropria dell’intelletto . Inoltre è convinto che si possa dimostrare l’immortalità dell’anima, ma non razionalmente: si serve cosi’ di miti esplicativi, detti escatologici: non a caso si parla di "fede razionale" di Platone . Egli sfrutta inoltre i miti per descrivere particolari livelli della realtà: aveva in mente come una scala che vedeva il suo fulcro intorno all’essere, che corrispondeva al pieno livello di conoscenza ( è pienamente conoscibile solo una cosa che è , che esiste pienamente ) : più ci si allontana dall’essere ( sia più in alto , sia più in basso ) e più la conoscenza diventa inferiore. Una cosa non pienamente conoscibile non è pienamente razionale ed il modo migliore per parlarne è il mito . Un mito molto interessante è quello della " biga alata " , raccontato nel "Fedro" : Platone tratta qui un argomento non pienamente raggiungibile con la ragione ( dice esplicitamente : " spiegare come é l’ anima richiederebbe da ogni punto di vista un’ esposizione assolutamente divina e lunga , mentre dire a che cosa essa assomiglia si addice a un’ esposizione umana e più breve " ) , anche se il nucleo è alquanto razionale : racconta dell’esistenza dell’anima e dell’incarnazione . Per Platone l’anima è come una biga trainata da cavalli alati : essa è composta da tre elementi : un auriga e due cavalli . Nell’esistenza prenatale le anime degli uomini stavano con quelle degli dei nel cielo, con la possibilità di raggiungere un livello superiore, l’iperuranio, una realtà al di là del mondo fisico che si riconnette alla celeberrima teoria delle idee secondo la quale vi erano due livelli di realtà: il nostro mondo e le idee. L’auriga rappresenta l’elemento razionale, mentre i cavalli quelli irrazionali: ciò significa che la nostra anima è per Platone costituita da elementi razionali ed irrazionali. Dei due cavalli , uno, di colore bianco , è un destriero da corsa ubbidiente e con spirito competitivo , l’altro , nero , è tozzo, recalcitrante ed incapace : compito dell’auriga è riuscire a dominarli grazie alla sua abilità e alla collaborazione del bianco. Il nero si ribella all’auriga (la ragione)e rappresenta le passioni più infime e basse, legate al corpo. Il bianco rappresenta le passioni spirituali, più elevate e sublimi. Significa che non tutti gli aspetti irrazionali sono negativi e che è comunque impossibile eliminarli: si possono solo controllare con la "metriopazia", la regolazione delle passioni . E’ una metafora efficace perché è vero che guida l’auriga , ma senza i cavalli la biga non si muove: significa che le passioni sono fondamentali per la vita . Sta anche a significare che soltanto alla parte razionale, in quanto dotata di sapere, spetta il governo dell’anima. Anche le anime degli dei hanno i cavalli , ma solo bianchi . Lo scopo è arrivare all’altopiano dell’ iperuranio , dal momento che lassù si trova il nutrimento adatto alla parte migliore dell’ anima e grazie al quale l’ anima riesce a volare : gli dei non incontrano particolari difficoltà , mentre le bighe delle anime umane hanno seri problemi perché si creano ingorghi ed i cavalli neri tendono a volare nella direzione opposta, verso il basso , ossia verso le cose terrene e sensibili , meno preziose . Accade spesso che le ali dei cavalli si spezzino e la biga precipiti sulla terra : questa è l’incarnazione . Una volta arrivato sulla terra , l’uomo non si ricorda più dell’altra dimensione , e vive con nostalgia : la vita dell’uomo non è nient’ altro che un tentativo di tornare a quella situazione primordiale e le vie da percorrere per raggiungerla sono due: a ) la prima via é costituita dalla filosofia , che ci consente di vedere le ombre di quel mondo splendido (viene qui introdotto il concetto di " reminescenza " , che verrà poi approfondito in dialoghi quali il "Fedone " e il " Menone " ) , di cui quello terreno è solo un’imitazione : é necessario che l’ uomo riconduca le realtà sensibili , mutabili , mortali e molteplici , alle rispettive idee , immutabili , perenni e unitarie : " Bisogna infatti che l’ uomo comprenda in funzione di quella che viene chiamata Idea , procedendo da una molteplicità di sensazioni ad una unità colta con il pensiero . E questa è una reminescenza di quelle cose che un tempo la nostra anima ha visto quando procedeva al seguito di un dio e guardava dall’alto le cose che diciamo che sono essere , alzando la testa verso quello che é veramente essere " ; b ) la seconda via è costituita dalla bellezza : si tratta di una via più semplice , che fa nascere l’amore ; se ha la meglio il cavallo bianco guidato dall’auriga l’amore assumerà connotazioni sublimi , se vincerà quello nero sarà un amore puramente fisico . Ma in che cosa consiste l’ amore e perché nella persona amata si vede qualcosa di speciale , di bello che fa sì che la si ami e che la si voglia tutta per sé ? Platone per rispondere a questa domanda tira in ballo il bello in sé ( l’ idea del bello ) : "la Bellezza splendeva tra le realtà di lassù come Essere . E noi , venuti quaggiù , l’ abbiamo colta con la più chiara delle nostre sensazioni , in quanto risplende in modo luminosissimo ( ... ) : solamente la Bellezza ricevette questa sorte di essere ciò che è più manifesto e più amabile " : le anime migliori hanno un trasporto di gioia quando vedono nelle cose sensibili l’ immagine dell’ idea che stanno cercando ; perciò chi cerca l’ idea del bello é preso dalla passione per gli esseri in cui scorge la bellezza e il raggiungimento dell’ idea del bello non è che un approfondimento di questo amore ; la bellezza è una delle tante idee e , a differenza della altre , filtra facilmente nel mondo sensibile perché è coglibile per tutti grazie ad un senso , la vista : proprio nel Fedro Platone dice che l’ amore è " la mania per la quale qualcuno , vedendo la bellezza di quaggiù e ricordandosi di quella vera , mette le ali e così alato arde dal desiderio di levarsi in volo , ma non riuscendovi , guarda verso l’ alto come un uccello senza curarsi di quanto avviene quaggiù e guadagnandosi in tal modo l’ accusa di essere pazzo " ; per Platone chi ama in modo puro arriva addirittura a vedere nella persona amata un barlume di divino , perché infatti coglie in essa l’ idea del bello , una realtà sovrasensibile e divina ed è preso dal desiderio di trattare l’ amato come un essere divino : " chi è stato iniziato recentemente e chi ha a lungo contemplato le visioni passate , quando vede un bel volto di aspetto divino , che imita bene la bellezza , o un bel corpo , per prima cosa ha un fremito e qualcuno dei timori passati si insinua in lui . Quindi lo guarda e lo onora come un dio e , se non temesse di apparire completamente folle , offrirebbe sacrifici all’amato come a una statua sacra o a un dio " . Poi, come é naturale che avvenga dopo il fremito , alla vista di quello , un cambiamento un sudore e un calore insolito si impadroniscono di lui . Egli , infatti , ricevuto l’ effluvio della bellezza attraverso gli occhi , si riscalda e così l’ ala viene irrorata . Secondo Platone per gli occhi degli innamorati intercorre un fluido che scorre fino al punto dove le ali dei cavalli s’erano spezzate cosi’ che si ricreano e si può tornare alla dimensione primordiale : il liquido che viene a contatto con l’ala spezzata le dà nuovo vigore facendola rispuntare ; proprio quando essa sta ricrescendo, esattamente come i primi denti che spuntano, fa soffrire . Quando si è vicini alla persona amata , contemplandola scorre nuovo flusso che fa passare il dolore dell’anima alimentandola. Quando si è lontani dalla persona amata, invece, non arrivando più il flusso, le ali si inaridiscono e si seccano, accentuando il dolore e la sofferenza . Quindi l’innamorato farà di tutto per vedere il più spesso possibile la persona amata e solo in sua presenza starà bene . Il concetto di amore platonico che abbiamo oggi deriva dal medioevo e non è completamente corretto in quanto i Medioevali credevano che per un innalzamento spirituale non ci dovesse essere amore fisico ; per Platone c’è una scala gerarchica dell’amore : nei gradini più bassi si trova l’amore fisico, ma per arrivare in cima ad una scala bisogna percorrere tutti i gradini . Per Platone l’anima ed il corpo hanno caratteristiche opposte : l’una è spirituale e legata all’Iperuranio ( ed é immortale ) , alla dimensione delle idee , mentre l’altro è puramente materiale , affine al mondo sensibile e terreno , e soprattutto è mortale . Mentre il corpo spinge l’uomo a cercare piaceri sensibili e di livello basso , l’anima lo induce a cercare piaceri sublimi e spirituali . Va senz’altro notato come Platone riprenda la teoria dei Pitagorici ( e degli Orfici ) secondo la quale il corpo è la prigione dell’anima ( si giocava sulla parola greca "soma" che indica il corpo e "sema", che indica invece la prigione). Il contrasto anima-corpo lo si affronta anche da un punto di vista gnoseologico: il corpo talvolta ci aiuta a conoscere , talvolta ci ostacola: se si disegna un triangolo rettangolo e ci si ragiona, da un lato può essere un aiuto per passare all’astrazione e passare all’idea di triangolo, che è ben diversa dal triangolo disegnato che è solo un’imitazione mal riuscita, dall’altro può essere un ostacolo se ci si limita a ragionare su quel singolo triangolo senza passare al livello di astrazione . Platone è assolutamente convinto dell’ immortalità dell’ anima ; nel " Fedone " egli dimostrerà in modo approfondito le sue tesi , qui nel Fedro , invece , abbozza qualche argomentazione : l’ anima per definizione é movimento allo stato puro ed é piuttosto evidente il fatto che immortale é ciò che si trova ad essere in continuo moto ; ma non si tratta di un moto qualunque : anche le cose mortali , infatti , si muovono , in quanto mosse da altro , ma nel momento stesso in cui il moto si esaurisce esse cessano di vivere . Il moto di un ente immortale deve essere quindi perenne e l’ ente stesso deve esserne la causa ; più precisamente , esso deve essere la causa del moto anche per tutte le altre cose che si muovono ( e che in quanto messe in moto sono destinate a morire ) : ciò che è immortale si trova quindi ad essere anche principio ed é chiaro che un principio , per essere tale , non deve essere generato , bensì deve essere " causa sui ", perché se il principio stesso é ciò che dà la vita ( il moto ) a tutte le altre cose , è evidente che se nascesse dovrebbe nascere da un principio e quindi non sarebbe più lui il principio . E dato che il principio è ingenerato ne deriva anche che è incorruttibile perché se morisse nulla potrebbe più nascere ( tutto infatti nasce dal principio ) e neanche lui stesso potrebbe rinascere da altro , perché tutto nasce dal principio ( che è lui ) . Tutto questo discorso del principio chiaramente va riferito all’anima , che è , come per i cristiani , immortale , incorruttibile , ma a differenza della concezione cristiana , è ingenerata . Il corpo , invece , di per sé è inanimato e se durante il corso della nostra vita lo possiamo muovere è solo grazie all’anima , la quale è appunto puro movimento . Ritornando alla visione platonica dell’ amore , la principale differenza tra l’amore di oggi e quello dei tempi di Platone è che al giorno d’oggi abbiamo in mente un amore " bilanciato " , biunivoco , dove i due amanti si amano reciprocamente ; ai tempi di Platone era univoco , uno amava e l’altro si faceva amare ; ecco perchè per tutto il Fedro ci si chiede se sia meglio compiacere chi non ama piuttosto che chi ama , come se non potesse accadere un amore dove ci si ama a vicenda : nel mondo greco o l’uomo amava la donna o l’uomo amava l’uomo : l’omosessualità era diffusissima e non suscitava alcun tipo di scalpore . Talvolta ci poteva essere un amore biunivoco , che Platone spiegava ricorrendo sempre alla teoria del flusso che intercorre tra gli occhi : secondo lui poteva venirsi a creare una situazione di " specchio " : in realtà l’amato vede negli occhi di chi lo ama se stesso perché vede riflessa la propria bellezza : " Come un soffio di vento o un’ eco rimbalzando da superfici lisce e solide giunge di nuovo al punto di partenza , così il flusso della bellezza torna di nuovo all’amato passando attraverso gli occhi , la via naturale per la quale esso raggiunge l’ anima e la colma . Qui esso irriga i punti di passaggio delle ali , le fa spuntare e riempie d’ amore a sua volta anche l’ anima dell’ amato " ; è una concezione mitica che rievoca i celeberrimi versi di Dante : " amor , ch’ a nullo amato amar perdona... " : è come se chi è amato si innamorasse del sentimento stesso . Platone ci parla in modo approfondito dell’amore (in Greco "eros" , che designa l’amore passionale ed irrazionale , diverso da " agapè " , l’amore puro ) proprio nel "FEDRO" ( oltre che nel " Simposio " ):in realtà gli argomenti trattati sono due :1 ) l’eros ; 2 ) la retorica . In effetti risulta piuttosto strana l’ idea di collocare nello stesso dialogo due tematiche così diverse , che hanno ben poco in comune , soprattutto se teniamo in considerazione quanto Platone stesso ci dice nel Fedro ( 264 c ) a proposito di come deve essere strutturata ogni opera d’ arte : " sia costituita come un essere vivente " , che abbia un corpo dotato di una parte centrale , una testa , delle membra , insomma degli elementi solidali gli uni con gli altri e con l’ insieme . E’ però evidente che nel Fedro Platone non applichi questa teoria da lui stesso propugnata . Quella di Platone, oltre ad essere un’epoca di passaggio tra oralità e scrittura, è anche un’epoca in cui emerge un importante quesito: come si fanno ad educare i cittadini? Vi era chi rispondeva che l’unica via era la filosofia ( tra questi Platone stesso ) , e chi , come Isocrate, sosteneva che per tale funzione ci fosse la retorica. Platone, dunque, vuole argomentare in difesa della filosofia: le vicende si svolgono nella campagna circostante Atene,in una calda giornata estiva. Protagonista è Socrate, che si potrebbe dire sempre presente nei dialoghi di Platone sebbene man mano che l’autore matura tenda a sfumare; Socrate in campagna si imbatte in Fedro, un suo discepolo che ama i bei discorsi a tal punto da trascriverli tutti. I due si siedono al riparo dal sole sotto un platano, circondati da un paesaggio incantevole, e Fedro mostra a Socrate un’orazione di Lisia , uno dei più grandi oratori greci, che si è appena trascritto: è un’orazione riguardante l’amore a carattere " sofistico " , si cercano cioè di dimostrare cose paradossali ed assurde: Lisia (va senz’altro notato come Platone ben riproduca lo stile lisiano ) cerca di dimostrare come sia meglio concedersi a chi non ama: Lisia parte dal presupposto che l’amore sia una " follia " e che concedersi a chi ama è una stoltezza: si avrebbe un amore troppo "appiccicaticcio" che se mai si rompesse farebbe soffrire terribilmente l’innamorato-amante ; poi dopo che è passato l’ardore iniziale si torna in sé e ci si rimprovera di essersi comportati così da "rimbambiti" e si finisce per soffrire di continuo. Con una persona non amata è chiaro che ci si comporterebbe in tutt’altro modo: più che altro si penserebbe ad essere felici noi rispetto all’amato non amato . Socrate ( incitato da Fedro ) a sua volta imposta due discorsi: nel primo conferma la tesi lisiana, mentre nel secondo sostiene che il suo "demone"(una specie di coscienza personale-angelo custode che si fa sentire solo quando Socrate sta commettendo un errore) lo sta ammonendo, facendogli capire che sta clamorosamente sbagliando . Anche per Socrate l’amore è una follia, però, a differenza di Lisia , per lui è positiva: vi sono infatti follie dannose e negative, ma anche positive e benigne . Poi Socrate formula un nuovo discorso per farsi perdonare per quel che ha detto dal dio dell’amore ("Eros") , per evitare che la divinità lo punisca . E’ difficile comprendere quale sia il tema centrale ( l’amore ? La retorica ? ) ; fatto sta che due argomenti strettamente connessi tra loro sono l’ amore e la filosofia ( vedi il " Simposio " ) in quanto l’amore (l’eros) stesso è una metafora per indicare la filosofia ( sia l’ amore sia il sapere , infatti , sono due cose mai pienamente conquistabili ) ; la retorica vera poi , per Platone , non é altro che la filosofia, la dialettica , e quindi in questa maniera si può in qualche modo stabilire un rapporto amore - retorica . Tuttavia la retorica di cui Lisia si fa portavoce non é affatto quella vera , essenzialmente perché cerca di dimostrare cose paradossali , non attenendosi minimamente al vero , bensì tenendo presente la famosa constatazione sofistica che " la parola può tutto " . La vera retorica , ossia la filosofia , per Platone deve agire nel seguente modo , esposto nel Fedro : "Prima di tutto bisogna conoscere la verità su ciascuna delle questioni di cui si parla o si scrive ; essere in grado di definire ogni cosa in se stessa e , dopo averla definita , saperla di nuovo dividere in base alle specie fino all’indivisibile ; individuare allo stesso modo la natura dell’anima , trovando in genere il discorso adatto a ciascuna natura ; comporre e organizzare il discorso di conseguenza , rivolgendo a a un’anima complessa discorsi complessi e dai molteplici toni , a un’anima semplice discorsi semplici . A questo punto , e non prima , sarà possibile coltivare il genere retorico con la massima arte consentita dalla sua natura , sia per insegnare , sia per convincere " : il fulcro del discorso é chiaramente la conoscenza della verità : non serve pronunciare discorsi raffinati ed eleganti che esulino dalla verità : sono molto migliori i discorsi meno piacevoli e più " terra a terra " che però si basano sulla verità .

http://www.filosofico.net/fedro.html

Quanto alla bellezza, come si è detto, essa brillava tra le cose di lassù come essere, e noi, tornati qui sulla terra, l’abbiamo colta con la più vivida delle nostre sensazioni, in quanto risplende nel modo più vivido. Per noi infatti la vista è la più acuta delle sensazioni che riceviamo attraverso il corpo, ma essa non ci permette di vedere la saggezza (poiché susciterebbe terribili amori, se giungendo alla nostra vista le offrisse un’immagine di sé così splendente) e le altre realtà degne d’amore. Ora invece soltanto la bellezza ebbe questa sorte, di essere ciò che più di tutto è manifesto e amabile. Chi dunque non è iniziato di recente, o è corrotto, non si innalza con pronto acume da qui a lassù, verso la bellezza in sé, quando contempla ciò che quaggiù porta il suo nome; di conseguenza quando guarda ad essa non la venera, ma consegnandosi al piacere imprende a montare e a generare figli a mo’ di quadrupede, e comportandosi con tracotanza non ha timore né vergogna di inseguire un piacere contro natura. Invece chi è iniziato di recente e ha contemplato molto le realtà di allora, quando vede un volto d’aspetto divino che ha ben imitato la bellezza o una qualche forma ideale di corpo, dapprima sente dei brividi e gli sottentra qualcuna delle paure di allora, poi, guardandolo, lo venera come un dio, e se non temesse di acquistarsi fama di eccessiva mania farebbe sacrifici al suo amato come a una statua o a un dio. Al vederlo, lo afferra come una mutazione provocata dai brividi, un sudore e un calore insolito; e ricevuto attraverso gli occhi il flusso della bellezza, prende calore là dove la natura dell’ala si abbevera. Una volta che si è riscaldato si liquefano le parti attorno al punto donde l’ala germoglia, che essendo da tempo tappate a causa della secchezza le impedivano di fiorire. Così , grazie all’afflusso del nutrimento, lo stelo dell’ala si gonfia e prende a crescere dalla radice per tutta la forma dell’anima; un tempo infatti era tutta alata. A questo punto essa ribolle tutta quanta e trabocca, e la stessa sensazione che prova chi mette i denti nel momento in cui essi spuntano, ossia prurito e irritazione alle gengive, la prova anche l’anima di chi comincia a mettere le ali: quando le ali spuntano ribolle e prova un senso di irritazione e solletico. Dunque, quando l’anima, mirando la bellezza del fanciullo, riceve delle parti che da essa provengono e fluiscono (e che appunto per questo sono chiamate flusso d’amore) (36) e ne viene irrigata e scaldata, si riprende dal dolore e si allieta. Quando invece ne è separata e inaridisce, le bocche dei condotti donde spunta fuori l’ala si disseccano e si serrano, impedendone il germoglio; ma esso, rimasto chiuso dentro assieme al flusso d’amore, pulsando come le arterie pizzica nei condotti, ciascun germoglio nel proprio, tanto che l’anima, pungolata tutt’intorno, è presa da assillo e dolore, e tornandole il ricordo della bellezza si allieta. In seguito alla mescolanza di entrambe le cose, l’anima è turbata per la stranezza di ciò che prova e trovandosi senza via d’uscita comincia a smaniare; ed essendo in stato di mania non può né dormire di notte né di giorno restare ferma dov’è, ma corre in preda al desiderio dove crede di poter vedere colui che possiede la bellezza: e una volta che l’ha visto e si è imbevuta del flusso d’amore, libera i condotti che allora si erano ostruiti, riprende fiato e cessa di avere pungoli e dolore, e allora coglie, nel momento presente, il frutto di questo dolcissimo piacere. Perciò non se ne distacca di sua volontà e non tiene in conto nessuno più del suo bello, ma si dimentica di madri, fratelli e di tutti i compagni, e non gli importa nulla se le sue sostanze vanno in rovina perché non se ne cura, anzi disprezza tutte le consuetudini e le convenienze di cui si ornava prima d’allora ed è disposta a servire l’amato e a giacere con lui ovunque gli sia concesso di stare il più vicino possibile al suo desiderio; infatti, oltre a venerarlo, ha trovato in colui che possiede la bellezza l’unico medico dei suoi più grandi travagli. A questa passione cui si rivolge il mio discorso, o bel fanciullo, gli uomini danno il nome di eros, gli dèi invece la chiamano in un modo che a sentirlo, data la tua giovane età, ti metterai ragionevolmente a ridere. Alcuni Omeridi citano due versi, credo presi da poemi segreti, riguardanti Eros, uno dei quali è piuttosto insolente e non del tutto corretto come metro; essi suonano così : I mortali lo chiamano Eros alato, gli immortali Pteros, ché fa crescere l’ali.(37) A questi versi si può credere oppure non credere; non di meno la causa e la sensazione di chi ama è proprio questa. Ora, se chi è stato colto da Eros era uno dei seguaci di Zeus, riesce a sopportare con più fermezza il peso del dio che trae il nome dalle ali; quelli che erano al servizio di Ares e giravano il cielo assieme a lui, quando sono presi da Eros e pensano di subire qualche torto dall’amato, sono sanguinari e pronti a sacrificare se stessi e il proprio amore. Così ciascuno conduce la sua vita in base al dio del cui coro era seguace, onorandolo e imitandolo per quanto gli è possibile, finché resta incorrotto e vive la prima esistenza quaggiù, e in questo modo si accompagna e ha relazione con gli amati e con le altre persone. Quindi ciascuno sceglie tra i belli il suo Eros secondo il proprio carattere, e come fosse un dio gli edifica una specie di statua e l’abbellisce per onorarla e tributarle riti. I seguaci di Zeus cercano il loro amato in chi ha l’anima conforme al loro dio:(38) pertanto guardano se per natura sia filosofo e atto al comando, e quando l’hanno trovato e ne se sono innamorati, fanno di tutto affinché sia effettivamente tale. E se prima non si erano impegnati in un’occupazione del genere, da quel momento vi mettono mano e imparano da dove è loro possibile, continuando poi anche da soli, e seguendo le tracce riescono a trovare per loro conto la natura del proprio dio, perché sono stati intensamente costretti a volgere lo sguardo verso di lui; e quando entrano in contatto con lui sono presi da invasamento e tramite il ricordo ne assumono le abitudini e le occupazioni, per quanto è possibile a un uomo partecipare della natura di un dio. E poiché ne attribuiscono la causa all’amato, lo tengono ancora più caro, e sebbene attingano da Zeus come le Baccanti,(39) riversando ciò che attingono nell’anima dell’amato lo rendono il più possibile simile al loro dio. Coloro che invece erano al seguito di Era cercano un’anima regale, e trovatala fanno per lei esattamente le stesse cose. Quelli del seguito di Apollo e di ciascuno degli altri dèi, procedendo secondo il loro dio, bramano che il proprio fanciullo abbia un’uguale natura, e una volta che se lo sono procurato imitano essi stessi il dio e con la persuasione e l’ammaestramento portano l’amato ad assumere l’attività e la forma di quello, ciascuno per quanto può; e lo fanno senza comportarsi nei confronti dell’amato con gelosia o con rozza malevolenza, ma cercando di indurlo alla somiglianza più completa possibile con se stessi e con il dio che onorano. Dunque l’ardore e l’iniziazione di coloro che veramente amano, se ottengono ciò che desiderano nel modo che dico, diventano così belle e felici per chi è amato, qualora venga conquistato dall’amico che si trova in stato di mania per amore; e chi è conquistato cede all’amore in questo modo.

http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/TestiDiFilosofia/TestiPDF/Platone/Fedro.pdf


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