Milano, 25 aprile 2024: il Manifesto ci riprova

giovedì 28 marzo 2024, di Redazione


1994-2024.

Trent’anni dopo la Liberazione del 1994 quando una manifestazione enorme riempì la città, sotto la pioggia battente. A lanciare l’idea un po’ folle eravamo stati noi del manifesto. Ebbe successo, fu accolta e rilanciata. Le adesioni crebbero rapidamente, la piazza si riempì. Fu una festa e un trionfo di popolo. Potremmo ripeterlo, potremmo fare anche meglio. Potrebbe esserci il sole.


Si potrebbe tornare a Milano il 25 aprile. Trent’anni dopo la Liberazione del 1994 quando una manifestazione enorme riempì la città, sotto la pioggia battente. A lanciare l’idea un po’ folle eravamo stati noi del manifesto. Ebbe successo, fu accolta e rilanciata.

Si potrebbe… il manifesto del 7 aprile 1994

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Le adesioni crebbero rapidamente, la piazza si riempì. Fu una festa e un trionfo di popolo. Potremmo ripeterlo, potremmo fare anche meglio. Potrebbe esserci il sole. Il 25 aprile non è una celebrazione ma una data che ci consegna ogni anno il nostro destino ricordandoci che la liberazione è nelle nostre mani.

La minaccia neofascista era forte trent’anni fa, quando erano al governo per la prima volta Berlusconi e Fini, ed è fortissima oggi che il governo con Meloni è spostato ancora più a destra. Una destra aggressiva e rivendicativa che non riesce a rendersi presentabile a distanza di un anno e mezzo dalla vittoria. Ed è naturale che sia così, perché ha le radici nel ventennio fascista e nelle sue nostalgie, nella storia più nera di questo paese, in tutto quello che il 25 aprile è stato sconfitto.

La minaccia non riguarda solo l’Italia ma l’Europa intera che precipita ogni giorno di più in una spirale di guerra.

Ovunque partiti di destra estrema o dichiaratamente neofascisti mettono in discussione libertà, uguaglianza, diritti e convivenza pacifica. Vanno fermati nelle urne delle elezioni europee ma anche con una grande mobilitazione popolare che faccia rivivere i valori della resistenza e dell’antifascismo.

A Milano quest’anno vogliamo che sfili una grande manifestazione, più grande del solito, capace di parlare a tutto il continente, così come il 25 aprile italiano è stato nel 1945 l’annuncio della liberazione in Europa.

Settantanove anni dopo la fine dell’incubo nazifascista, il rischio che crisi e rassegnazione favoriscano una vittoria straripante delle destre estreme alle elezioni europee non è mai stato così alto.

Torniamo in piazza, sapendo che per battere autoritarismo e oppressione, razzismo e manganelli, precarietà, sfruttamento e devastazione ambientale non c’è bisogno di invocare il passato ma serve costruire un futuro migliore.

La liberazione è innanzitutto questo: la voglia di un’umanità realizzata. E per questo sarebbe bello trovarci insieme un giorno, quel giorno, portando a Milano i nostri corpi, i nostri desideri, gli impegni e le speranze per il futuro del genere umano e del pianeta.

La Resistenza ha combattuto il nazifascismo per liberare l’Italia, per costruirne un paese più giusto e avanzato con la Costituzione e la Repubblica fondata sul lavoro. E lo ha combattuto per fermare la guerra e scacciarla dal destino dell’Europa e del mondo.

È di nuovo quello che dobbiamo fare, oggi, contro le guerre che già si combattono e quelle che sempre più sinistramente si annunciano. Costruire la pace con tenacia contro ogni cupo presagio bellico, far tacere le armi in Europa, fermare l’invasione russa dell’Ucraina con la trattativa e ottenere immediatamente il cessate il fuoco da Israele interrompendo il massacro di Gaza, per il rilascio degli ostaggi del 7 ottobre, per una pace giusta, anche per questo c’è il 25 aprile.

Costruiamolo insieme, ma soprattutto riempiamolo insieme. Vengano le associazioni, i partiti, i sindacati, i lavoratori e i pensionati, vengano i movimenti, le studentesse e gli studenti, le pacifiste e i pacifisti d’Italia e d’Europa. Venite in compagnia o da sole e da soli, che sole e soli non sarete mai.

Arrivate a Milano in treno, in bus, a piedi o in bicicletta.

Raccontateci come vorreste che fosse quel giorno, come lo immaginate. A partire da oggi, costruiamo la nostra Liberazione.

Scriveteci a sipotrebbe@ilmanifesto.it Raccontateci come vorreste che fosse questo 25 aprile e cosa farete perché la festa riesca


Vi ricordate quel 25 aprile? / di Andrea Colombo

MILANO 1994 - 2024. «Facciamo una manifestazione», propose Pintor. Risposero tutti. Fu enorme e felice. Fu uno dei pochi momenti davvero unitari nella storia travagliata della sinistra italiana

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ilmanifesto - milano25aprile1994 - mezzo milione di persone in piazza per ricordare la resistenza e contro il primo governo berlusconi

Fu una manifestazione contro il fascismo, certo, con tutti gli slogan del caso, opportunamente fantasiosi, e l’immancabile Bella Ciao, però a tempo di rap e con il testo un po’ modificato: «O partigiano, portali via». Liberaci dall’incubo dei neofascisti ancora confessi in maggioranza e presto al governo, dai leghisti che si sono già presi Milano e spopolano in tutto il nord, dal partito di plastica, proprietà personale di un industriale che definirlo discusso è poco e che, meno di un mese fa, ha preso il 21% e passa dei voti. Meno di un punto sopra il Pds ma sufficiente a farne la forza politica più votata d’Italia.

Ma fu soprattutto una manifestazione contro la depressione e la rassegnazione. La prima dilagava. La seconda incombeva.

Li avevamo visti arrivare: solo che non avevamo capito quanti fossero. Ritrovarsi come terzo partito italiano, parte integrante di un Polo stravincente, il Msi, con il leader Fini che definiva senza perifrasi Benito Mussolini «il più grande statista del secolo» andava oltre l’immaginabile: era davvero il mondo capovolto e si era rovesciato quasi all’improvviso.

Noi avevamo un giornale che non avevamo mai considerato solo organo di informazione, per quanto alternativa, ma sempre visto come strumento di lotta: «un soggetto originale della politica» per Luigi Pintor, «una nave corsara» per Valentino Parlato.

Lo avevamo appena rinnovato: diverso formato, molto più agile. Il direttore Pintor e il vice Pierluigi Sullo, che se lo era inventato, non lo avevano voluto così solo per alzare la tiratura ma soprattutto per renderlo più battagliero e incisivo, più adeguato a una fase che sapevamo essere determinante per il futuro del Paese.

E dunque chi se non noi poteva convocare tutta la sinistra allo sbando, chiamarla alla riscossa, impedire che si crogiolasse nella sconfitta? «E se facessimo una manifestazione», propose il direttore. Fu organizzata in tempi record. Risposero tutti, nessuno escluso, e tutti accettarono di non provare nemmeno a metterci cappello e gagliardetto.

la copertina del manifesto del 26 aprile 1994 che Liberazione, la copertina del manifesto del 26 aprile 1994 C’ERANO I POLITICI a Milano, una fiumana: il segretario del Pds Achille Occhetto, in ritardo e scortato dai giovani leoni, va be’ micetti, sul punto di sostituirlo, D’Alema e Veltroni. C’era Bertinotti e con lui tutta Rifondazione. C’erano i cattolici. Incluso Mino Martinazzoli fresco di dimissioni da ultimo segretario della Dc e primo del Partito popolare, dopo aver rifiutato un’alleanza elettorale col Pds che avrebbe cambiato l’esito delle elezioni e la storia patria.

C’erano tutti e il giorno dopo avrebbero campeggiato loro sui giornali, pur senza aver molto da dire. Però non furono i loro i protagonisti. Furono le centinaia di migliaia di persone, 300mila secondo i giornali, probabilmente di più, che erano arrivate con i treni speciali e le colonne di pullman, oppure da soli, in macchina, o erano usciti dalle case di una Milano che al mattino sembrava desertificata dalla vacanza, dal week end e dal tempaccio ma nel pomeriggio straripava di compagni fradici e festosi.

Troppi perché le tre piazze dalle quali partivano i cortei, e tantomeno quella in cui confluivano per il comizio finale, piazza Duomo, bastassero a contenerli. Quel giorno la manifestazione non prese qualche grande piazza: prese Milano.

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IL COMIZIO FINALE lo ascoltarono in pochi. Sul palco, con Arrigo Boldrini che incarnava l’Anpi, c’era Paolo Emilio Taviani. Era stato resistente davvero ma lo era poi stato anche contro «la minaccia comunista» e con metodi non proprio cristallini.

Ma quel giorno, anche se i centri sociali decisero di staccarsi dalla manifestazione principale, fu uno dei pochi momenti davvero unitari nella storia travagliata della sinistra italiana. Per alcune ore, e poi per alcune settimane e mesi, la consapevolezza di dover respingere una minaccia incombente prevalse su ogni considerazione opportunistica, su ogni paura di scontentare la parte fondamentalista dei rispettivi elettorati.

L’intuizione di Pintor, la necessità di una manifestazione non convocata né sponsorizzata da nessuna sigla, si dimostrò vincente e non solo sul piano della partecipazione oceanica.

In molti, sino a un attimo prima della partenza dei cortei, alle 14, avevano pregato perché non piovesse. Poi, con i primi goccioloni iniziati a cadere puntualissimi proprio alle 14, nemmeno fossero stati convocati apposta, continuarono a tenere le dita incrociate perché almeno non piovesse troppo. Furono delusi, l’anno andava così.

Chiedete a chiunque fosse per strada quel giorno cosa ricorda e tutti risponderanno: «Pioveva». In realtà diluviava, le riprese dall’alto mostrano un tappeto di ombrelli grande quanto tutto il centro della capitale morale e si sa, quando piove le manifestazioni stentano a decollare, il morale si abbassa, la combattività scema. Non successe. Il nubifragio non scoraggiò né smosciò. Fu una manifestazione combattiva ma non rabbiosa né esasperata.

Fu una manifestazione felice. Quella marea di persone fradice riscopriva di essere mezzo Paese, dimenticava lo scoramento che aveva preso alloggio nell’animo di tutti dopo le elezioni del 26 marzo.



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