Partenza e spartenza(2)

venerdì 25 aprile 2008, di enza


Cominciamo ad avviarci verso casa in silenzio, assorti nei nostri pensieri, anzi non sappiamo più che cosa pensare, dato che nella nostra mente si fanno strada tanti ripensamenti, tanta confusione, tanta voglia di tornare indietro, voglia di far tornare tutto come prima, dopotutto stiamo lasciando il certo per l’incerto. Avverto che mia madre è pensierosa e quasi glielo vorrei chiedere, ma non avendo voce in capitolo, continuo ad andare col cuore piccolo che batte un pò più in fretta, quasi aspettando una soluzione. Ma questa soluzione non arriva e continuiamo a camminare in silenzio, come manichini vestiti a festa, marionette trascinate da un destino ineluttabile, un destino da seguire fino in fondo.

Camminiamo lentamente, mentre davanti a noi sfilano il bel palazzo settecentesco, sede del Comune, le case antiche in pietra con i bei balconi in ferro battuto, le viuzze che dalla piazza portano verso la parte più bassa del paese, mostrando il mare in lontananza, la Chiesa madre dove si sono sposati i miei genitori e dove ho fatto la prima comunione, la pasticceria dove andiamo ogni domenica, i negozi, le botteghe degli artigiani, la macelleria di don Saro; è tutto un susseguirsi di luoghi noti, di cose che fino ad allora ci sono sembrate di poco interesse e che ora all’improvviso diventano importanti per noi e vorremmo avidamente fissarle tutte nella memoria per non perderne il ricordo.

Continuiamo a salire verso casa, noi quattro soli, con i nostri vestiti della festa, tutti pronti per il grande evento. Il vento, intanto, si è calmato, ci accompagna amico e ci accarezza gentile, ci scompiglia dolcemente i capelli, come ci volesse consolare e dire qualcosa. In piazza Crescimanno incontriamo un caro amico di mio padre che ci dice"Venite, forse fate ancora in tempo, al cinema centrale danno un film bellissimo"Sette spose per sette fratelli" No, non facciamo in tempo, è tardi. Ormai nulla sembra più appartenerci.

La casa di via Garibaldi ci accoglie in silenzio, non si sente volare una mosca e tutto sembra freddo e distante; la casa non ci trattiene più, anzi sembra respingerci; non ci vuole, perchè sembriamo non appartenerle più. Ricordo ancora questa sensazione di estraneità e di freddo intorno a me, quella particolare sensazione che si avverte quando si entra in una casa disabitata. Nonno Francesco dall’alto del suo ritratto sulla parete ci guarda freddamente, quasi ammonendoci e la nonna Lucia sembra dispiaciuta ed impotente ed anche a volerla interrogare con lo sguardo, non ci suggerisce proprio niente; dopotutto, che cosa ci può suggerire una persona che è morta? Il nostro destino sembra ormai compiuto, bisogna aspettare solo di partire.

La sera prima della partenza andiamo a mangiare a casa dei cugini Spada, dove sono riuniti anche altri parenti: ci sono Lucietta, suo marito, Turi, Ciccio, Nele, Lina, Pina, Tina, i cugini più piccoli, miei coetanei, Pippo e le gemelle con i loro genitori, zia Tittina che, triste in un angolo, di tanto in tanto ci sorride mestamente. C’ è tutto un gran tramestio, parlano tutti, tutti danno consigli ed il consiglio di uno sembra sempre migliore dell’altro. Tutti ci raccomandano di scrivere, di non tardare a fare avere loro notizie. Mia madre magnanima, con ilarità teatrale, dispensa promesse a questo ed a quello; dice che, in Africa andrà a caccia e poi manderà in Sicilia lepri, starne e quaglie. I miei cugini Nele e Ciccio si guardano increduli e poi ridono dicendo" Angela,(non la chiamano zia, perchè è quasi loro coetanea) ma come minchia fai a mandarci le lepri stemperate in Sicilia?? Prima che arrivano qua sono belle che andate a male...".

E mia madre in modo istrionico risponde "Lasciate fare a me, avete presente come si fa la caponata?? Bene, io cucino le lepri, le quaglie o le starne con la menta e le olive, poi le metto nei barattoli che sterilizzo in acqua bollente, proprio come si fa con la caponatina, e dopo ve le spedisco....I miei cugini sono tutti contenti " Hai ragione Angela, non ci avevamo pensato...". Ridono felici e si leccano i baffi all’idea " Ah sì, se è come la caponata, allora sì che si può fare, non vediamo l’ora di mangiare queste lepri e tutte le altre minchiate che ci sono in Africa, anzi loro dicono "all’Africa"; "ricordati che ce l’hai promesso". "Parola d’onore " dice mia madre; ma in seguito non sarebbero mai arrivate nè lepri, nè starne, nè quaglie.

A questa cena di addio sono presenti anche zio Vincenzo e la bionda Filis Mary, reduci da un lungo viaggio di nozze attraverso tutta l’Italia. Infatti partiamo insieme a loro, mentre mio padre ci viene ad accompagnare fino a Roma; ci raggiungerà in seguito come pattuito. Vincenzino, da grande protagonista, ride e starnazza come un gallo cedrone ed intervalla le sue grosse e sonore risate con dei po’- po’- po’ di esagerato stupore. Ogni tanto, rivolto a me ed a mia sorella, ci dice, burbero: "Una volta che saremo in Africa ricordatevi di parlare in italiano, altrimenti lì nessuno vi capisce e ci fate fare na minchia di mala figura". Noi lo guardiamo un pò mortificate ed un pò stupite " Ma come, pensiamo, finora ci hanno capito tutti benissimo, anche tu ci hai capito caro zio Vincenzo, anzi cumpari Vicenzu Miluni come lo chiamano per scherzo i parenti, e adesso all’improvviso ci riprendi ". Ma forse ’mpari Vicenzu Miluni si vergona di essere siciliano e di conseguenza si vergogna pure dei suoi parenti siciliani.

"Non ti preoccupare zio, gli dico, l’italiano lo so benissimo ! " e comincio a sciorinare un pò di frasi forbite ed a coniugare un pò di verbi per fare mostra della mia perfetta conoscenza dell’italiano. "Ah, così va bene, dice Vincenzo tutto soddisfatto, l’ho sempre detto che questa è una bambina intelligente, pò, pò, pò.......La sposina Filis, anzi Fulippa in vernacolo, ride anche lei raggiante, arrossendo leggermente di gioia e di piacere: accanto a Vincenzino si sente già una regina ed una vera padrona, perchè ha sposato uno sistemato bene, non c’è che dire, chi se ne frega se ha 17 anni più di lei, lui gli anni se li porta bene e dopo tutto, questa grande differenza di età neanche si nota, dicono....

Dopo cena mi fanno suonare pure la fisarmonica, strumento che suono benissimo, perchè ho avuto anche un maestro che è venuto a darmi lezioni fino a casa, però, ogni volta che la suono, mi sento una povera derelitta; avrei preferito imparare a suonare un altro strumento, ma per fare contenta mia madre mi sono sottoposta a questo supplizio. I cugini ridono, parlano, cantano, mentre io, come una povera disgraziata, suono. Suono i valzer di Strauss, le ultime canzoni di moda, piuttosto cretine, ma melodiche e tutto quello che so suonare. Ogni tanto, Turi o Ciccio per farmi sentire il loro affetto mi danno qualche pizzico sul braccio e qualche buffetto affettuoso sulla guancia, oppure mi fanno volteggiare come per farmi ballare ed io rido contenta; poi prendono mia sorella che sembra una nuvola bionda e fanno volteggiare anche lei, accennando un passo di valzer.

Rimaniamo fino a tardi dai cugini Spada, ormai la spartenza ha segnato un solco profondo dentro di noi e quasi non ne avvertiamo il dolore; ci vediamo proiettati in avanti e vogliamo che tutto finisca presto. Torniamo a casa frastornati e piuttosto stanchi, desiderosi solo di andare a letto, perchè domani si parte. L’indomani ci alziamo di buonora, dopo una notte trascorsa senza sogni; tutto è pronto, mia madre dà un’ultima occhiata in giro, controlla che tutto sia a posto, i bagagli, il passaporto, i soldi nel borsellino. Dà ancora un ultimo sguardo a me e a mia sorella vestite di tutto punto: io di rosa, mia sorella di celeste, con le scarpette bianche che io odio, i calzini bianchi col bordo di pizzo ricamato e gli enormi fiocchi bianchi che troneggiano sulle nostre teste come due mongolfiere. Questi fiocchi sono spropositatamente grandi e rigidi e, secondo come muoviamo la testa, penzolano ora a destra, ora a sinistra, facendoci fare un certo sforzo per farli stare in equilibrio, lassù sulla nostra povera testolina smarrita, pettinata di tutto punto.

Siamo pronte, un’ ultima spruzzata di acqua di colonia e via, fra poco si va......Tutti i nostri vicini, intanto, sono usciti fuori per assistere a questo avvenimento, curiosi solo di godersi lo spettacolo, fingendo una finta commozione o falso interesse. E’ una farsa che si ripete ogni volta che qualcuno lascia il paese per andare lontano. Intanto, dall’alto di via Garibaldi ecco arrivare zio Vincenzo con la sposina in tailleur grigio e camicetta bianca, ingioiellata e profumata a dovere; é un pò turbata per aver lasciato la madre, donna Filomena ed il padre don Gino, ma pur sempre contenta di essere la consorte di cotanto marito che appena arriva davanti alla porta di casa nostra spalanca la portiera della macchina e dice allegramente "Facciamo presto".

Nel frattempo è arrivato anche don Orazio, un vecchio, sonnolento autista di piazza che noleggia la macchina per i lunghi viaggi, macchina immancabilmente nera tanto da essere chiamata "a machina seria". Si caricano le valigie in macchina, mio padre siede davanti accanto a don Orazio ed io e mia sorella veniamo sistemate di dietro insieme a mia madre. Sono già in macchina senza neanche accorgermene, guardo ancora il portone della mia vecchia casa con i suoi bei battenti di ottone sempre lucidi, la finestra dalla quale spesso sono stata ad osservare la pioggia nelle uggiose giornate invernali, finestra da dove tante volte mi sono affacciata in estate, aspettando di vedere apparire mio padre in cima alla salita di via Garibaldi, di ritorno dalla campagna. Ma è tutto chiuso dentro di me ed è già ora di andare.

Si parte, mentre le vicine spremono lacrimucce di circostanza, i miei parenti lacrime e commozione vera, interrotte da qualche sorriso per rincuorarci, ma con un fondo di amarezza. Tutti sventolano fazzoletti ed in coro ci gridano "Buon viaggio". Appartata, all’angolo della strada, c’è zia Tittina che mi guarda seria con lo sguardo velato da una profonda tristezza, non parla, ma il suo sguardo esprime tutto il dolore della spartenza. Non dice nulla, perchè noi siciliani siamo abituati da secoli al dolore ed alla rassegnazione " E’ la vita", diciamo a noi stessi ed in nome di questo detto ci rassegniamo a tutto, perchè tutto ci sembra fatale, come un disegno preordinato e superiore alle nostre forze.

E’ la vita, vita amara fatta di rinunce, è il destino, destino solitario, esilio forzato, lontani da tutto ciò che per noi è stata linfa vitale, sangue del nostro sangue, è inutile combattere, contro il destino anche se tutto il nostro essere freme......ci conviene accettare, forse il buon Dio che in fondo se ne è sempre fregato di noi, ci porterà giorni migliori, forse..........Per un attimo il mio pensiero va a Dio. Dove eri Dio quando Ianuzzo Spada a soli 22 anni è annegato nel fiume e Nele di soli 11 anni l’ha visto morire sotto i suoi occhi, impotente e disperato ? !. Dove eri eh, buon Dio ????? Ma dicono che i disegni di Dio sono infiniti, diversi dai nostri e chissà che cosa ha in serbo per noi. Forse non ha in serbo proprio niente; è troppo occupato a pensare ad altro. La macchina comincia lentamente a scendere per via Garibaldi, la strada dove siamo nati e vissuti per tanti anni, avviandosi verso il centro del paese e poi alla volta di Siracusa.


enza

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