Mishelle di Sant’Oliva, di Emma Dante.

mercoledì 12 aprile 2006, di Serena Maiorana

Al teatro Musco di Catania, nell’ambito della rassegna Nuovoteatro è andato in scena dal 28 marzo al 2 aprile Mishelle di Sant’Oliva, di Emma Dante. Con Giorgio Li Bassi e Francesco Guida. Luci di Irene Maccagni. Noi di Girodivite c’eravamo, e ora ve lo raccontiamo.

Emma Dante torna a teatro con un nuovo lavoro. Si chiama Mishelle di Sant’Oliva e racconta di una donna bellissima, con la pelle liscia quanto la seta. Lei, Mishelle, la prima ballerina dell’Olympia di Parigi, con quello sguardo che quando ti guardava ti faceva sentire piccolo piccolo.

Te la immagini meravigliosa e leggera Mishelle, mentre te ne stai sprofondato nella tua poltrona a teatro, e quasi ti aspetteresti di vederla sul palco. Ma lei non arriva. Al suo posto solo due uomini che, per come te la immaginavi tu Mishelle, di lei sembrano l’antitesi. Triste e ricurvo uno, rozzo e pesante l’altro. Ad accomunarli la stessa attesa, sempre di lei, di Mishelle, moglie del primo, madre del secondo. Lei che ormai da anni è andata via, lasciandoli insieme eppure soli nello sgomento del non ritorno.

Gaetano (il padre) è immobile, cuore duro e testa china. Non riesce a guardare Salvatore (il figlio), che intanto lo chiama, scherza, danza e si agghinda. E mentre vedi svolgersi l’attesa di Mishelle, sul palco si alternano, come in un cerchio sempre più stretto, momenti di macabra angoscia a momenti di gioia, seppure cupa.

Accade piano piano (ed è così che Emma Dante ci ha abituati) che sul palco la situazione precipiti, fino ad un ultima vibrante danza, e fino ad un ultimo casto bacio dal sapore amaro. E solo alla fine scopri che su quel palco si racconta una storia di omosessualità ed incomprensione. Di prostituzione e di lontananza.

E mentre tu te ne stai sprofondato in poltrona a guardare la nuova, pesante, Mishelle agghindata da gran sera, con la sua lingua ibrida che ancora profuma di Palermo, proprio non comprendi come faccia a volte l’amore a farsi ferita aperta, e come abbia fatto Emma Dante a trovare ancora le parole dell’abbandono.

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