Alta velocità

martedì 15 gennaio 2008, di Piero Buscemi

Ci si trucca da "onnipotente", quando con le mani, ci illudiamo di dominare un’auto in corsa. E non solo quella. Ma c’è sempre un crocicchio con il destino, che ci aspetta senza preavviso.

La curva della Targia va fatta in quarta. Cinquanta metri prima dell’inizio, devi scalare dalla quinta. La lancetta dei giri del motore emette un boato di adrenalina. La velocità scende da 110 a 80 km/h. Poi, devi solo mantenere le mani sullo sterzo. Sfiorarlo leggermente seguendo l’inclinazione della curva. Il resto lo fa l’esperienza, che accompagna docilmente l’auto verso un altro rettilineo.

Tommaso compie i gesti a memoria. L’ha sempre affrontata così. E’ un tratto di strada che percorre tutti i giorni, per andare al lavoro. Al ritorno, cambia solo la direzione. Le sincronie rimangono identiche. Non si ha il tempo, neanche per memorizzare il paesaggio che varia, mentre si avanza a quella velocità.

Pennacchio (foto by mimmorapisarda.it) La prima volta, Tommaso la percorse con il motorino. Era ancora un bambino, nascosto dal pelo canino dell’adolescente. Ci andava la mattina, durante le ore di scuola, che latitava quotidianamente. Si lanciava su quella strada, sempre bagnata in inverno. Ma anche allora, Tommaso conosceva la sequenza di attimi della manovra. Ogni tanto, si portava Aldo, il suo compagno di fughe scolastiche.

Il motore espettorava la sua incauta arroganza. Sentiva le dita di Aldo, conficcate nei fianchi. Un sorriso virile gli esaltava il momento. A fine corsa, ricontrollava i pezzi del motorino, da tempo revisionati. Si può fare di meglio. Magari da solo. Senza quella zavorra di Aldo, a tremare dietro.

Oggi, a quaranta anni, ha aggiunto due ruote alla sua sfida personale. Aldo gli siede accanto, tutte le mattine. Ogni tanto, evade con i ricordi di infanzia, mentre il bianco delle rocce, sembra proprio di poterlo toccare. Tiene gli occhi aperti. Da ragazzo, non ne aveva il coraggio. Paura di morire, mai. Perché in fondo, si è sempre fidato dell’estro di Tommaso.

Occorre rassegnarsi. Quando i gesti di ripetono all’infinito. Quando la paura del rischio è annullata dalla tentazione. Per un attimo, puoi sentirti padrone della tua vita. Quasi ad illuderti, che tu possa scrivere l’ultimo atto. Se solo lo vuoi. Il coraggio è sostenuto dall’incoscienza. Una scena vissuta troppe volte, con lo stesso finale. Troppe, per poter temere che il destino si sia stancato di un’assurda monotonia.

Si, puoi veramente illuderti di essere il padrone della tua vita, quando ti lanci a 100 orari, su una strada provinciale. Tutti i giorni. Tommaso ha fatto di più. Una notte, si è fatto destino. Le tre. O forse, le quattro del mattino. L’orario è la prima cosa che dimentichi. Una sola immagine, gli tornava alla mente, dentro l’ufficio della polizia.

L’agente provava a scrostarlo da quell’incubo, ma Tommaso rivedeva quel pezzo di plastica catarifrangente, che doveva essere acceso. Non quella notte. Quel pezzo di plastica rosso, sempre più vicino al suo sguardo incredulo, mentre il muso della sua auto lo sbalzava cinquanta metri più in là.

Tommaso non udì le domande del poliziotto. Sentì soltanto un nome: Alice. Il nome di sua figlia. La cronaca racconta che fosse seduta dietro, su quel motorino. Alla guida, un quindicenne più fortunato. Lei. Solo tredici anni. Morta sul colpo.

Tommaso la percorre ancora quella strada. Sempre bagnata, in inverno. La moglie lo ha lasciato, portandosi via gli altri due figli. Cinquanta metri prima dell’inizio della curva. Quando devi scalare dalla quinta alla quarta. Si sente un altro boato. Ma non è il motore. Cinquanta metri prima.

Adesso c’è un altarino. La foto sorridente di Alice. E poi, tante piccole luci, per non dimenticare. A Natale, sembrava un altro albero di festa, piantato dal comune.


Piero Buscemi

:.: Città invisibili

Parole chiave

Home page