Quando una donna dice: preferirei di no

martedì 24 gennaio 2023, di Sergej

La vicenda dell’ex primo ministro neozelandese ha molto poco di "maschile" e molto di più di quella forma non violenta ma intimamente e irrevocabilmente ribelle che è il "no" (il "preferirei di no"; nell’originale, "I would prefer not to") di Bartleby, il personaggio del racconto di Melville...

La vicenda dell’ex primo ministro neozelandese ha molto poco di "maschile" e molto di più di quella forma non violenta ma intimamente e irrevocabilmente ribelle che è il "no" (il "preferirei di no"; nell’originale, "I would prefer not to") di Bartleby, il personaggio del racconto di Melville.

Riprendiamo la vicenda, ma basandoci su quanto annota Massimo Mantellini:

«Mi dimetto perché questo ruolo di grande privilegio comporta responsabilità. La responsabilità di sapere quando sei la persona giusta per fare da guida, e quando non lo sei.

So cosa richiede questo lavoro e so che non ho più abbastanza energie per rendergli giustizia. È semplice».

"Le parole di Jacinta Arden forse indicano qualcosa che va oltre la grandezza di questa donna. Nella loro eccezionalità spiegano cosa sia diventata la politica oggi. Per molto tempo il lavoro dei politici è stato prevalentemente un lavoro di comunicazione filosofica (spiegare le scelte che si intendeva adottare ai cittadini) e di selezione (circondarsi di persone in grado di affrontare temi complessi). Per molto tempo la (migliore) politica ha comunicato in superficie mentre lavorava in profondità. A un certo punto questo schema non è stato più praticabile: la figura di vertice (del governo, del partito, del movimento) è stata caricata di compiti nuovi ed improbi (affrontare in profondità qualsiasi argomento) e il politico di riferimento è stato trasformato in un taumaturgo in grado di spiegare scientificamente la ricetta per guarire ogni male. A questo punto solo due strade sono rimaste possibili: quella gigantesca e umile di Arden (ci ho provato con tutta me stessa ora non ce la faccio più) e quella più comoda e problematica di molta politica, penso ovviamente in particolare a quella italiana degli ultimi anni, vale a dire la prevalenza del politico senza limiti. E credo non sfugga a nessuno che una politica del genere, fatto di continua finzione di competenze che non si hanno di fronte ad una platea assetata e molto ampia, richiede una qualche forma di deviazione psichiatrica senza la quale il peso delle responsabilità diventerebbe insopportabile".

Noi abbiamo sempre sostenuto che la politica è una droga. Dà non solo euforia, ma dipendenza, e porta a tutte le forme negative che la droga ha sugli esseri umani, compresa la disperata ricerca coattiva alla ripetizione, l’uso della delinquenza per mantenere il consumo, la perdita della consapevolezza e del senso di realtà, e della "normalità" (qualsiasi cosa essa sia). Insomma, in bel po’ di motivi per cui le mammine farebbero bene a randellare per bene i propri bambini appena vedono che hanno tendenze verso la "politica" - cosa che del resto non fanno, neppure quando li mandano tra le fauci del maniaco di turno facente funzione in sacrestia. In alcune antiche migliori tradizioni che l’umanità ha conosciuto, gli individui che volevano fare "i capi" venivano randellati e sbeffeggiati dalla comunità (e in questo modo la comunità si poneva in salvo dagli effetti negativi dell’avere "capi"). In questo frangente storico, utilizziamo alcuni scarti sociali che non hanno trovato posto nell’industria o nella ricerca per farne "politici" la cui funzione è occupare il tempo e i talk show televisivi per inventarsi, settimana dopo settimana, un tema di distrazione di massa per il beneficio di mass media e audience. Il dominio femminile della società reale non a caso ha sempre cercato di non farsi troppo vedere in giro, di darsi poco alla "politica" pensando questa come la guerra un carnaio buono solo per maschi (dunque sacrificabili). Poi negli ultimi anni, complice l’americanizzazione culturale che tutto tende a svilire e consumare, c’è stato l’uso delle "donne al comando" (visti i risultati mediocrissimi dei maschietti con l’esaurirsi della generazione nata e addestrata negli anni Trenta in vista della guerra). Thatcher docet. Oggi una democratica Jacinta Arden si dimette, nella consapevolezza che certamente la vita reale è più importante della "politica". Rimangono a servire il potere e la politica le thatcheriane uniche ammesse al gran ballo dell’apparenza e dell’inganno.

Ancora due cose a corollario. La nostra contemporaneità ha vissuto il "gran rifiuto" delle dimissioni di Ratzinger, un esponente di primo piano della chiesa cristiana cattolica che qualche anno fa, prima della recente morte, decise di sospendersi da "papa" (la funzione equivalente di un monarca in uno Stato totalitario) vivendo il resto dei suoi giorni in disparte - mentre un altro "papa" (Bergoglio, argentino e gesuita) esercitava la funzione. Una spartizione dei poteri, che ha permesso la transizione recente di questa chiesa, in anni difficili. Ratzinger era stato portato, diversamente da un suo antico predecessore, Celestino V (il suo successore fu Bonifacio VIII), a questo passo evidentemente da forti considerazioni politiche e personali. Nei fatti la forma diarchica ha permesso la sopravvivenza della chiesa cattolica, e la morte di questo leader oggi vediamo ha compromesso i difficili equilibri interni di questa istituzione politico-religiosa tra le più longeve dell’Occidente. Al "gran rifiuto" di Ratzinger contribuirono i sospetti riguardo allo "scandalo pedofilia" dell’epoca? La cosa in ogni cosa fu elegantemente messa in secondo piano, senza però mai essere disinnescata - di qui gli sconquassi conseguenti. Essendo quello della pedofilia uno "scandalo" civetta, per quanto grave di per sé, ma che è uno dei temi della divisione delle diverse "anime" che si stanno attualmente scontrando all’interno del cattolicesimo.

Dietro le dimissioni di Jacinta Arden sono certamente le ragioni personali di chi vuol dedicarsi alla famiglia, ma anche un clima di contesa politica e sociale che sempre di più utilizza l’insulto sessuale e sessista per colpire o vergare l’avversario. Il sessismo è l’elemento degeneratore attuale delle comunità - sia che venga interpretato in senso fondamentalista (la "destra" al potere che usa moralismo e dominio sui corpi delle donne per riaffermare il potere) che in senso eversivo (la contumelia di stampo sessista: si ricordi le amabili campagne di stampa di Silvio Berlusconi contro le avversarie di sesso femminile negli anni passati; o l’uso dello stilema infantile della "mascolinità" esibita per un pubblico considerato ebete e adolescenziale). Il tentativo tecnologico di razionalizzazione della realtà - portato avanti oggi dall’industria e dalla cultura digitale - ha suscitato onde di reazione che pescano nell’immaginario più profondo, marginalizzato. Tanto più forte e maldestro è stato il tentativo di "modernizzazione" tanto più forte è stata la controreazione. Aggredita, la cultura esistente sta scagliando contro la cultura che minaccia di tutto sommergere indistintamente, tutto quello che trova sottomano - compreso l’armamentario sessista. Ecco che il sessismo ridiventa lo strumento del fondamentalismo, usato nella sua crociata per rassicurare i popoli - non certo in funzione anti-tecnologica, ma perché è il fondamentalismo che vuole essere protagonista della nuova era tecnologica, a cui vuole dare il proprio volto. Così la tecnologia smette di produrre robot domestici e inizia a produrre robot guerrieri.


Sergej

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