La vendetta di Simone

mercoledì 13 luglio 2022, di Sergej

Il 13 luglio 1914 sette persone furono uccise nella valle Brembana. Autore della strage, l’anarchico vendicatore Simone Pianetti

La strage

Il 13 luglio 1914 furono uccisi, nella valle Brembana, nel bergamasco, sette persone: alle 9:30 il dottor Domenico Morali; alle 10:50 il segretario comunale Abramo Giudici e la figlia Valeria; alle 11:00 il calzolaio e giudice conciliatore Giovanni Ghilardi; alle 11:10 il parroco don Camillo Filippi e il messo comunale Giovanni Giupponi; alle 12:30 Caterina Nella Miles.

Autore degli omicidi, Simone Pianetti ex locandiere ed ex mugnaio. Anarchico.

Le persone da lui uccise erano tutte colpevoli di averlo in qualche modo danneggiato, riducendolo in miseria. Leggiamo:

La mattina del 13 luglio 1914 uscì dalla sua casa imbracciando il suo fucile a tre canne e si diresse verso la piccola valle di Sentino. Aspettò nascosto in un cespuglio il passaggio del medico condotto dei paesi di Camerata Cornello e San Giovanni Bianco, il dottor Domenico Morali (il quale era solito passare in quel punto per recarsi alla propria uccellanda), colpevole secondo Pianetti di non avergli curato bene il figlio Aristide, morto qualche tempo prima. Il medico venne ucciso con due fucilate.

In seguito Pianetti si recò nel centro abitato di Camerata, presso l’abitazione del sindaco Cristoforo Manzoni. Non avendolo trovato, lo cercò nel palazzo. Il sindaco era assente, tuttavia Pianetti ebbe modo di sparare al segretario comunale, Abramo Giudici (ritenuto colpevole dell’ordinanza di chiusura della sua osteria), e sua figlia Valeria, che era vicino a lui, la quale rientrava anche lei nella lista.

In seguito entrò nella casa del calzolaio e giudice conciliatore Giovanni Ghilardi, uccidendolo perché era un suo avversario politico.

Raggiunse il sagrato della chiesa, dove trovò il parroco don Camillo Filippi e il messo comunale Giovanni Giupponi. Uccise entrambi, il primo perché ritenuto responsabile del boicottaggio della sua locanda, il secondo perché non gli aveva concesso una derivazione dell’acqua di una fontana.

Poi si spostò, attraverso il bosco, alla contrada Pianca, cercando senza successo l’oste Pietro Bottani. Infine raggiunse la frazione di Cantalto, dove sparò a Caterina Milesi (detta Nella), la quale aveva un contenzioso con Pianetti per via di un debito mai pagato dalla donna, come testimonia una citazione presso il giudice conciliatore.

Terminato il settimo e ultimo omicidio, si recò nella frazione Cantiglio, dove incontrò dei carbonai che, ignari di ciò che era appena accaduto, gli diedero da mangiare.

Infine si dileguò verso il monte Cancervo, zona che conosceva molto bene per le numerose battute di caccia svoltevi. [1]


Chi era Simone Pianetti

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Simone Pianetti - anarchico

Simone Pianetti nacque il 7 febbraio 1858 da Giovanni e Vittoria Bottani, di famiglia benestante, nella piccola contrada di Lavaggi, frazione di Camerata Cornello, piccolo centro della val Brembana, in provincia di Bergamo. Di carattere aggressivo e sanguigno (sparò un colpo di fucile all’indirizzo del padre, senza però colpirlo, per questioni legate all’eredità), decise, così come molti altri conterranei, di emigrare negli Stati Uniti d’America in cerca di fortuna.

Si recò a New York, praticando diversi lavori, entrando poi in contatto con gli ambienti anarchici della città. Fondò in seguito una società d’importazione di vino e frutta con l’amico Antonio Ferrari: tuttavia nella gestione di quest’attività incontrò problemi con la mafia locale, allora conosciuta come Mano Nera, che esigeva il pagamento di denaro in cambio di protezione.

Il suo temperamento portò Pianetti a denunciare il fatto, cosa insolita per via dei rischi a cui si andava incontro, alla Polizia locale comandata dal comandante Shirley e l’ispettore francese Lacassagne. Con i due collaborava anche lo scrittore H. Ashton-Wolfe, che conobbe personalmente Pianetti e, qualche anno più tardi, raccolse le sue vicende in un capitolo del suo libro Crimini di violenza e vendetta, grazie a cui è possibile conoscere i fatti della sua permanenza in terra statunitense.

La denuncia portò all’arresto di una decina di insospettabili, ma costò la vita ad Antonio Ferrari, assassinato dalla Mano Nera. La vita stessa di Pianetti era quindi a rischio, tanto che dovette abbandonare la città e muoversi con false generalità fino a fare ritorno in patria.

Al rientro nella valle ritrovò l’ambiente chiuso, quando non apertamente ostile, da cui era partito per l’America. Tuttavia anche in valle Brembana parevano aprirsi spiragli di cambiamento, sia grazie all’apertura di un casinò nel vicino paese di San Pellegrino Terme e il relativo afflusso di turisti, sia con l’elezione del liberale Bortolo Belotti, del quale Pianetti divenne amico per via della comune contrapposizione al blocco cattolico-conservatore imperante nella zona.

Sposò Carlotta Marini, dalla quale avrà nove figli e con cui aprì una taverna appena fuori dal centro abitato di Camerata Cornello, in cui si poteva anche ballare. Dopo i primi tempi in cui gli affari andavano bene, Pianetti venne messo al centro di maldicenze in cui veniva bollato come libertino, anarchico e anticlericale. Seguì un vero e proprio boicottaggio nei confronti della sua locanda, con gli avventori che venivano messi in guardia dalle autorità politiche ed ecclesiastiche del paese: alla lunga venne obbligato ad abbandonare l’attività per mancanza di clienti.

Con i soldi rimanenti decise di trasferirsi con la famiglia nel vicino comune di San Giovanni Bianco, al fine di evitare le persone che l’avevano in antipatia. Qui aprì un mulino elettrico, un’opera all’avanguardia per quei tempi. Dopo poco tempo cominciò a essere additato, con la sua farina, come portatore di maledizioni e malattie (tanto che il suo prodotto veniva chiamato la farina del Diavolo), situazione che lo obbligò ad abbandonare l’attività mandandolo definitivamente sul lastrico. [2]


La fuga e la latitanza

La notizia della strage si sparse in tutta la valle: il centro abitato di San Giovanni Bianco si presentava completamente deserto, con la gente barricata nelle proprie case. I Carabinieri fecero piantonare tutti gli scampati all’eccidio e coloro che avevano contenziosi aperti con Pianetti, cominciando le ricerche del fuggiasco sulle impervie cime circostanti. Anche grazie a una squadra di guardie forestali e a una trentina di Carabinieri giunti da Bergamo in rinforzo alle unità locali, nella serata del 14 luglio Pianetti fu avvistato da un gruppo composto da sette militari, con i quali ebbe uno scontro a fuoco, senza conseguenze fisiche per alcuno.

Il 16 luglio 1914 in paese arrivò il senatore Bortolo Belotti e contemporaneamente fu posta una taglia di mille lire sulla testa del latitante. Il giorno seguente Pianetti incontrò una donna, Giacomina Giupponi, con la quale barattò la sua pistola in cambio di cibo, proprio mentre nelle zone circostanti si intensificavano le ricerche, con l’aggiunta di volontari (per lo più parenti delle vittime), 170 soldati appartenenti al 78º Reggimento fanteria "Lupi di Toscana" e altri quaranta Carabinieri.

Nonostante ciò, Pianetti riuscì a dileguarsi a dispetto di più di trecento persone alla sua ricerca, proprio mentre nell’opinione pubblica si delineavano contrapposte correnti di pensiero. Presto la stampa cominciò a strumentalizzare la vicenda: numerose furono le polemiche tra le testate giornalistiche, in particolar modo tra Il Secolo e L’Eco di Bergamo. Quest’ultimo difatti accusò il primo di riportare le notizie in un’ottica anticlericale e di dipingere Pianetti come un liberatore dall’oppressione e dall’imperversare dei "feudatari" del paese, quali sindaco, medico e parroco.

«Qui tutti sapevano che il Pianetti era perseguitato… Chi vuol vivere tranquillo deve essere ossequiante al parroco del luogo… Il parroco è il feudatario ed i paesani si dividono in vassalli e valvassori a seconda della loro astuzia e del loro stato economico… Al Pianetti ne avevano fatte tante che non poteva più frenarsi»

Di differenti visioni popolari riferite all’eccidio parlano anche organi di stampa locali, preoccupandosi dell’apologia del colpevole in corso tra la gente. Sta di fatto che la popolazione cominciava a vedere realmente Pianetti come un liberatore, tanto che sui muri della zona cominciarono ad apparire scritte a lui inneggianti (tra cui «W Pianetti, ce ne vorrebbe uno in ogni paese»).

Nel frattempo, le ricerche non davano nessun risultato, tanto che il 29 luglio 1914 il prefetto di Bergamo, Antonio Molinari, aumentò a 5 000 lire la taglia sulla testa del fuggiasco, senza tuttavia ottenere gli effetti sperati. Il 27 luglio le autorità autorizzarono il figlio Nino Pianetti a recarsi tra i monti al fine di incontrare il padre e convincerlo a costituirsi. Il ragazzo, trovato il genitore, gli consegnò due lettere scritte dalla moglie e dall’amico Bortolo Belotti, che gli consigliavano di consegnarsi alle autorità. Per contro, Simone, dopo aver scritto una struggente lettera di risposta alla moglie, disse al figlio «non mi troveranno mai, né vivo, né morto». In effetti quell’episodio, riportato da tutti i quotidiani dell’epoca, fu l’ultima volta di cui si ebbero notizie documentate di Simone Pianetti.

La sua latitanza tra i monti della valle Brembana fu aiutata anche dalla complicità di carbonai e pastori che vivevano a quelle quote: essi lo consideravano una sorta di giustiziere, offrendogli cibo e talvolta un tetto sotto il quale ripararsi. A tal riguardo, le cronache dell’epoca riportano la condanna a un anno di reclusione (poi ridotta a sei mesi in appello) di due mandriani, i fratelli Giorgio e Carlo Manzoni, rei di aver ospitato Pianetti nella loro baita dal 20 luglio al 2 agosto, mentendo ai Carabinieri e coprendone la fuga.

L’inafferrabilità del fuggiasco, aiutata dagli eventi internazionali che annunciavano l’arrivo della prima guerra mondiale anche in Italia, favorirono una sospensione delle ricerche, facendo passare in secondo piano la vicenda. Nel frattempo la giustizia proseguiva il suo corso: il 25 maggio 1915 presso la Corte d’assise di Bergamo si concluse il processo a carico di Simone Pianetti, imputato in contumacia. La sentenza di condanna all’ergastolo fu accompagnata da cinque anni di segregazione cellulare continua, dall’interdizione dai pubblici uffici, dalla perdita della patria potestà e dell’autorità maritale, nonché dall’interdizione legale con conseguente annullamento del testamento da lui sottoscritto. Venne inoltre emesso un nuovo ordine di cattura nei confronti del condannato [3].


Simone Pianetti, "diavolo anarchico" e vendicatore solitario, è ancora oggi ricordato non solo in val Brembana.

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Simone Pianetti - Il manifesto con la taglia

Note

[1] Cfr.: Wikipedia.

[2] Cfr.: Wikipedia.

[3] Cfr.: Wikipedia.


Sergej

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