Che fine ha fatto il Bianconiglio?

giovedì 10 agosto 2023, di Sergej

Everything Everywhere all at once (2022) di Dan Kwan e Daniel Scheinert ; con Michelle Yeoh, Stephanie Hsu, Ke Huy Quan, James Hong, Jamie Lee Curtis ecc_

Quanti conigli può contenere un cilindro? E ancora: cosa fanno i conigli quando non appaiono o sono richiamati dal mago sul palcoscenico? Il meccanismo dei conigli che il mago estrae sul palco per lo stupore degli astanti è alla base del gioco del multiverso. La realtà è una? Esiste solo quello che vediamo sul palco? Oppure esistono tante realtà, tanti universi quanto è possibile immaginarli nell’infinito? L’uomo della caverna di Platone guardando fuori, scopre che c’è una realtà oltre il buio della caverna. Ma esiste un solo livello superiore, e ce ne sono altri - e se questi sono infiniti?

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Everything Everywhere All at Once, di Dan Kwan e Daniel Scheinert

Nel 1895 William James - il fratello intelligente di Henry James - introdusse nella nostra epoca il termine di “multiverso”: “La natura visibile è tutta plasticità e indifferenza, un multiverso, come si potrebbe dire, e non un universo” [1]. Con il multiverso il pensiero occidentale fuoriesce dalla diarchia manichea di origine greca e orientale, bene/male, civiltà/barbari, ying/yang, e comincia a avere consapevolezza dell’estrema varietà del mondo. L’ecumene è spezzato, diventa pluralità di mondi. Il fallimento del progetto teocratico e monocratico, la globalizzazione occidentale post-1989, è alla base dei pensieri alternativi - dentro l’occidente stesso, la “sinistra hegeliana” - che riversano l’utopia (o l’ucronia) al di fuori di questo mondo, immaginando “altri” mondi? Era accaduto lo stesso quando, all’indomani della scoperta delle Americhe, Giordano Bruno comincia a immaginare l’esistenza della pluralità dei mondi.

Solo che ora non si tratta solo di immaginare l’eterogeneità di “questo” universo, quanto proprio di ammettere che nel multiverso possano esserci tanti di quegli universi che potrebbero ammettersi persino universi simili al nostro, ma con lievi, piccole, insignificanti ma determinanti differenze.

Letteratura, cinema, la nostra fiction, hanno nei più svariati modi cercato di immaginare queste pluralità, e ne hanno dato una declinazione. Esempi a palate, a partire da Murray Leinster (1934) e della fantascienza. Non stiamo qui a elencare. Parallelamente la scienza matematica, a partire da Hugh Everett III nel 1957 con l’interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica, e poi la teoria delle stringhe e quella dell’inflazione caotica o teoria delle bolle ecc_.

L’espediente del multiverso è anche nel film “Everything Everywhere all at once” (2022) di Dan Kwan e Daniel Scheinert, con Michelle Yeoh, Stephanie Hsu, Ke Huy Quan, James Hong, Jamie Lee Curtis ecc_. Il titolo inglese si potrebbe tradurre con: “ Tutto dappertutto e contemporaneamente” oppure “Tutto dappertutto, tutto in una volta”. Nel film non c’è solo questo - l’espediente multiverso, dico - c’è la tendenza a voler fare, hollywooddianamente un film-caleidoscopio che occhieggia al mercato asiatico, nel modo in cui gli occidentali hanno finora introiettato e masticato le cose “orientali” e asiatiche, ovvero attraverso Bruce Lee e Jackie Chan: arti marziali e umorismo, dunque tanto dinamismo e combattimenti a tutto spiano - tra ridicolo e inverosimile (il b-movie di Bud Spencer e Terence Hill). Una patina di malinconia asiatica, una velatura proveniente dai manga e dai cartoni animati dello Studio Ghibli. La problematica del dominio neofemminista, con le morbose attrazioni lesbiche e con il sentimentalismo strappalacrime del rapporto madre-figlia da dover risolvere.

Nonostante l’uso del motivo del multiverso, questo non è certamente un film di fantascienza, la fantascienza è solo uno dei tanti ingredienti utilizzati. La cultura occidentale ormai di rado si prova con la fantascienza, nel momento in cui, nella sua decadenza, ha smesso a provarsi sul tema forte del dominio tecnologico. Le capacità manipolatorie sul mondo, sembrano insegnare i film della transizione, non stanno più nella conoscenza e nella tecnica estesa dalla scienza, ma vengono riportate sull’individuo (il neoliberismo insegna) che lotta contro tutti gli altri. Il corpo biologico ha sostituito la macchina. L’unica manipolazione possibile è sul corpo.

Il packaging del film prova a organizzare i vari tasselli, ma non sempre riesce a mettere tutti i pezzi al loro posto. I doonuts che hanno un senso nell’universo dei Simpson qui è un bagel che pare fuori posto. E anche il pessimismo cosmico delle pietre che dialogano sulla cima del burrone non riescono a colpire il bersaglio (tanto vale i due pittori sospesi in aria che si scambiano le battute nella scena di Fellini). Le scene si susseguono alle scene, vorticose, nel tentativo del giocatore delle tre carte di non far vedere dov’è l’asso. Gli universi paralleli si accavallano, Alice attraversa lo specchio ma alla fine… che fine ha fatto il Bianconiglio?

Note

[1] «Visible nature is all plasticity and indifference, a multiverse, as one might call it, and not a universe»: William James, " Is Life Worth Living?, in: Internat. Jrnl. Ethics, vol. 6, ottobre 1895, p. 10.


Sergej

Cinema - Visioni

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